En guerre il nuovo film di Stéphane Brizé

Così Cannes affronta il tema del Lavoro 

“Chi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”. E’ con questa citazione di Bertolt Brecht che si apre En guerre il nuovo film di Stéphane Brizé, presentato qualche giorno fa in concorso al 71° Festival di Cannes, ed è proprio nel cuore di una battaglia vitale che ci immerge il cineasta, nel violento scontro tra la realtà degli esseri umani e i sondaggi su economia mondiale e redditività, o tutto quello che questi meccanismi si portano dietro: delocalizzazioni, rimpasti familiari, sofferenze per riorganizzare le vite dei lavoratori.

Il rispetto per la parola data è ciò che chiedono al loro capo durante un incontro molto teso i rappresentanti sindacali della fabbrica Perrin Industrie ad Agen, filiale di un gruppo tedesco di subappalto automobilistico. La chiusura dell’impianto è stata ormai decisa, nonostante i 1100 dipendenti avessero firmato un accordo due anni prima, accettando di lavorare 40 ore pagate 35 e la soppressione dei loro premi. Un accordo che doveva preservare l’occupazione per cinque anni, cui la direzione ora oppone “la realtà del mercato” e “un contesto ostile”.

Il regista ci fa riflettere sulla situazione che il sindacalista Laurent  Amédéo, l’attore Vincent Lindon e i suoi colleghi rifiutano totalmente, indicando i profitti dell’impresa, le quote di margine eccessive, i dividendi record agli azionisti, il salario faraonico dell’amministratore delegato, le bugie e i tradimenti.

L’opposizione si svilupperà per alcuni mesi con l’occupazione della fabbrica, con un’azione legale contro la legittimità del piano sociale, con manifestazioni, con un appello al Presidente della Repubblica che delega come arbitro il suo consigliere sociale e con incontri sindacali più o meno turbolenti per coinvolgere il leader tedesco dell’azienda e trovare un accordo favorevole.

“Il mio non è un atto politico – ha spiegato Brizé – è un agglomerato di avvenimenti che porta l’immagine di ciò che accade davanti al mondo intero. Abbiamo registrato la violenza e la collera degli operai. Abbiamo raccontato la storia della Francia dall’interno, consultando gli stessi lavoratori, sindacalisti e avvocati di entrambe le parti per rendere i dialoghi più realistici e precisi possibile”.

“Il direttore del festival di Cannes Thierry Frémauxha sottolineato Lindon invitando questo film ha fatto un atto politico. È un modo anche di spiegare in anticipo i meccanismi della società.
Sono pronto a subire le critiche. C’è chi mi accusa di essere un borghese e che quelli dell’operaio non sono i miei panni. Mi chiedo perché? Adoro ricoprire il ruolo di personaggi che sono più lontani da me.
E io mi sento Laurent”.

Come ne “La legge del mercato” il regista utilizza attori non professionisti, mescolando l’aspetto documentario, ovvero reali riunioni, discussioni e imbastendo poi una trama che racconta il dietro le quinte, comprese le divisioni all’interno del sindacato: “La finzione riempie i vuoti che i reportage della televisione non possono colmare per questioni di tempo. Noi traduciamo in fiction la collera e la sofferenza reali della gente”, ha sottolineato il regista.

Passione per il Lavoro, per il valore che lo stesso rappresenta, per la dignità che ne deriva. Il tutto costellato dalla forza della solidarietà tra gli operai che auspicano di una vittoria morale.

Insomma un film che odora di realtà autentica, di vita vera.

 

 

 

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