Latina Città Aperta intervista Marco Omizzolo

Una Vita spesa a denunciare il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento degli stranieri nei campi. Il suo lavoro parte da dossier dettagliati fino al toccare con mano la routine massacrante dei braccianti nell’Agro Pontino: Marco Omizzolo, sociologo, giornalista e creatore della cooperativa sociale “In Migrazione”, è profondo conoscitore delle minoranze straniere e della comunità Sikh di Sabaudia e San Felice Circeo.

Da anni combatte la rete dei caporali, racconta le condizioni di vita, i problemi di salute e lo stato di lavoratori che spesso sfiorano la schiavitù.


Marco Omizzolo da quando ha cominciato ad impegnarsi in fenomeni di mafia e criminalità, in particolare, nel settore dell’agricoltura, riceve avvertimenti e minacce di morte.

Abbiamo cercato di conoscere meglio il suo operato per capirne l’impegno civile e comprenderne il valore morale…

Per conoscere meglio la realtà del Caporalato ha vissuto, sotto copertura, per tre mesi facendo il bracciante agricolo.
La mattina lasciava l’auto a Bella Farnia e raggiungeva i campi in bicicletta.
Con questa esperienza ha iniziato a toccare con mano l’universo dello sfruttamento… 

Posso parlare di questa mia esperienza sia per via di un decennale impegno teorico in qualità di sociologo e ricercatore, che pragmatico sviluppatosi in seguito alla mie esperienza di osservatore partecipante condotta per alcuni mesi nelle campagne pontine al seguito di alcune squadre di braccianti indiani.

Ho iniziato prendendo spunto delle confidenze che mi arrivavano dai braccianti indiani e seguendo questo filone sono riuscito ad osservare da vicino il fenomeno del caporalato, dello sfruttamento lavorativo e dal traffico di esseri umani tanto da rilevarne matrici, interessi e dinamiche che hanno prodotto, come ho appurato, anche diffusi casi di riduzione in schiavitù.

Ho appreso quella che è la dimensione propria di un certo sistema agricolo, certamente parziale rispetto a quello generale composto di imprenditori seri e capaci, che insieme allo sfruttamento agricolo compromette diritti e matura enormi profitti.
L’ultimo rapporto Eurispes parla di 25 miliardi di euro legati al business delle agromafie, con un balzo del 12,4% nell’ultimo anno e una crescita, dunque, che sembra non risentire della stagnazione dell’economia italiana e internazionale, immune alle tensioni sul commercio mondiale e alle barriere circolazione delle merci e dei capitali.
L’Agro Pontino insieme ad alcuni altri territori è centrale nello scacchiere criminale agromafioso, come ricostruito nel mio ultimo libro “Caporalato. An authentic agromafia” della Mimesis International insieme alla professoressa Fiammetta Fanizza.
Ancora secondo Eurispes e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare guidato da Giancarlo Caselli, persiste e si rafforza una rete criminale che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza, tanto che ormai si può parlare ragionevolmente di mafia 3.0.

All’alba i braccianti vengono prelevati e portati sul posto di lavoro da un furgone del “caporale”

Qual è la giornata tipo di un bracciante agricolo indiano e in che contesto si svolge? 

La giornata è scandita dagli ordini del caporale che arrivano la sera prima per il giorno dopo. In alcune fasi dell’anno si arriva a lavorare 14 ore circa al giorno con due pause da dieci minuti. Ritmi infernali che lasciano pesanti segni sui corpi dei braccianti.
Ci si alza alle 5 del mattino, si fanno a volte anche 30 km tra andata e ritorno che segnano l’inizio e la fine di una giornata scandita solo dal lavoro. A volte si deve lavorare in ginocchio nella raccolta di frutta e verdura, ad esempio ravanelli per imprese di proprietà di società straniere, per esempio olandesi. Tutto questo sia in inverno con le temperature rigide che in estate con il caldo estenuante.

“Commodo” è tra le ultime operazioni di polizia per cui il Pontino è salito agli “onori” della cronaca nazionale in termini di sfruttamento. 
Il reato imputato è quello di «associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro, estorsione, riciclaggio, corruzione, reati tributari».

Di reiterato c’è la piaga del Caporalato che si ripete di continuo, di nuovo c’è il salto di “qualità” che vede la partecipazione del sindacato e dell’ispettorato al lavoro uniti in un connubio che secondo la Magistratura avvicina il “mondo di sotto” del caporalato e “il mondo di sopra” delle Istituzioni.

I livelli si sono incontrati e fusi? 

Il dato di fatto non sta nel “come” è organizzato il Sistema ma nel fatto che questo connubio criminale è salito ai “disonori” della cronaca, è stato riconosciuto e dimostrato.

Già in base alla mia esperienza sostenevo che i rapporti di forza comprendevano soggettività che erano molto più ampie rispetto a quelle del datore di lavoro, caporale e lavoratore. Comprendevano anche liberi professionisti, come avvocati, consulenti del lavoro, commercialisti e molti altri soggetti della pubblica amministrazione.

“Commodo” dimostra tutto questo, ovvero che il caporalato e lo sfruttamento lavorativo è un “sistema” e che come tale riesce a funzionare grazie ai contributi e alla collaborazione di soggetti altri, in questo caso un sindacalista e un ispettore del lavoro che agivano non nell’interessi dei lavoratori o per deontologia professionale, ma per i profitti del datore di lavoro e per convenienza specifica.

Questo “mondo di sopra” è fondamentale per il “mondo di sotto” perché quest’ultimo, senza l’appoggio delle “alte sfere” non sussisterebbe: se esiste lo sfruttamento è perché persiste questo complesso di interessi e di rapporti che sono perpetrati da trent’anni.

Quali responsabilità, si possono imputare al Ministero del Lavoro e in senso globale alla politica degli ultimi anni nell’aver poco o per niente vigilato sulle ispezioni, sulla condotta delle aziende nei confronti dello sfruttamento del lavoro nelle campagne? 

Va riconosciuta l’istituzione di una legge, la 199 del 2016, che quando applicata produce risultati concreti. Purtroppo però siamo ancora solo su un approccio punitivo-repressivo e non preventivo del fenomeno.
La politica è purtroppo in gran parte latitante e soprattutto le forze di questo governo che millantano il cambiamento ma virano verso la difesa di interessi e consorterie consolidate, a volte criminali.
Le leggi incidono lentamente nel riconoscimento dei diritti, abbiamo ancora il reato di clandestinità vigente in questo Paese, un complesso di norme che determinano cittadini di “serie A” e non cittadini “di serie B”.
Tutto questo rafforza il caporalato e l’emarginazione. La politica ha enormi responsabilità, potrebbe fare molto di più in termini di progetti e di “pulizia della filiera”, non lo fa perché c’è un regime di convenienza elevato: il caporalato è anche una importante macchina per il consenso sociale e politico.

Quale è la correlazione, il rapporto tra l’accoglienza dei migranti e il fenomeno del caporalato?
Il recente decreto sicurezza, capofila dei provvedimenti normativi recenti, colpisce la “buona accoglienza” e, in particolare, il sistema Sprar.
Questo apre profondi spaccati di non ritorno, in termini di dispersione dell’inserimento dei migranti nel tessuto lavorativo e comunitario in tutta Italia.

Si è sempre più così.

C’è un sistema in corso di consolidamento che unisce la mala accoglienza in connivenza di fatto con il sistema dello sfruttamento e del caporalato. Ed è presente in ogni parte del Paese: dalla Campania, alla Calabria, al Lazio, all’Emilia Romagna, alla Lombardia addirittura. Questo perché quando le leggi vanno nella direzione di determinare cittadini di serie B e di rompere quei sistemi virtuosi di inclusione sociale, come impone l’attuale Decreto Sicurezza, ne consegue la non inclusione e dunque l’emarginazione, l’aumentare delle condizioni di fragilità delle persone.
Il sistema padronale che è astuto nell’intercettare questi fenomeni, interviene instaurando legami con le forze peggiori della malaffare con l’accoglienza.
Infatti registriamo casi di caporali che vanno direttamente dentro centri di prima accoglienza, soprattutto straordinaria, a reclutare ospiti per poi indirizzarli direttamente nelle campagne in condizioni paraschiavistiche. 

Nell’operazione Commodo, 400 delle 500 persone liberate erano impiegate nei centri di prima accoglienza: avevano diritto a percorsi di inclusione sociale, di legittimazione, di riconoscimento ed invece erano di fatto schiavi nelle nostre campagne. Pur essendo venuti da contesti dove i loro diritti erano negati hanno ritrovato qui una parte di quelle violenze dalle quali erano scappati.

Come giudica la recente legge, la n.199/2016, contro il caporalato? Quali gli aspetti ancora da integrare, migliorare?

E’ una buona legge, rappresenta un passo in avanti rispetto ai molti che ancora se ne devono fare, i dati del rapporto Eurispes e in particolare dalla Guardia di Finanza indicano che è applicata dalle forze dell’ordine e quando attuata intercetta il fenomeno, lo combatte adeguatamente.
Molto altro c’è ancora da fare, mi riferisco ad una riforma del welfare che vada nella direzione dell’inclusione reale e del superamento del disagio, attraverso una riorganizzazione strutturale della grande distribuzione organizzata, penso ad un sostegno fattivo nei confronti di tutti i lavoratori agricoli e di tutti quegli imprenditori agricoli che decidono di denunciare questo sistema, provano ad opporsi al malaffare e difendere i principi di legalità e democrazia.

Su tutto questo la Legge è ancora latitante.

Investigazioni complesse, vertenze sindacali, azioni politiche, inchieste giornalistichee sentenze.
Il tragitto da percorrere per sconfiggere il caporalato sembra ancora lungo e piuttosto in salita…

Si ritengo che sia un sistema resiliente e capace di opporsi alle azioni di contrasto e per questo occorre una azione politica nazionale ed internazionale. Il caporalato non vige solo in Italia, domina anche in altri Paesi. E’ necessario intervenire anche in sede europea sulle politiche agricole, è indispensabile ristabilire il diritto penale per rendere più celeri i processi contro caporali e mafiosi, così come è necessario accelerare la confisca delle aziende agricole che hanno fatto business sulla schiena piegata dei braccianti italiani e stranieri.
Qui si apre una riforma vera, profonda dei centri per l’impiego, su questo si sta ragionando ma sembra ancora lontano l’obbiettivo che vada verso una riabilitazione fattiva della filiera lavorativa.

Il 29 dicembre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata Eroe Civile, Cavaliere all’ordine e al merito delle Repubblica Italiana… 
Come ha accolto questo riconoscimento? Cosa significa per Lei?

E’ stato un grande onore. Non me lo aspettavo.
Credo che sia certo un riconoscimento al mio lavoro ma ancor più un riconoscimento al Tema. Il Presidente Mattarella ha voluto dare, io credo, un segnale chiaro: lo Stato Italiano sta dalla parte di chi combatte sfruttamento, caporalato, mafie, agromafie e tratta internazionale e questo è il segnale più importante che potesse essere mandato.

Si è passati da una fase in cui, molti anni fa, i più importanti vertici istituzionali-provinciali non riconoscevano il problema oppure lo giustificavano in forma, ad una fase attuale in cui il massimo rappresentante istituzionale, il Presidente della Repubblica, lo riconosce e sostiene le nostre battaglie.

Questo è un momento di svolta straordinario…

Marco Omizzolo

Intervista a cura della nostra Francesca Di Folco

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