La parola che stende

A volte le idee più balzane impattavano Tarallo nei momenti più impensati.
La redazione del fogliaccio quotidiano della città di provincia che molto a malincuore si assicurava i suoi servigi giornalistici, era probabilmente, con l’eccezione forse della scrivania dello scrittore Alessandro Alambicco, il luogo al mondo più ostile al formarsi di idee.
In quel posto, moralmente e psicologicamente diroccato, allignavano infatti forme di vita intermedie tra l’umano, il vegetale e il minerale.
Muffe di cronisti di entrambi i sessi, incrostavano indolenti le poche scrivanie, attendendo una frustata di Frangiflutti, il direttore, per assumere velocemente un simulacro di esistenza in vita, scrivere i loro pezzi, obbligatoriamente in linea con i desiderata di una Proprietà tirannica, e infine ripiombare inerti sui loro scranni, esausti per lo sforzo.
Perfino il parlare di calcio, giusto qualche belato il lunedì mattina, costava ai più vivaci tra loro un consumo energetico sproporzionato alla loro magra dotazione personale.
Qualcuno nel fabbricarli aveva evidentemente fatto severe economie, presentando così sul palcoscenico del mondo animale alcuni degli esemplari meno riusciti dell’intero lotto.

Sperare che da quelle dolenti larve potesse originarsi una qualche forma di pensiero era un po’ come essere divorati dalla fede che dalla gola di Jovanotti possa fuoriuscire, in un futuro millennio, qualcosa anche di vagamente intonato.
Lallo Tarallo, il reietto della redazione, assunto e mantenuto dal giornale a costi minimi solo per il timore frangifluttesco dell’influenza politica di un suo zio piduista, era al contrario fin troppo assaltato dalle idee, pervaso da scoppiettii continui che producevano risultati a volte geniali, altre desolanti.
Sempre in giro, freneticamente, a narice tesa e vibrante in cerca di ispirazione per qualche inchiesta scomoda, veniva immancabilmente deluso dai costanti rifiuti del direttore, che finiva per dirottarlo dalle bramate battaglie contro corruzione ed incultura, a logori pezzi di scuola. Ad esempio, quello classicissimo sul come tornare in forma dopo lo sfondamento natalizio del muro del colesterolo, straripamento testimoniato dai tanti, entusiastici asterischi di apprezzamento che vengono rilasciati dai laboratori di analisi.
Sistemato, come si sa, in una specie di minuscolo banchetto a ridosso del bagno della redazione, Tarallo stava ripensando ad una breve conversazione avuta da poco con la ragazza prodigio, la sua amatissima, imbattibile, Consuelo.
Da qualche parte, forse sul settimanale rosa “Storie glicemiche”, unica bibbia del suo parrucchiere Marcel, nativo di Albano di Lucania ma di sentimenti parigini, lei aveva letto l’intervista ad un tale Professor Kurt Trapunzer, un colloquio incentrato sui misteri della seduzione e sull’originarsi del sentimento amoroso.

Marcel il parrucchiere nativo di Albano di Lucania ma di sentimenti parigini

Le tesi dello studioso alemanno erano rigidamente organiciste: tutte le nostre relazioni sono determinate dalla chimica, soggette alle sue implacabili leggi.
Conseguentemente, a parere di Trapunzer, erano da mettere in soffitta tutte le letture psicologiche, psicoanalitiche e letterarie in tema d’amore. Casanova? Un soggetto dotato: era lui il vero produttore delle fantomatiche scie chimiche.
La fascinazione? Un semplice ed abbondante spruzzo di sostanze neurogradite.

Casasanova

La gente si incapriccia per motivi chimici, questa è la nuda verità, l’amore si scatena in seguito a reazioni dei neurorecettori umani.
Sono interazioni che scattano immediatamente, rapide come i cambi di casacca dei politici, e ancora largamente misteriose.
Saranno per decenni a venire oggetto di ricerca.
Quello che colpì Lallo, che subito dopo aver parlato con la sua sfolgorante musa, si era precipitato a leggere l’intervista, è che l’amore, secondo la teutonica tesi, può insorgere anche a causa di un odore proveniente dall’altro o dall’altra, o addirittura di una puzza, se questa però viene ben recensita dai neurorecettori.

L’agguato amoroso può provenire perfino da una sola parola, pronunciata,

magari detta innocentemente, una parolina qualsiasi, apparentemente priva di appeal romantico, che possieda tuttavia il potere di estasiare di gioia chimica i recettori della persona con la quale si sta conversando. Tarallo, in vista di un possibile articolo, approfondì naturalmente l’argomento, andandosi a cercare tutto quello che era possibile recuperare sulle tesi della cosiddetta “Scuola di Tubinga Scalo”, un gruppo di scienziati che, dopo decenni di studi ed esperimenti, aveva elaborato la teoria della “Das Wort, das sich ausbreitet”, ovvero della cosiddetta “Parola che stende”.

Tarallo ne fu affascinato. Pensò subito di utilizzare un’espressione più ruffiana in un eventuale pezzo giornalistico di colore.
“La parola dell’amore”, poteva chiamarla, stuzzicando le vaste possibilità e le suggestioni che la teoria di Trapunzer e colleghi innescavano.

Il Professor Kurt Trapunzer,

Che teoria pazzesca! Chiunque di noi, anche in totale  assenza di mire di conquista, nel corso di una qualsiasi conversazione, discorso, prolusione, comizio ecc ecc, può inavvertitamente pronunciare una parola che per puro accidente, viene riconosciuta come erogena, o ammaliatrice, dai neurorecettori di chi sta parlando con noi o da uno dei membri dell’uditorio al quale ci stiamo rivolgendo.

Il neurobiologo Heinz Fritz Cacace

Il neurobiologo tedesco Heinz Fritz Cacace, di palesi origini italiane, annota nel suo apprezzatissimo saggio “Occhio a come parli!”, una serie di episodi che a suo dire sono emblematici di questo fenomeno ancora troppo in ombra, fatti che avallerebbero in pieno la teoria della Parola che stende, o, se si preferisce, della totale casualità chimica che sta alla base dell’invaghimento d’amore.
“Anni fa, – riporta lo studioso – si scatenò un violento incendio in una rivendita di prosciutti usati a Heidelberg.

Il gestore, un tale Kaspar Mammolen, personaggio esangue, dalla faccia assolutamente inespressiva, appena arrivarono i soccorsi, fornì al Comandante dei Vigili del fuoco un breve e concitato resoconto sull’origine del rogo.

Qualcosa nel suo discorso sembrò tuttavia trasmettere al milite una significativa scossa.
Mollata infatti l’ascia che teneva in mano, il Comandante, uomo dai modi solitamente tendenti al brutale, si accostò con passo da diva all’attonito Mammolen cingendolo alla vita.
Costringendolo con una megamoina ad una sorta di caschè, tentò ripetutamente di baciarlo, in preda ad una specie di febbre.

Frattanto, non avendo ancora ricevuto istruzioni, la squadra dei pompieri restò inerte, paralizzata dallo stupore per la scena inaspettata a cui stava assistendo.
Inutile dire che a causa della piega inusuale presa dall’evento, lo stabile andò completamente combusto.
Nel rogo trovarono una fine atroce più di settecentotrenta prosciutti usati, che erano tuttavia ancora in buon stato.

Nei giorni successivi una equipe di studiosi del nostro gruppo di Tubinga Scalo tentò di decifrare una causa credibile di tale sorprendente esito. Attraverso dei test e una lunga intervista al Comandante che, innamorato pazzo,  stazionava in pianta stabile fuori della stanza d’albergo occupata da Mammolen, gli scienziati fecero risalire tutto quel trambusto alla parola autoclave che il rivenditore di prosciutti usati aveva pronunciato nel corso della prima fase del colloquio avuto con i soccorritori.
Non si sa ancora per quale motivo, ma quella parola, autoclave, fatta deflagrare senza intenzione da Mammolen, aveva viaggiato come una freccia verso il cervello del Comandante ed i suoi neurorecettori l’avevano parata come Buffon fa con una palla velocissima, e gustata subito come se fosse un cremoso Saint Honoré”.

Lord Bombolo il pennuto seduttore

Anche l’episodio di Polly Badwedding, una guardarobiera di Houston, nel Texas, sedotta da Lord Bombolo, un pappagallo parlante, un calopsite per la precisione, era entrato nella casistica deI ricercatori teutonici. Il pennuto era l’attrazione del “The Giungle Corner”, un grosso negozio di animali, e dalla sua gabbia, chissà perché, salutava tutti i clienti con un allegro grido guerresco: “Tomahawk”, parola che, esattamente come l’ascia indiana, andò a colpire la zucca di Polly, denudandosi sfacciatamente dinanzi ai suoi neurorecettori in festa.

Lallo ormai aveva raccolto molto materiale da organizzare in vista della stesura del pezzo, qualcosa di grande effetto, pencolante tra la divulgazione scientifica e il birignao da rotocalco.
Raccolse il coraggio e sfilando affianco alle pallide muffe umane abbarbicate alle loro scrivanie, bussò alla porta del Direttore con l’intenzione di proporgli il pezzo.
Stranamente Frangiflutti sentendo picchiettare, strillò uno sgarbatissimo “Avanti, sotto a chi rompe!”, ma quando vide che si trattava di Tarallo, alzando gli occhi al cielo e guardando il soffitto, riprodusse lo stesso sguardo che fece San Sebastiano quando la terza freccia lo colse sulla coscia.

Come al solito, mentre Lallo esponeva con calore e convinzione la sua mercanzia giornalistica, il Direttore girellava la testa in ogni direzione, sbuffando senza dissimulare il suo fastidio.
Ad un certo punto non resse più e con un sorrisino a lama di coltello, gli sibilò:
“E secondo lei questa montagna di stupidaggini, questo Everest del detrito scientifico, avrebbe un fondamento? Eh Tarallo? Me lo dica lei!”.
Lallo tenne il punto nonostante l’esplicito scetticismo di Frangiflutti e ribatté: “Non sono affatto stupidaggini, sono teorie già accertate da una equipe di serissimi ricercatori tedeschi, roba solida insomma.
Perché vede Direttore, è tutta una questione di

neurorecettori…”.

Subito dopo aver pronunciato l’ultima parola, Lallo si rese conto che il Direttore aveva avuto un sobbalzo, una specie di saltello dalla sua poltrona. Frangiflutti si piegò in avanti sulla sua scrivania arrivando a sfiorare col suo il viso di Tarallo.
Parlò, e la voce suonò del tutto diversa dalla sua solita, era come scurita, abbassata, arrochita.
Battendo graziosamente le ciglia, quasi a toccare col volto quello di un Lallo fattosi di sale, sussurrò:

“Mmmm…Ha detto..neurorecettori? Oddio: amo il modo in cui lei Tarallo dice neurorecettori, e che pronuncia sexy! Nessuna di queste amebe che ho qui intorno mi dice mai neurorecettori:
Mmmm…..Saa Lallo, (mi permette di chiamarla così, vero?) io l’avevo mal giudicata… Davvero… Ha da fare stasera?…”           

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