Franz Werfel, i suoi mondi e le sue utopie

“Ebreo, compagno di studi di Kafka e di Max Brod, praghese di nascita, tedesco di lingua e di cultura, viennese, cioè asburgico, di nazionalità: tutto questo era Franz Werfel”.

Così, di Werfel, scrittore troppo sottovalutato perchè forse troppo eclettico, scriveva Giorgio Manacorda in un bell’articolo comparso diverso tempo fa su “Repubblica”, precisamente all’epoca in cui la Adelphi pubblicava il suo meraviglioso “Una scrittura femminile azzurro pallido”.
Al grande universo della letteratura mitteleuropea, da me molto amato, e così ben esplorato nelle sue pubblicazioni dalla benemerita casa editrice, con quel romanzo andava ad aggiungersi una delle opere migliori, un capolavoro di eleganza e di sensibilità letteraria, una denuncia delle discriminazioni razziali, della mediocrità e della pusillanimità dei molti che le avallarono, una denuncia tanto più incisiva quanto più raffinata nella forma letteraria, risultato implicito ed inevitabile della storia che vi era narrata.

Di Werfel, prima della lettura di quel romanzo, e per via del mio apprezzamento per Franz Kafka, sapevo che si era personalmente interessato perché il suo geniale amico, ricoverato in fin di vita nel Sanatorio viennese di Kierling, vi ricevesse cure adeguate.
Fu dopo aver letto “Una scrittura femminile azzurro pallida” che mi decisi a saperne di più su di lui, su uno scrittore che nonostante avesse vissuto nei posti giusti tutte le stagioni letterarie più importanti della sua epoca, ed in barba al fatto che alcuni dei suoi libri avessero avuto un grandissimo successo, non ha mai goduto della considerazione toccata ad altri scrittori suoi contemporanei e che da noi, in Italia, era quasi uno sconosciuto.

Franz Kafka

Werfel nacque a Praga nel settembre del 1890 da una famiglia di origine ebraica di lingua tedesca e si misurò precocissimamente con la letteratura: ancora prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale esordì come poeta.
Fu in qualche modo Max Brod, l’intellettuale e scrittore praghese che aveva avuto una parte importante nella vita e nell’opera del loro comune amico Kafka, a favorire il successo dell’appena ventenne Werfel come poeta espressionista, tenendo una lettura pubblica dei suoi versi a Berlino, nel 1910.

Max Brod

L’anno successivo quelle liriche vennero pubblicate in una raccolta dal titolo “L’amico del mondo” e ad esse si aggiunsero i versi contenuti in un successivo volume, “Noi siamo”, uscito nel 1913.
Quando il conflitto mondiale deflagrò, Werfel, nonostante l’indole pacifista, si arruolò nell’esercito austriaco per combattere sul fronte russo.

Franz Werfel

La sua propensione a scrivere fece sì che venisse impiegato con mansioni di ufficio stampa.
Terminata la guerra si trasferì a Vienna proseguendo nella sua carriera di scrittore fortemente interessato anche al teatro, come dimostra il suo dramma storico “Juarez e Massimiliano” pubblicato nel 1924.
Nel 1929 sposò Alma Schindler, meglio nota col cognome dello scomparso marito Gustav Mahler, una donna di grande personalità e fascino, viste le figure maschili che seppe conquistare.
Quando sposò Werfel aveva appena ottenuto il divorzio da Walter Gropius, il celebre architetto.

Alma Mahler

Nell’epoca tra le due guerre Werfel visse tra Praga e Berlino, all’epoca in cui la Repubblica di Weimar era divenuta il centro nevralgico di tutte le avanguardie artistiche e letterarie europee.

Nel 1933 il suo romanzo “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, in cui veniva narrata l’epica resistenza armena al genocidio perpetrato dai turchi, gli valse un grande successo ed una crescente fama letteraria.
L’ascesa del nazismo venne da lui vissuta con crescente preoccupazione: di fronte alla bestialità del regime e della subcultura nazista, Werfel reagì rifugiandosi in una acuta nostalgia dell’Austria Felix, una sorta di Eden perduto, che cantò anche nel suo romanzo “Nel crepuscolo di un mondo”, pubblicato nel 1937.
Partendo dallo scomparso impero asburgico, coltivò l’idea che l’impero fosse il giusto modello politico amministrativo, la migliore possibilità di convivenza pacifica tra razze e popoli d’Europa.
Una tale concezione, secondo alcuni, faceva di Werfel un precursore di un progetto nuovo di futuro, un anticipatore, insomma, dell’europeismo.

Una veduta di Vienna negli anni Trenta

In realtà nello scrittore, un po’ come capitava ad un altro colosso della letteratura mitteleuropea ebraica, Joseph Roth, il motivo ispiratore di quella concezione politica era la nostalgia, tutta personale, di una dimensione che entrambi gli autori ricordavano migliore, il ritorno ad un passato idealizzato.
L’impero, insomma, come utopistica resurrezione di un mondo tramontato.
In un discorso tenuto nel 1937 alla Società delle Nazioni, l’organismo internazionale che precedette l’O.n.u., Werfel disse di avere l’impressione di trovarsi in un’epoca di declino letterario e poetico dovuto ad un’irruzione della barbarie.

Heinrich Himmler a Vienna (1938)

Sentiva di essere riprecipitato in un buio Medioevo, un tempo in cui al massimo non si poteva fare altro che recuperare e copiare le opere del passato nella quiete neutra dei conventi.
In contrasto con una considerazione così disperante, lo scrittore lanciava l’idea di creare un’Accademia mondiale degli scrittori e degli intellettuali, un pensiero, che, a ben vedere, era ancora una volta teso a ricreare utopisticamente un impero, seppur letterario.
Quando nel 1938, con l’Anschluss Hitler dilagò in Austria, Werfel si trasferì in Francia, poi, nel timore, rivelatosi più che fondato, di un’ulteriore espansione del nazismo, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale emigrò definitivamente in America.
Nel 1939 dal suo dramma “Juarez e Massimiliano”, del 1924, William Dieterle trasse il film “Il conquistatore del Messico”.
Nel 1941 uscì il suo romanzo “Il canto di Bernadette” che testimoniava una certa simpatia verso il cattolicesimo.

Il successo del libro ebbe l’effetto di ricondurre Werfel ad un impegno cinematografico perché convinse il regista Henry King a girare “Bernadette”, un film di grande intensità emotiva e di grande presa popolare, che riscosse infatti altrettanto favore.
Da un’altra sua opera drammaturgica, “Jacobowky und der Oberst”, scritto da Werfel poco prima della sua morte, nel 1958 venne tratto un altro film, diretto da Peter Glenville, “Me and the Colonel”.

Werfel e sua moglie Alma a New York nel 1938

Franz Werfel morì nel 1945 a Los Angeles.
Vissuto in tempi di continui sconvolgimenti geopolitici, lo scrittore con la sua opera è sembrato adeguarsi a questa precarietà internazionale, politica e sociale.
Espressionista, ermetico, mistico per l’influenza della moglie Alma, simbolista, neorealista: secondo il grande germanista Claudio Magris ci sono molti Werfel, ognuno dei quali, per stile e concezioni, testimonia i cambiamenti radicali affrontati.
Un camaleonte letterario, lo definisce in conclusione, Manacorda.
Il crollo dell’impero asburgico, poi quello della Repubblica di Weimar, infine l’abisso dell’Europa aggredita dal nazismo: se pure è vero che Werfel cambiava col cambiar del mondo, è altrettanto vero che un autore capace della qualità espressa in tanti dei suoi romanzi, rimane un grande scrittore, qualunque mondo letterario abbia deciso di frequentare.

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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