GUSVILLE: i Diavoli Neri di Borgo Sabotino | 4° puntata

Il Tenente Colonnello Robert T. Frederick comandante della 
1st Special Service Force

La 1st Special Service Force fu ufficialmente istituita il 20 giugno del 1942 sotto il comando del Tenente Colonnello Robert T. Frederick.
I 1.600 volontari, reclutati inizialmente tra i civili americani e canadesi, ricevettero un rigoroso ed intensivo addestramento all’uso degli esplosivi, ai combattimenti corpo a corpo, sul come nascondersi tra le linee nemiche, sulle tecniche della guerra anfibia e su come scalare e combattere tra le montagne.
I soldati furono reclutati tra i taglialegna, i boscaioli, le guardie forestali e i cacciatori, e furono dotati di un coltello da combattimento espressamente costruito per loro, chiamato V-42. Il loro simbolo era una punta di freccia rossa con le parole Canada e Stati Uniti.


Furono addestrati a Fort Harrison, vicino ad Helena, nel Montana, negli Stati Uniti.
Nella loro prima operazione furono paracadutati in Norvegia con l’obiettivo di distruggere impianti idroelettrici e nel 1943, in Italia, a Monte La Difensa. Cominciarono a guadagnarsi la reputazione di reparto capace di raggiungere obiettivi che nessun altro era in grado di ottenere.

Ma è proprio intorno a Borgo Sabotino, tra il Canale Mussolini e Torre Astura, tra Borgo Gnif Gnaf e Littoria, che la 1st Special Service Force la si incominciò a chiamare con il nome di Brigata dei Diavoli (Devil’s Brigade). Il diario di un soldato tedesco ucciso in combattimento contiene un passaggio che dice

“I Diavoli Neri (Die Schwarze Teufeln) sono tutti intorno a noi ogni volta che ci inoltriamo tra le linee”.

Il simbolo dei “Black Devils”


Il soldato si riferiva a loro come neri perchè i membri della brigata si spalmavano la faccia con il lucido da scarpe nero, durante le loro operazioni nel buio della notte.

Momento di relax prima di un’azione serale nei dintorni di Anzio
Una rara foto del Sergente Kinch

Dal diario del Sergente Thomas “Tommy” Kinch
La nostra unità è arrivata ad Anzio il primo febbraio ed il giorno successivo siamo andati verso il fronte.
L’area che ci hanno dato da tenere è quella intorno al canale Mussolini, un enorme canale di drenaggio che solca la piana di Littoria, uno dei più piatti pezzi di terra di tutta l’Italia.
La difesa del canale è molto importante perché forma una barriera naturale ai movimenti dei carri armati degli Unni.
A rompere la monotonia del paesaggio ci sono solo case coloniche e stalle.
E dobbiamo stare molto attenti, perchè queste costruzioni sono occupate dai Nazi che le usano come luoghi di osservazione o come postazioni per i loro cecchini.
Abbiamo incominciato subito a perdere uomini per mano dei cecchini e a causa delle mine.
Io non so cosa si aspettassero che facessimo.
Dovevamo solo difenderci?
Scavare trincee in attesa della controffensiva degli Unni?
Non ci stava bene.
Abbiamo deciso allora di scatenare l’inferno.
A partire dalla mezzanotte del terzo giorno abbiamo lanciato  cinque pattugliamenti che sono penetrati per circa un chilometro tra le linee del nemico.
Grazie ai prigionieri che siamo riusciti a portare indietro quella notte ed alle informazioni che abbiamo ottenuto, siamo stati capaci di fornire all’artiglieria preziose informazioni.
Il giorno successivo i nostri cannoni hanno bombardato pesantemente il nemico.
Gli Unni sono stati avvertiti.
La zona del Canale Mussolini sarà la loro piaga.

In una settimana l’aggressività del pattugliamento della 1st Special Service Force causò il ritiro dei Tedeschi di circa mezzo miglio. L’area fra il canale e la nuova posizione dei Tedeschi venne velocemente identificata come terra di nessuno.
In questa terra di nessuno i piccoli villaggi e le sparute fattorie passavano facilmente di mano.
I Tedeschi occupavano le case il giorno, la Force di notte.

Azione militare nei pressi di un casolare occupato dai tedeschi


Questa altalena mortale finì solamente dopo che Frederick decise che quelle case non avevano più nessun valore come punto di osservazione, e diede ai suoi uomini il permesso di farle saltare in aria. Questo era il genere di cose per le quali erano stati addestrati ad Helena ed affrontarono il lavoro con entusiasmo.
Per la prima volta da quando erano entrati in combattimento, la Force arrivò a realizzare i compiti per la quale era stata costituita.
Ad Anzio operarono come guerriglieri, nei pattugliamenti notturni, scomparendo alla luce del giorno e facendo saltare nel frattempo le installazioni del nemico ogni volta fosse possibile.

Immobile ed in silenzio.
Sono bravo a stare fermo e a non farmi sentire. Al contrario dei miei compagni che il nemico lo vanno a stanare, io il nemico lo aspetto. Immobile e silenzioso.
Esco all’imbrunire, da solo. Mi trovo un fosso, un buco, e lo copro con gli arbusti e la vegetazione che trovo nelle vicinanze; mi ci corico dentro, con le spalle ed il tronco ben alti, pronto ad attaccare.
E aspetto.
So essere paziente. Riesco a star fermo per ore. Ogni tanto mi muovo, senza far rumore, di quel tanto che basta per sciogliere qualche muscolo intorpidito. Lo stiletto sempre pronto in mano. Sono immobile, silenzioso ed invisibile.
Ho la faccia e le mani coperte di nero per mimetizzarmi ancora meglio, ma stanotte potevo farne anche a meno di colorarmi. Non c’è la luna.
Sto attento ad ogni rumore. Sono attento, teso e lucido. È da qualche giorno che esco di notte a caccia del nemico. Mi sto abituando a queste ore di solitudine. Ripenso a quello che ho fatto nella giornata. È un’ottima maniera per fissare i ricordi e far passare il tempo.
Sto scrivendo un diario per poter ricordare.
Il diario di Tommy. Qui tutto corre in fretta. Stiamo in luoghi sempre diversi, con compagni, amici che oggi saluti e domani non vedi più. Trasferiti, feriti, morti. Vorrei ricordarli tutti. Voglio ricordarmeli tutti.
Se fossi stato bravo a disegnare, avrei disegnato i loro volti sul mio diario. Mi accontento di descriverli a parole.
La notte è scura, nera e silenziosa. Ogni tanto un rumore allerta i miei sensi. Contraggo le nocche delle mani intorno allo stiletto; lo stringo così forte da farle diventare bianche.

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