Cartelli

 

 

 

 

 

Ho il piacere di condividere con i nostri graditissimi lettori il nuovo comunicato affidatomi dal C.A.N.E. (Comitato Automobilisti Nostalgici Esasperati).

Cari soci, sostenitori, simpatizzanti o semplici conoscenti, non preoccupatevi.
Non intendiamo entrare in argomenti che non riguardano la nostra condizione di automobilisti inquieti.
I cartelli cui fa riferimento il titolo di questo comunicato non hanno a che vedere con il narcotraffico né con le pratiche commerciali scorrette di qualche oligopolio (telecomunicazioni, media, energia, banche, assicurazioni… fate voi).
Noi del C.A.N.E. restiamo nel nostro e vogliamo portare alla vostra cortese attenzione il tema dei cartelli stradali: la cosiddetta segnaletica verticale.

Partiamo da una constatazione banale: i cartelli stradali sono fatti di metallo e pertanto sono destinati a durare nel tempo; contrariamente alla segnaletica orizzontale che, in un Paese attento all’ambiente come il nostro, viene realizzata con materiali biologici e biodegradabili, tanto che alle prime piogge tende a sbiadire e in breve tempo a sparire senza lasciare aloni.

La caratteristica di bene durevole ha segnato il destino di questo dispositivo (teoricamente) al servizio della sicurezza stradale: il suo proliferare incontrollato.
Da statistiche interne possiamo affermare che l’indice di affollamento dei cartelli (dato dal rapporto tra lunghezza totale della rete viaria di un Paese e numero di cartelli totali installati) rilevato nel nostro Paese è di circa 87 volte superiore alla media europea, ma supera anche le 500 volte se rapportato a quello di Paesi con minore densità di popolazione (la Russia o il Canada, ad esempio).

E questo perché in genere un cartello, una volta piazzato a regola d’arte (si fa per dire), non viene più dismesso: tanto sta lì, che male fa?
In compenso se ne aggiungono sempre di nuovi, altrimenti il settore della segnaletica verticale (che immaginiamo fiorente e redditizio) andrebbe in crisi, con conseguente perdita di posti di lavoro.
Rimanendo solidali con i lavoratori, rileviamo che sarebbe sufficiente applicare un minimo di turnover, ripulendo le strade da questa foresta di indicazioni, spesso superflue.

Se, ad esempio, non si può proprio fare a meno di modificare il limite di velocità consentita ogni 500 metri, che si eviti almeno di mettere, prima del nuovo limite, il cartello di fine limite di velocità (quello bianco con uno striscione obliquo nero, con o senza numero).
La seguente sequenza costituisce un classico che ciascuno avrà sicuramente incontrato almeno una volta: su una statale, col limite naturale a 90km/h, si parte piazzando un limite a 70km/h prima di un incrocio, fine limite di velocità dopo l’incrocio e, immediatamente a seguire, nuovo limite di velocità a 80km/h.
Come queste variazioni infinitesimali, che naturalmente nessuno rispetta, possano contribuire alla sicurezza stradale è uno dei misteri più insondabili del settore viabilità.

L’affollamento di cartelli può inoltre ingenerare un effetto panico dalle conseguenze imprevedibili: limite di velocità – in rapida sequenza – a 80-60-50-30km/h, lavori in corso, strettoia, strada sdrucciolevole, curva pericolosa, caduta massi, dosso o cunetta, ghiaccio o neve, banchina non transitabile, vento forte, attraversamento mucche, caprioli, scolari, cinghiali, lupi, orsi marsicani

Verrebbe da mollare la macchina e proseguire a piedi, se non si temessero brutti incontri con tutta quella fauna a spasso.

Altro aspetto misterioso è la scarsa attenzione nell’utilizzo della segnaletica internazionale.
Se continuiamo a utilizzare cartelli con le scritte in italiano, difficilmente uno straniero sarà in grado di comprenderne il significato e quindi di rispettarne le prescrizioni.
Ad esempio, per avvertire del controllo elettronico della velocità viene utilizzato in tutta Europa un cartello intuitivo, col simbolo del radar, mentre da noi scriviamo “controllo elettronico della velocità” che già in alcune parti del Belpaese (come l’Alto Adige o alcune periferie delle grandi città) risulta incomprensibile.

Arezzo: cartello scritto in dialetto

Eppure basterebbe copiare, a meno di specifiche scelte politiche nazionaliste ed esterofobe.

Ma forse la prassi più pericolosa e altamente diseducativa è quella dell’abbandono senza cura della segnaletica temporanea legata ai lavori.
Lasciare i cartelli di strettoia, cambio di corsia, lavori in corso (con il solito corredo di limiti di velocità decrescenti e altre amenità terroristiche) quando invece il cantiere è chiuso (temporaneamente o definitivamente) significa gettare alle ortiche il rapporto fiduciario che deve sempre intercorrere tra automobilista e segnaletica.

È come la fiaba del pastorello spiritoso che gridava “al lupo, al lupo” per scherzo, salvo poi trovarsi da solo quando il lupo è arrivato veramente.
Risultato: quando si vedono questi cartelli ma non sembra che davanti ci siano rallentamenti, si prosegue ignorandoli.
Fino a quando, dietro una curva, non si incontrerà realmente un cantiere, con conseguenze facilmente intuibili.

Ci sentiamo pertanto in dovere di lanciare il nostro ennesimo appello alle autorità preposte: meno cartelli e più precisi, comprensibili e realmente rispondenti alle situazioni; senza sovrapposizioni, senza affollamenti, senza esagerazioni.

Deforestiamo la selva metallica,

che probabilmente è anche riciclabile: non produce ossigeno, non migliora il clima e non ospita l’avifauna, ma piuttosto deturpa il paesaggio, appesantisce l’ambiente e manda fuori dai gangheri l’automobilista, senza un vero perché.

 

Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.

 

 


 

 

 

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