Smart Commando. Quarta e ultima parte

                                                     

Un istante dopo che Taruffi aveva rivolto a Lallo il suo grido di impotenza: “Sto a un punto morto Tarà!”, Antimo Fracassa della “nera”, aveva fatto irruzione in redazione, con gli occhi sbarrati e, latrando forte, come Pappalardo in concerto, aveva strillato:
“Stanotte ne hanno fatte secche perlomeno altre cinque! Cinque, dico, capito?
“Ma di che parli Fracà?” disse qualcuno.
“Delle Smart, è ovvio, il commando ha colpito ancora! E’ incredibile: chiunque sia, o siano, nessuno li ferma.

Ho sentito il Maresciallo Parozzi della Questura: all’alba di questa mattina, in Corso Gotti, agonizzavano una quarantina di copertoni di Smart parcheggiate in strada, soffiavano la poca aria rimastagli, dagli sfiati delle ferite ricevute, roba che, poveretti, era una pena sentirli…
Tutti accoltellati”.

Si sentì allora un gemito venir fuori dal tanfo e Tarallo ebbe un moto di commiserazione per il povero Taruffi, sovrastato da un incarico molto al di sopra delle sue possibilità investigative, e personalmente troppo al di sotto dei normali parametri igienici per tentare almeno di affrontarlo.
“Tieni duro Tarù – gli disse, cercando sul suo catalogo facciale un sorriso incoraggiante – qualcosa ti verrà incontro spontaneamente, prima o poi, e ti darà lo spunto per partire col tuo pezzo: spesso succede così”:
“Grazie Tarà – rispose il cronista mestamente, in un filo di voce – sei un amico!”.

Il cronista Marzio Taruffi

Lallo, che durante il brevissimo colloquio aveva dovuto sostituire i polmoni con le branchie, mentre si allontava pensieroso dalla scrivania di Taruffi, potè finalmente concedersi un respiro pieno.
Era a disagio, confuso e corrucciato.
Qualcosa fortunatamente lo distrasse dal suo stato d’animo che stava volgendo al cupo.
Dal suo telefonino, infatti, si levarono improvvise e alte le note di “Finchè la barca va”, suoneria che non si sa in base a quali criteri, gli era stata impostata da Afid, il suo amico falsario, più esperto di lui nelle questioni tecnologiche.

Le luci della redazione si accesero tutte contemporaneamente, ogni cellulare presente iniziò a squillare e il Babbo Natale di gomma che stava poggiato floscio su uno schedario in attesa di essere impiegato come arredo natalizio, si gonfiò di colpo, divenendo enorme, gigantesco, ed emise dei soffi rauchi che ricordavano il verso dello stambecco in amore.
Tarallo, per nulla impressionato da quei fenomeni misteriosi, rispose alla chiamata bisbigliando: “Dimmi amore” , e si appartò, o almeno provò a farlo per quanto si potesse, in una redazione zeppa di anime morte, ma pronte, per deformazione professionale, ad origliare qualsiasi conversazione.

Mentre Lallo si dedicava ad un tenero bisbigliare con la bellissima Consuelo, capace, perfino a distanza, di evocare spettacoli di luci e suoni, l’ex condirettore Rapallo, alle prese con l’articolo sui gesuiti, ed al quale non fregava un accidente delle Smart, che gli stavano anzi, antipatiche, era infine giunto ad un difficile bivio professionale.
Dopo un periodo di gestazione tempestato di imprecazioni, alcune delle quali non mancavano di forza né di originalità, una fase di operosa inattività che si era prolungata per svariate ore, ormai non aveva più scuse né tempo: avrebbe dovuto assolutamente iniziare l’articolo impostogli da Frangiflutti e celebrare con esso i 485 anni e tre mesi di vita, della Compagnia di Gesù.

Lello Rapallo
Lello Rapallo

Si poteva capire il suo sentirsi esacerbato: oggettivamente era stata una carognata affibbiare un pezzo del genere, oltretutto assurdo, ad un poveraccio che era stato da poco raggiunto e affondato dalla mano pesante di un gesuita tra i più potenti.
Rapallo conosceva il potere della poltrona con la quale se la spassava quel monsignore, ed al rancore che provava per lui, che punendolo lo aveva anche strappato agli incontri con l’amata Greta, aveva unito una sorda ostilità per l’Ordine al quale quella tonaca melliflua apparteneva. Studiando qualcosa della vita del fondatore, per documentarsi, non potè trattenersi dal deprecare la deplorevole fertilità di quel tizio spagnolo, con più nomi che peli superflui, Beltrán Yáñez de Oñaz y Loyola, che non contento di aver già contribuito con ben dodici figli al sovraffolamento della regione basca, se ne era concesso un tredicesimo: Inigo, appunto, detto Ignazio, il futuro gesuita numero uno.

Ignazio di Loyola

Nemmeno per un attimo Rapallo, nella sua rabbia rancorosa, ebbe il sospetto di essersi abbandonato a considerazioni ingiuste.
In effetti il povero Ignazio, piantato nel pieno del 1500, non poteva certo prevedere che quattrocentottantacinque anni dopo la sua bella pensata di fondare la Compagnia, un suo adepto poco coerente si procurasse bollenti avventure oniriche con ogni attrice che gli venisse in mente.
Cosa ne poteva sapere un povero santo, magari nel tempo in cui era stato raggiunto da una palla nella gamba nella Pamplona cinquecentesca, assediata dai francesi, che Mons. Luis Verafè, alto prelato dell’Ordine che lui stava per fondare, nel futurissimo novembre del 2019, ci avrebbe provato con Scarlet Johansson?
Come avrebbe potuto immaginarlo, visto che allora lavorava a tutta birra per procurarsi un’aureola?
Niente da fare: nessun dubbio e nessuna clemenza potevano frenare il giornalista, che fumava di uno sdegno incontrollabile.
Ormai Lello Rapallo, ex beniamino della Compagnia, era perso per sempre alla causa gesuitica.

Monsignor Verafé
Monsignor Verafé

Mentre nella redazione del Fogliaccio si consumavano questi piccoli drammi umani, nell’elegante appartamento che fungeva da studio all’eminente psicologo Professor Cervellenstein, si viveva il bel momento di quiete che precedeva l’ondata dei pazienti previsti per la mattinata.
Cleofe, la sua segretaria ottuagenaria stava leggendo avidamente l’oroscopo quotidiano per sapere se sarebbe stato davvero quello il giorno nel quale si sarebbe imbarcata in una rovente avventura amorosa; il Professore, dal canto suo, stava elaborando il biglietto da accludere ad un pensierino che aveva acquistato per farne dono a Carmen, la bella antropologa con la quale si incontrava negli ultimi tempi.

Artigianato Pukapuka

Era riuscito ad aggiudicarsi nel corso di un’asta on line una meravigliosa Pu, la conchiglia gigante rituale, intarsiata con l’immagine di Ruahatu-Tini-Rau, il Dio polinesiano dell’Oceano, ritratto nell’atto di scagliare un pescespada contro il suo tradizionale nemico Meh-Devih-Pah-Gah, Dio delle Cartelle Esattoriali.
Per aumentare l’effetto del suo dono, stava tentando con grande fatica, di elaborare per lei una dedica in lingua Pukapuka, ma non era ancora convinto della bontà del testo:

Poi, improvvisamente, la quiete dolce nella quale stava cullandosi il Professore, andò completamente all’aria: al seguito di una pestilenziale zaffata di Epitaph, le sue tremende sigarette, comparve Cleofe, che senza preamboli proclamò: “Non sono riuscita a fermarlo: c’è qui Tressette, ultraelettrico, che non sente ragioni e dice che deve assolutamente parlarvi!”.
“Fallo passare”, mormorò rassegnato Cervellenstein, alzando al cielo uno sguardo da martire.
Omar Tressette, sommariamente vestito, in disordine e spettinato, irruppe con foga vistosa nel sancta sanctorum del Professore.
Aveva in mano un ingombrante ma vezzoso pacco dono, già scartato, con fiocchi e fiocchetti rossi che pendevano qua e la.
Agitatissimo, l’ometto disse: “Oggi è il mio compleanno!”
“Beh? – commentò lo psicologo, interdetto – allora auguri, e cento di questi giorni, ma non capis…”

Il giovane Lisippo Tressette

“Mi lasci finire – Tressette riprese il bandolo della conversazione – questo è il regalo che mi ha fatto mio nipote Lisippo, e lo ha accompagnato con un bel biglietto in cui riafferma la sua incondizionata ammirazione per me e si dice convinto che questo suo dono mi renderà fiero di lui, sangue del mio sangue”.
“Ah bene, è carino da parte sua”, disse Cervellenstein senza troppa convinzione.
“Guardi questo regalo, lo guardi”.
E Tressette, senza chiedergli il permesso, allungò il grosso pacco al Professore.

Lo psicologo, un po’ imbarazzato ed esitante, si decise infine a sollevare il coperchio: un cumulo di brandelli sporchi di copertoni di automobili si ammonticchiava all’interno della scatola.

Certamente appartenevano tutti a delle Smart.
Il Professore fece un salto indietro mentre la mandibola gli precipitava in basso, sostando a lungo dalle parti delle ginocchia: pochissime cose avevano in precedenza sbalordito altrettanto quel professionista delle turbe psichiche.
Tressette lo fissava, spiandone le reazioni.
“Cosa intende fare – disse infine Cervellenstein, che aveva faticosamente recuperato il dono della parola – lo denuncerà?”
“Non so davvero cosa fare – rispose Tressette con aria depressa – forse ho anche qualche lieve responsabilità in quello che è successo.
Il punto è che probabilmente in famiglia mi sono lasciato sfuggire qualcosina a proposito di questa mia antipatia
Ma Lisippo è troppo giovane per finire in cella: debbo escogitare per lui un piano-salvezza.
Per prima cosa, però, vorrei che lei lo prendesse tra i suoi pazienti.
E, Professore, non ammetto rifiuti!

Cervellenstein lo vide così turbato che non osò opporvisi.
Assentì chinando la testa, senza parlare.
Accidentaccio: con tutta probabilità il giovane Lisippo Tressette gli avrebbe fatto sputare sangue, lo presentiva.
Strinse debolmente la mano ossuta di Omar e lo guardò uscire a testa china.
Le romanticherie pukapukesi si erano ormai dissolte nella sua mente, così lo psicologo si chiese in qual modo il suo paziente più esuberante avrebbe potuto salvare quel nipote problematico dalla mano cinica della legge.

Il Prof. Cervellenstein immerso in fantasie Pukapukesi

Avrebbe dovuto far ricorso a tutta la sua potenza finanziaria ed alla sua indubbia fantasia.
“Povero Omar – pensò il Professore – stai a vedere che, alla faccia di tutto, le leggi del sangue funzionano davvero!”.
Tre giorni dopo, tra il clamore assordante della stampa, in città cominciò a spargersi la voce che il fantomatico squarciatore di gomme delle Smart si fosse fatto avanti confessando tutto.
Ed in effetti, poche ore prima che quell’ipotesi si fosse fatta strada nell’opinione pubblica, Anastasio Corazon, uno dei più illustri mitomani che Cervellenstein avesse mai curato, uno che tre anni prima aveva tentato di attribuirsi la responsabilità dell’assassinio di Giulio Cesare e di quello di Abramo Lincoln, si era presentato in questura, dichiarandosi autore degli accoltellamenti nei confronti delle Smart.

Il celebre mitomane Anastasio Corazon

Gli inquirenti, che ignoravano gli ameni trascorsi psicanalitici di Corazon, sembrarono subito dargli credito, tanto più che il bizzarro umanoide gli aveva consegnato una scatola con dei brandelli di copertone ed un coltello da sub, rivelatosi poi l’arma dei delitti.
L’individuo si mostrava incongruamente raggiante, sembrava bearsi in anticipo dell’attenzione che avrebbe ricevuto.

Tra l’altro, Teseo Azzecca, l’avvocato col quale si era consultato prima di fare quel passo, aveva corroborato il suo buon umore dicendogli che, facendolo passare per scimunito, cosa del resto facilissima, non l’avrebbe lasciato risiedere più di tanto in carcere.
Sarebbe stato, insomma, una specie di soggiorno premio prima di una nuova vita.

L’avvocato Teseo Azzecca

Definitivamente rallegrato quindi, Anastasio Corazon vuotò il sacco, e contemporaneamente riempì il suo conto in banca.
“Diavolo d’un Tressette”, bofonchiò il Professor Cervellenstein, quando, qualche giorno dopo il loro colloquio, lesse i giornali.
L’identico commento ammirato sfuggì a Cleofe, mentre, come il salgariano Yanez, si accendeva l’ennesima sigaretta.

FINE

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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