GUSVILLE: i Diavoli Neri di Borgo Sabotino | 8° puntata

I racconti su Gusville incominciarono a circolare tra le truppe alleate.
Questa nuova comunità attirò subito l’attenzione di un reporter di Stars and Stripes, il giornale dell’esercito:

“Tu non troverai Gusville sul tuo atlante, ma per il momento questa indaffarata piccola città è meritevole di un posto in una qualsiasi mappa, come Detroit, Roma o Proskurov.

La testata di Stars and Stripes

Sebbene manchino alcune di quelle istituzioni civili abitualmente associate ad una comunità fiorente, Gusville ha buone possibilità di essere riconosciuta come città “modello”.
A Gusville non vi sono scioperi, non vi è disoccupazione, non vi è il mercato nero, ed i suoi cittadini sono coinvolti nella guerra al 100%.
Questo posto era un tranquillo puntino da qualche parte nella pianura italiana, poi un giorno il Tenente Gus Heilman portò la prima unità della Quinta Armata in questo settore avanzato dello sbarco di Anzio ed una nuova città nacque; una città che vive ogni giorno sotto il rumore della battaglia.
All’apparenza, questa fantastica comunità sembra solamente un insieme di capanne, di tende e poche costruzioni; la stalla per le mucche, il ricovero per le galline, per i cavalli ed i pochi maiali.

Latte fresco

Ma Gusville è anche la casa della morte improvvisa. Gusville è la base degli spericolati Commandos di Anzio, il cui motto è:
“Uccidere è il nostro business”.
L’esistenza di Gusville avrà sicuramente breve durata, ma non ha bisogno di una Camera di Commercio! La sua reputazione è assicurata dalle gesta dei suoi cittadini”

La folla di curiosi stava aumentando, richiamata dalle voci nella notte tiepida e dalle luci delle macchine dei Carabinieri. Di tanto in tanto si aprivano le persiane di qualche finestra e timidamente delle figure indefinite, riconoscendo gli amici o i parenti, chiedevano cosa fosse successo.
Gusville si stava risvegliando intorno al Ringhio, il quale, incurante di tanto trambusto, osservava fisso le stelle, stelle che incominciavano a nascondersi nel chiarore del nuovo giorno.
Prima il cravattaro, poi il Ringhio. Mancava solo il Rana.
Non sapevo come si chiamasse, di nome e cognome, l’altro guardaspalle del Zizzania. Pensai che non potesse essere che il Rana la potenziale prossima vittima in questo melodramma di palude.
Tutti lo chiamavano Rana perché lo si vedeva spesso pescare decine e decine di rane lungo i canali intorno al Borgo, con la sua canna ed i suoi ancorotti. Rane che poi infilzava intorno ad una cintura di fil di ferro, che gli piaceva mettere in mostra intorno alla vita.
Stavo appunto pensando al Cravatta, al Ringhio ed al Rana, e a questo supereroe venuto dal passato, forse Capitan America stesso, deciso a ripulire il Borgo dalle sue nefandezze, quando mi sentii strattonare per una manica del giubbotto da Beppe Radiolina.
Beppe Radiolina è un mio amico, che non ci sta molto con la testa.
Gira per il Borgo tutto il giorno, sempre con la sua radio appiccicata all’orecchio destro, cantando a squarciagola i successi del passato, stonandoli e storpiandoli come solo un grande artista sa fare. “Aivuontiubebi endainiddiubebi ooobebi oooobebi bebipliiissss”.
La sera, esausto dopo la sua tournee giornaliera, si fa ospitare a turno dai bar del Borgo, per farsi offrire un panino ed un bicchiere di birra, e per poter vedere giocare a carte gli amici tutti.
“Ciao Beppe” gli dissi, neanche troppo meravigliato di vederlo lì a quell’ora. “Torna a casa che è tardi, non c’è niente da vedere”.
Mi era simpatico Beppe, e penso che la simpatia fosse ricambiata, specie da quando, complice una leggendaria sbornia a base di prosecco, cantammo a squarciagola in una notte triste e malinconica d’inverno.

“Non l’ho detto a nessuno” mi disse, senza alzare lo sguardo.
“Cos’hai detto Beppe?”. Avevo capito ma non avevo capito.
“Non l’ho detto a nessuno” disse di nuovo, ora arrabbiato, come fanno i bambini quando si spazientiscono.
“Cosa non hai detto Beppe?”.
“Non l’ho detto a nessuno, capito?” cantilenò di nuovo, guardandosi intorno in maniera furtiva.

Capii sicuramente che in mezzo a tutta quella gente non avrebbe detto nulla. Quindi lo presi per mano e ritornammo insieme allo scooter.
Ci salimmo sopra ed imboccai subito la strada che portava al mare.

Dal diario del Sergente Thomas “Tommy” Kinch
I Krauti sono terrorizzati dalle nostre incursioni. Abbiamo sparso la voce che non avremmo fatto prigionieri, che molti di noi sono ex-detenuti e che non avremmo avuto pietà di loro.
L’altra notte sono stato in pattugliamento con il Tenente Krasevac ed i suoi uomini. Siamo penetrati furtivamente nel retro di una casa che i Nazi usavano come punto di riunione. Li abbiamo fatti tutti prigionieri.

Azione contro un Bunker tedesco
Controllo delle credenziali di un prigioniero

Soddisfatta, la pattuglia di Krasevac iniziò a tornare a Gusville. Ma proprio in quel momento videro altri tre Tedeschi attraversare la loro zona.
Gli Unni spaventati, si girarono velocemente e incominciarono a correre verso le proprie linee. Quel bastardo di Krasevac vide l’opportunità di migliorare il proprio record e chiese a due dei suoi uomini di seguirlo ed incominciò a correre velocemente verso il nemico in ritirata.
Li inseguì per almeno un miglio prima di inchiodarli e sebbene l’inseguimento fosse stato molto veloce, non potè fare a meno di notare un invitante bottino lungo la strada percorsa.
Che visione quando Krasevac ed i suoi due uomini ritornarono!
I tre prigionieri, invece di tenere inutilmente le mani in alto, furono utilizzati per ben altro servizio. Uno portava un letto ed un materasso sulle spalle, il secondo portava una grande cassa piena di polli, e il terzo spingeva una carrozzina piena di patate.

Da dx: il sergente capo K.S. Chapman, con in mano un mitragliatore Thompson, il sergente T.C. Potenza con una mitragliatrice leggera Johnson, N.J. Overall con un bazooka, T.F. Olynyk con una radio SCR-536 e H.W. McCarthy con un Thompson, in marcia nella zona pontina

Oramai stava albeggiando e già un paio di tellinari avevano incominciato ad arare il mare alla ricerca del loro tesoro.
Beppe si era tranquillizzato. Sullo scooter si era stretto a me tremante. Ora che eravamo lontani dalla folla sembrava più rilassato, sereno. Mi stava sorridendo.

Ripartii alla carica; ero sicuro che Beppe volesse dirmi qualcosa.
“Cos’hai visto?” gli chiesi, cercando di essere il più rassicurante possibile.
Beppe si fece cupo, ma allo stesso tempo si vedeva che voleva condividere il suo segreto con qualcuno.
“Io so chi è uscito dal bar col Ringhio” disse velocemente.
Il tappo era saltato e mi cadde sulla testa quando sentii

“E’ uscito con Ermes”.

Beppe mi raccontò che quella sera aveva notato l’Ermes offrire più di una birretta al Ringhio, così come li aveva visti uscire insieme dal bar, con il Ringhio barcollante e con l’Ermes pronto a sorreggerlo verso l’oscurità della notte.

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