ArcheoTour, San Saba

di Carlo Pavia

Posta sull’Aventino Minore, nella XII Regio Augustea, Piscina Publica, San Saba ha origini leggendarie, nascoste proprio nei suoi sotterranei: l’oratorio dedicato a Santa Silvia, madre di San Gregorio Magno, fu sede di una comunità di monaci orientali che provenivano dall’omonimo convento di San Saba in Giudea e che furono cacciati dai Persiani prima e dai musulmani poi agli inizi del VII secolo. Probabilmente già in precedenza un gruppo di eremiti si era qui stanziato occupando le strutture, ormai abbandonate, della IV Coorte dei Vigili.

In giallo la Basilica Inferiore di San Saba

I monaci crearono un tipico cimitero palestinese, con due ordini di tombe a forno e un piccolo monastero in stile bizantino. La zona dei sepolcri si ampliò con l’aumento di prestigio del monastero che, sotto le richieste dei pontefici romani, portò avanti una intensa attività diplomatica, divenendo vero e proprio tramite fra Oriente e Occidente.

Alla metà del X secolo si fanno risalire i pochi frammenti di affreschi rimasti, che inducono a ritenere che in quell’epoca vi dimorasse un gruppo di monaci benedettini di Montecassino. Si deve probabilmente a questi ultimi l’inizio della costruzione della basilica soprastante l’oratorio.

I lavori per il recupero dei sotterranei ebbero luogo all’inizio del XX secolo. Si rimosse completamente il piano pavimentale della chiesa e si operò lo scavo, riposizionando poi il pavimento, sorretto da pilastri in mattoni.

L’aula ipogea di San Saba: in primo piano sono i resti del cimitero e, dietro, l’abside con i blocchi murari della calotta

L’accesso agli ambienti sotterranei avviene dal portico della chiesa attraverso una duplice rampa di scale posta sulla sinistra; alcune tegole riposizionate sul muro di entrata provengono dalle tombe dell’oratorio e riportano iscrizioni in latino dipinte in rosso. Fra di esse una riporta “Ioannes Episcopus”. Sono visibili nel muro anche le basi delle due colonne che sorreggevano l’arco della porta centrale dell’oratorio del VII secolo.

L’oratorio ci appare oggi in quella che fu la sua seconda fase costruttiva, databile all’VIII secolo, quando il pavimento originario fu rialzato di 65 cm. per ricavare una parte cimiteriale coperta con un nuovo pavimento a lastre marmoree. I bracci trasversali hanno ai lati loculi a forno chiusi da tegole e ricavati o nel terreno o in una muratura in mattoni. Sulla calce di chiusura o sulle tegole sono visibili alcune iscrizioni: Eugenius praepositus Monasteri Sancti Ermetis e Petrus episcopus ecclesiae Nicopolitanae.

Frammenti di dipinti murali della chiesa inferiore di San Saba.
Fotografia acquerellata: Wilpert-Tabanelli
(da Fragmenta picta, p. 17).

Gli affreschi più antichi rappresentano sette teste di santi – conservate nella sacrestia – sono da attribuire all’oratorio del VII secolo e furono probabilmente realizzate dallo stesso artista. Quattro sono riconoscibili: S. Sebastiano, S. Lorenzo, S. Stefano e S. Pietro d’Alessandria.

Scene tratte dal Nuovo Testamento risalgono al rifacimento dell’VIII secolo. Di esse si conservano alcuni frammenti, sempre conservati nella sacrestia. Relativamente alle scene rappresentate, al di là di alcune congetture, sono certe quella di Pietro salvato dalle acque, con tanto di iscrizione: “Qui il Signore sul mare tende la mano a Pietro”. A seguire, la guarigione del paralitico, con l’iscrizione: “Qui il Signore ha salvato il paralitico”.

Guarigione del Paralitico. La scena cristologica, disposta in origine su un maschio murario fra due finestre, è perimetrata da una cornice e sormontata da un fregio a cerchi intrecciati (foto S. Cutarelli, 2015).
Fonte: “The Interpretation of the Space through the Surface: the Hypogeum of St. Saba in Rome” Silvia Cutarelli

Al IX-X secolo risalgono le pitture ancora in situ: un motivo di cortine con al di sopra diciotto grandi figure: apostoli, santi e monaci, di cui rimangono purtroppo solamente le calzature e i bordi dei vestiti, oltre ad alcuni nomi: Sabas, Benedictus, Laurentius, Petrus, Gregorius. Al centro due personaggi salgono i gradini di un palco. Il resto degli affreschi fu irrimediabilmente distrutto con la costruzione della chiesa superiore.

Inoltre vi sono alcuni pannelli parietali con figure geometriche e iscrizioni. In uno di essi è rappresentato un monaco pittore che regge in mano una cazzuola o un pennello. Ai suoi lati vi sono una spatola, un trapano, una squadra e un fusto di colonnina. Il suo nome: Martinus monachus magister. Dello stesso periodo il frammento, conservato in sacrestia, di un gruppo di monaci con cappuccio orlato di nero, identificati come benedettini. Ciò confermerebbe il subentro di questa comunità nella gestione della chiesa nel X secolo.

Ancora oggi sono oggetto di discussioni le particolari scritte apportate sull’intonaco relative al cimitero.

Per saperne di più Carlo Pavia, ROMA SOTTERRANEA, Gangemi Editore.

Carlo Pavia è l’Archeospeleofotosub (definizione coniata dal giornalista Fabrizio Carboni per un articolo sulla rivista Panorama): archeologo, speleologo, sub e fotografo.
Autore di molti libri sulla Roma antica, fondatore delle riviste “Forma Vrbis” e “Roma e il suo impero”.

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