Egon Schiele: la vita in un quadro

Venne da molti giudicato eccessivo, crudo nelle sue rappresentazioni, oppure al limite dello scandalo, ma vedere i suoi quadri e i suoi disegni dal vero è ancor oggi qualcosa di indimenticabile ed emozionante.
L’interesse che continua a suscitare si deve infatti soprattutto dalla forte suggestione che il suo lavoro esercita ancora oggi su chi ha la possibilità di osservarlo dal vero, come accade, ad esempio, al Leopold Museum di Vienna, un vero e proprio santuario dedicato a questo artista straordinario, una esposizione ricca di opere e di spiegazioni illuminanti.
Una reazione simile fu suscitata anche dalla mostra di Roma, allestita al Vittoriano nel 2001, che insieme alle sue, esponeva anche le opere di Klimt e Kokoschka, altri due esponenti della corrente che fu definita la “Secessione viennese”.

Leopold Museum, Wien. (©Foto: Julia Spicker)

Egon Schiele nacque a Tulln an der Donau il 12 giugno 1890, nella stazione ferroviaria in cui il padre svolgeva la mansione di capostazione. La sua, dunque, era una famiglia della piccola borghesia.
Il giovane Schiele non fu certo uno studente modello: volendo essere generosi diremmo che a scuola non prendeva buoni voti.
In pochi anni si verificarono nella sua vita però due fatti che si sarebbero rivelati decisivi per il suo futuro. Il primo di questi fu la morte del padre, avvenuta quando lui aveva appena 14 anni, che fu un evento che sconvolse la sua personalità; il secondo fu l’esplosione di un talento artistico che gli permise di essere ammesso all’Accademia di Belle Arti di Vienna a soli 16 anni.
Schiele divenne il pupillo di Gustav Klimt, non certo di un docente qualsiasi, ma di uno dei maggiori artisti figurativi del primo Novecento, esponente assoluto, assieme ad Oskar Kokoschka, del primo espressionismo tedesco.

Presto, per Schiele e per il suo percorso, iniziarono degli alti e bassi: se conseguiva l’approvazione di maestri del calibro di Otto Wagner e Gustav Klimt, allo stesso tempo veniva bersagliato di critiche da parte del resto del corpo accademico, non ancora pronto per la sua svolta stilistica così radicale.

Egon Schiele nel 1906

In questi anni Egon era un ragazzo insoddisfatto ed incompreso, che odiava l’accademia e cercava ispirazione al di fuori di essa, nel territorio ai confini tra Art Nouveau ed Espressionismo.
Nel 1909 lasciò la scuola e si dedicò a creare e a esporre dipinti utilizzando ragazze e bambini come modelli.

In breve tempo emersero sia il suo linguaggio che il suo tema caratteristico: un’angoscia esistenziale, tutta moderna, ed un desiderio di introspezione, sicuramente legato alla psicoanalisi.
La fama, tuttavia, era ancora ben lontana, ma tra il 1913 e il 1914 nella sua vita si registrò una improvvisa inversione di tendenza: Egon approdò velocemente al successo, ma anche sul piano personale trovò una scelta sentimentale che lo condusse al matrimonio con Edith Harms.
Iniziò così una nuova fase per la sua pittura che divenne più consapevole e trovò un maggiore equilibrio.
Divenne che la figura di maggiore spicco nel panorama artistico viennese del momento.

Egon e Edith Harms

Ora, sarebbe capzioso chiedersi dove avrebbe potuto portarlo questa nuova direzione, e quali avrebbero potuto essere le sue influenze sul suo futuro. La domanda resterebbe senza risposta certa perché Schiele purtroppo morì giovanissimo, nel 1918, a causa della grande epidemia di influenza spagnola che falcidiò il mondo.
Spirò tre giorni dopo la morte di sua moglie.

Resta da chiedersi quale fu il motivo per il quale Egon Schiele venne così presto inserito nei libri di storia dell’arte.
Cosa lo rese così apprezzato nonostante la morte prematura ed il consenso altalenante di cui godette in vita?

Si potrebbe forse dire per il suo fantastico tratto, per le sue linee sicure e precise, capaci di creare disegni che non denunciavano esitazioni né sbavature.
Guardando un suo lavoro, infatti, si può riceverne una sensazione di perfezione: la sua matita sembra guidata da un irrefrenabile spirito di bellezza e armonia.

Egon Schiele – L’Abbraccio, Gli Amanti II, 1917

Ma l’elemento essenziale della sua arte fu l’intensità, la capacità di trasmettere all’osservatore tutto il bagaglio emotivo che si celava dietro a ogni soggetto, dal più elaborato al più banale.
Sotto questo aspetto Schiele può essere considerato un genio: nelle sue opere riusciva a far parlare persino alberi scheletrici, oppure quegli edifici vecchi e cupi, addossati l’uno all’altro, tipici dei borghi austriaci.

Hauswand am Fluss (1915)

L’altra sua caratteristica evidente era l’estrema modernità delle sue opere, che pur rientrando nell’atmosfera del periodo, non solo non ne erano ma ne diventarono una sua personalissima interpretazione.
Nei lavori di questo artista si riconoscevano infatti elementi cubisti, espressionisti, art nouveau e simbolisti, ma la cifra della sua opera era legata indissolubilmente al loro autore, alla sua incisiva personalità.

La grandezza di Schiele fu proprio la capacità di non rimanere imbrigliato nelle etichette, di esprimere nuove idee senza finire per somigliare a nessuno, ma in ogni caso, senza perdere il legame con il tempo in cui viveva.

Poche opere d’arte trasmettono lo stesso raggelante senso di angoscia suggerito da “La morte e la fanciulla”, un suo quadro conservato al Belvedere di Vienna.

La morte e la fanciulla, del 1915

Fu dipinto nel 1915 sulla scia di un motivo di origine rinascimentale.
La tela mostra un uomo e una donna contorti su un lenzuolo che pare un sudario spiegazzato, adagiato su un irreale fondo roccioso che sembra isolarli nella loro tragica desolazione.
Il personaggio a sinistra del dipinto, fantasmatica forma della morte stessa, indossa un saio marrone e con una mano ossuta stringe la testa della fanciulla appoggiata sul suo petto, l’altra mano si allunga sulla spalla della ragazza, che lo cinge, quasi a trattenerne l’abbraccio.

La tematica e la composizione ricordavano “La sposa del vento”, l’opera dipinta un anno prima da Oskar Kokoschka a celebrazione della sua passione per Alma Mahler, ma nel quadro di Schiele è assente ogni estasi amorosa come pure ogni possibile comunicazione tra le due figure, che appaiono cristallizzate, ognuna chiusa nella propria solitudine senza scampo.
Lo sguardo della ragazza fugge verso l’esterno, perso nei suoi pensieri, mentre quello dell’uomo è spalancato sull’abisso dentro di sé.

La sposa del vento, Oskar Kokoschka, 1913

I personaggi rappresentati sono lo stesso Schiele, all’epoca venticinquenne, e la sua fedele modella e compagna Wally Neuzil, di quattro anni più giovane.

Il quadro, che metteva in scena lo sgomento per la fine di un amore, conteneva anche il presagio di altre fini, della catastrofe che stava per abbattersi sul mondo di allora, sul suo stile di vita, su un’epoca intera.
Egon e Wally si erano conosciuti nel 1911, quando lei non aveva ancora 17 anni.

Wally era nata nel 1894 a Tattendorf, nella Bassa Austria, in una famiglia di modesta estrazione e dopo la morte del padre, che era un insegnante, nel 1906 si era trasferita nella Vienna raffinata dell’epoca, dove la linea di confine tra una modella e una prostituta era sempre incerta.
Schiele la conobbe e se ne innamorò e i due, per sfuggire alle malelingue viennesi, si trasferirono a Krumau, nel Sud della Boemia (oggi nella Repubblica Ceca), il villaggio natale della madre di Egon.
L’ostilità degli abitanti, che disapprovavano lo stile vita dell’artista e della sua compagna, e ancor più l’utilizzo di modelle minorenni, li aveva però convinti a cambiare nuovamente aria. La coppia aveva poi trovato rifugio a Neuglenbach, a circa 35 chilometri da Vienna.
Oltre a posare Wally amministrava i conti di casa, teneva i contatti con i galleristi, e arrotondava le entrate lavorando via via come commessa, cassiera, indossatrice.
Fu proprio a Neuglenbach, nell’aprile del 1912, che a Schiele toccò subire l’onta del carcere.
Fu detenuto per tre settimane, con l’accusa di avere rapito e sedotto una modella tredicenne.
Al processo venne assolto, ma gli furono inflitti tre giorni supplementari di detenzione per l’esibizione di immagini pornografiche, cioè i suoi quadri, in presenza di una adolescente!

Donna distesa – 1917 –

Il crudo erotismo, che si sprigionava dai corpi nudi, colti in improbabili posture, rimandava al concetto di thánatos (“Nella vita tutto è morte” annotava Egon in una pagina di diario), ed era la cifra ossessiva dell’artista.
Introdotto infatti alle dottrine di Freud dall’amico Max Oppenheimer, Schiele scavava nell’inconscio dei suoi soggetti, tra i quali spiccava lui stesso, per scomporne l’unità di facciata e far emergere quell’inquietudine e quel senso di precarietà che sono quelli tipici di ogni fase storica che declina verso il suo tramonto.
Perfino lo scandaloso, Schiele, che intanto si stava imponendo sulla scena viennese, ad un certo punto cedette al conformismo perbenista.
“Sto pensando a un matrimonio vantaggioso. Non con Wally”, scriveva nel febbraio del 1915 all’amico critico Arthur Roessler.
Pochi mesi prima aveva conosciuto due sorelle della media borghesia, Adele e Edith Harms, che vivevano a Vienna nella stessa strada in cui lui aveva il suo studio.

Autoritratto

Per qualche tempo frequentò di nascosto Edith, illudendosi di poter tener il piede in due staffe, finché quest’ultima gli impose di fare una scelta e Schiele decise per lei, più socialmente presentabile.
Non si rassegnava tuttavia alla perdita di Wally: le propose di continuare a vedersi per una vacanza insieme ogni anno. Questa volta però toccò a lei dirgli di no, sparendo per sempre dalla sua vita.
Il 17 giugno del 1915 Egon e Edith si sposarono, tre giorni dopo lui partì con l’esercito austro-ungarico, impegnato nella Grande guerra.

Il dolore per il distacco da Wally restò fissato per sempre in quel dipinto, “La morte e la fanciulla”, in cui l’artista, bloccato in una situazione senza via d’uscita, si raffigurava nella medesima posa di un suo acquerello conservato all’Albertina di Vienna e significativamente intitolato: “Prigioniero”, che si riferiva alla disavventura giudiziaria patita nel 1912.

Prigioniero! di Egon Schiele

Dopo il trauma della separazione, nei lunghi mesi che scandivano inesorabilmente le tappe della finis Austriae, Wally cercò la via della rispettabilità sociale, iscrivendosi ad un corso da infermiera e prestando servizio nell’ospedale militare di Vienna.

In un impeto patriottico, nel 1917, partì volontaria per la Dalmazia, terra nella quale, nel mese di dicembre di quello stesso anno, si ammalò di scarlattina.
Morì nel giorno di Natale, a soli 23 anni.

Pochi giorni dopo questo evento assai doloroso, l’11 gennaio, di ritorno da un viaggio, anche l’amico e mentore di Schiele, Gustav Klimt venne colpito da un ictus.
Il pittore si spense il 6 febbraio, a 55 anni, lasciando a Schiele il ruolo di artista austriaco più in vista del tempo, ruolo che non potè godere a lungo. Nell’autunno del 1918 la febbre spagnola, che fece non meno di 50 milioni di vittime in tutto il mondo, più del doppio, dunque, di quelle causate dalla Grande guerra, raggiunse Vienna.

Egon Schiele

Edith si ammalò ed il 28 ottobre morì, portando con sé il bambino che da sei mesi aveva in grembo.
Egon, che l’aveva accudita e ritratta senza posa, fino all’ultimo, non sfuggì al contagio e si spense tre giorni dopo, il 31 ottobre.
Il 3 novembre l’Austria-Ungheria, distrutta militarmente e scossa politicamente dalle insurrezioni, firmò l’armistizio con l’Italia.
Era la definitiva capitolazione del multietnico e antico impero asburgico, orfano ormai da due anni del suo kaiser Franz Josef. La sua unità venne smembrata per sempre.

Così, oltre alle drammatiche vicende del crollo di una potenza politica, militare e culturale, e alla vita e all’opera di un genio della pittura, ci rimane nella mente la storia di un’ambizione, quella di Egon Schiele, che sacrificò il suo grande amore, Wally, sull’altare del successo
Fu soprattutto l’amore profondo e complice di Wally ad alimentare l’ispirazione di Egon, anche se non riusciva a saziarlo del tutto.
Sorprendentemente, lui alla fine le preferirà una piccola soddisfazione sociale: un matrimonio piccolo borghese di convenienza.

Ritratto di Wally Neuzil -1912-

Comunque non ci sarebbe stato nessun lieto fine, anche Egon lo sapeva.
Lui aveva risucchiato la linfa di Wally senza averle potuto dare in cambio nulla di concreto.
Le donò semmai un’eterna giovinezza, solo su tela, però, non al suo fianco.

Egon Schiele

Così, iconicamente, lui diventò Morte per lei rappresentata come Fanciulla, nell’ultimo dipinto che li ritraeva insieme, usando la propria arte come un’esperienza emozionale con la quale alleviare la psiche affranta.
Il destino di Schiele era già preannunciato nell’assunto di quel quadro: uno dei due personaggi, lui stesso, si faceva una cosa sola con la morte e abbracciava la giovane donna in ginocchio.

Era l’addio alla sua amata Wally, l’addio definitivo prima che sposasse Edith.
Ancora una volta Thanatos aveva sconfitto Eros…

È stato sottolineato infine che Schiele assumeva volentieri il ruolo di genio incompreso.
Questa sorte di coscienza emergeva bene in una lettera da lui indirizzata al dottor Oskar Reichel, nella quale affermava:

Presto o tardi emergerà una fede nei miei dipinti, scritti e parole, che dico poche volte, ma nel modo più concreto possibile. I miei dipinti sono probabilmente solo preamboli.”

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.


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