Il decreto dignità, seconda parte

(pochi) pro e (tanti) contro scanditi da Confindustria.

Il neonato decreto dignità in appena 11 giorni trascorsi tra approvazione e pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale ha già suscitato un ondata di punti interrogativi non solo tra gli scranni politici ma anche tra gli Industriali.

“Pensiamo che il decreto dignità parta da presupposti sbagliati e non tenga in considerazione i dati effettivi degli ultimi anni”. È lapidario il giudizio di Confindustria sul Decreto Dignità . “Noi condividiamo la lotta agli abusi, ma nel decreto ci sono misure eccessive rispetto all’obiettivo” spiega Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, in audizione davanti alle Commissioni riunite di Finanza e Lavoro della Camera.

Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria

“Sarebbe opportuno evitare brusche retromarce sulle riforme già avviate”

Secondo l’associazione degli industriali, “la migliore strada è agire sul costo del contratto a tempo indeterminato, con una riduzione netta del costo del lavoro”.

Il “punto critico – continua Panucci – è la reintroduzione delle causali, che non costituiscono un vero meccanismo di tutela, ma un onere e un rischio sia per l’impresa che per il lavoratore. Siamo dell’idea che dovrebbero essere eliminate almeno per i contratti fino a 24 mesi”.

“Il fatto che per contratti tra i 12 e i 24 mesi sia richiesto alle imprese di indicare le condizioni del prolungamento, esponendole all’imprevedibilità di un’eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull’occupazione oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al Decreto (in cui si fa riferimento a un abbassamento della durata da 36 a 24 mesi)”.

Inoltre secondo Confindustria le novità introdotte sull’indennità di licenziamento “rendono più difficile l’applicazione di contratti a termine e scoraggiano quelli a tempo indeterminato”.

Le misure contenute nel decreto, aggiunge Panucci, “renderanno più incerto e più imprevedibile il quadro di regole in cui operano le imprese, disincentivando gli investimenti e limitando la crescita”.

Solo oggi  il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio – alla Camera per un’informativa urgente del governo sullo stato dei tavoli di crisi aperti presso il Mise – aveva spiegato come al 30 giugno erano ben 144 le crisi conclamate di aziende che coinvolgono 189mila i lavoratori. “Le ragioni della crisi – ha detto Di Maio – sono legate all’impoverimento del nostro Paese negli ultimi anni”. Il ministro ha poi puntato il dito contro il fenomeno delle delocalizzazioni ricordando che “ben 31” di questi tavoli di crisi “sono interessati da cessazione d’attività e delocalizzazione”.

 

 

Nei contenuti, il cosiddetto “decreto dignità” non innova granché rispetto alla vigente legislazione in materia di contratti di lavoro a tempo determinato e licenziamenti. Non rimuove l’obbrobrio delle “tutele crescenti”, non ripristina la disciplina dell’ex art.18 dello Statuto dei lavoratori, che sanciva il diritto a richiedere la reintegra nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti “senza giusta causa”. Né si può dire che la questione delle “tutele crescenti” e dei licenziamenti si risolva con qualche mensilità in più da corrispondere a titolo di indennità risarcitoria, per come il provvedimento parrebbe prevedere.

 

 

Quanto alla “causale”, non essendo obbligatoria per il primo anno, non è detto che, alla scadenza, un datore di lavoro debba rinnovare lo stesso contratto: può stipularne un altro, con un altro lavoratore evitando così di pagare contributi più esosi. Ed oggi oltre il 70% dei contratti a termine è di durata inferiore a 12 mesi.

ll testo prevede poi lo stop alla pubblicità dei giochi d’azzardo, per cercare di combattere le ludopatie. Anche in questo caso per Confindustria c’è sproporzione tra l’obiettivo e i mezzi: “Il divieto assoluto della pubblicità ci sembra eccessivo”. Quelle prese di mira dal documento “sono attività lecite – sostiene – che se troppo vincolate rischiano di dare spazio a quelle illecite”.  Secondo Panucci, “si potrebbero immaginare meccanismi differenti, chiarendo meglio gli spot. La pubblicità ha un valore informativo”.

 

Anche il capitolo che prevede sanzioni per chi fruisce di supporto pubblico all’investimento e poi dà vita a delocalizzazioni si tratta di “regole poco chiare e punitive in materia di delocalizzazioni“.

Il provvedimento, ha spiegato Panucci, “presenta evidenti difficoltà di applicazione pratica, rimessa peraltro alle singole amministrazioni erogatrici, anche perché non individua una definizione chiara della delocalizzazione ‘rilevante’, e rende la disciplina in materia molto più estesa e punitiva di quella pre-vigente, contemplando una sanzione aggiuntiva alla restituzione dell’aiuto percepito (fino a 4 volte tale importo per le delocalizzazioni verso Stati non UE e non aderenti allo Spazio Economico Europeo)”.

 

A giudizio di Confindustria,

“alla delocalizzazione non può essere associata una connotazione necessariamente negativa e occorre distinguere i processi di internazionalizzazione dell’attività d’impresa dalle delocalizzazioni selvagge”.

 

 

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