E.T.A. Hoffmann e l’eclettico estro romantico.

“Piccolo di statura, piuttosto magro, le spalle strette, il collo esile, la testa relativamente grossa in confronto al resto del corpo; una capigliatura sempre in disordine, come agitata da vento, coi lunghi capelli buttati all’indietro, una fronte ampia e, sotto palpebre poco rigonfie, due occhi spiritati, ora quasi artificialmente rimpiccioliti e pungenti, fissi a scrutare il volto e gli atteggiamenti, ma soprattutto l’anima di chi gli stava vicino, ora, più spesso, aperti e quasi spalancati in un senso di stupefatta paura ed insieme di ammirazione che poteva diventare anche estasi”.

Così Bonaventura Tecchi descrive E.T.A. Hoffmann in un ritratto a lui dedicato nel volume in cui trattava i Romantici tedeschi.
Non vi è alcun dubbio che questo schizzo, rapido ed incisivo, riesce a dare la prima impressione di una personalità da sognatore, propria di un uomo che certamente era figlio del suo tempo, ma che era caratterizzato anche da un impressionante eclettismo e per questo votato a ben più di una vocazione.

Giurista, funzionario amministrativo,  pittore, musicista e musicologo, direttore d’orchestra, cantante, regista teatrale ed infine scrittore: si stenterebbe a crederlo, ma Hoffman, nel corso dei quarantasei anni della sua esistenza, ha incarnato ciascuno di questi ruoli, divenendo un simbolo vivente della fantasia del periodo tardo romantico.
Quest’uomo inquieto nacque a Könisberg nel gennaio del 1776, terzo di tre figli, dall’unione tra due cugini.

Königsberg, il Ponte verde con la vecchia Borsa (1850)

Suo padre era un pastore luterano che presto si separerà dalla moglie, una donna gracile di corpo e di nervi.
Il giovane Ernest Theodor Wilhelm Hoffmann, in seguito alla separazione dei suoi genitori, venne allevato dalla famiglia della madre, in particolare dal suo tutore, lo zio Otto, un magistrato di carattere austero che lui non amava ed il cui ritratto poco lusinghiero sarà alla base di alcuni personaggi dei suoi futuri libri.
La sua educazione fu affidata ad una scuola luterana dalla quale riceverà una buona istruzione classica, ma, essendo il ragazzo precocemente interessato anche alla musica, fu contemporaneamente introdotto agli studi del contrappunto e dell’arte della fuga da un organista polacco, rivelandosi con la medesima precocità un pianista notevolissimo.
La sua particolare personalità, attratta da ogni forma di espressione artistica, lo portava a tentare vie diverse, a cimentarsi nello scrivere poesie e romanzi, ma anche a disegnare, acquisendo con lo studio la tecnica occorrente per farlo decorosamente.

E.T.A. Hoffmann. Autoritratto

Così, pur essendo dotato per più arti, aveva un carattere tendenzialmente refrattario ad ogni disciplina, carattere che, tuttavia, dovette arrendersi ai voleri dello zio che lo avviò agli studi giuridici facendolo iscrivere all’Università di Konisberg.
Iniziò per lui un periodo intellettualmente molto attivo: alle letture di autori illuministi francesi, come Rousseau e Voltaire, affiancò quelle dei grandi tedeschi, come Goethe e Schiller, coltivando in musica l’amore per Bach, Mozart ed i compositori italiani.
In virtù della sua amicizia con un parente del filosofo Kant, suo concittadino famoso, ne seguì i corsi universitari.
La sua laurea in Legge arrivò nel 1795 e subito dopo venne reclutato come aiutante da un altro suo zio, notaio al servizio di molte famiglie nobili prussiane, che lui accompagnerà nel corso di molte visite a possedimenti familiari.
Successivamente lavorò come uditore a Glogau, in Slesia, presso il consigliere Dorffer, suo zio materno.

Favorita dal fiorire del seme del romanticismo, si fece gradatamente strada in lui la consapevolezza di ciò che la sua natura lo chiamava a fare.
Insofferente ad ogni volgare conformismo ed alla convenzionalità rintracciabili negli ambienti della buona società, evitò la borghesia di Glogau, preferendo frequentare artisti locali e pur aderendo alla tradizione protestante, scelse le amicizie preferibilmente tra giovani di fede cattolica.
La passione per la musica, vissuta da lui in forme assolutamente romantiche, lo indusse a cambiare il suo terzo nome, Wilhelm, in quello di Amadeus, in onore di Mozart.
Davvero poliedrico come pochi ingegni, Hoffmann riuscì in quel periodo a coltivare anche la sua inclinazione per le arti figurative: ricevette l’incarico di decorare una chiesa e, sfruttando l’amicizia fatta con un pittore italiano, Aloys Molinari, approfondì la sua tecnica artistica, subendo una vera fascinazione per le terre del sud, in particolare per l’Italia.

Aloys Molinari in un ritratto di Orlovsky

Il suo fidanzamento con una cugina, Mina Dorffer, sembrò indicare una sua volontà di assestarsi nella sua condizione, volontà che si rivelò però assolutamente falsa: nel 1798 fu più che felice di abbandonare Glogau seguendo lo zio, nominato Consigliere alla Corte d’Appello di Berlino.
Presso quella corte Hoffmann ricoprì la funzione di guardasigilli, preparando nel frattempo l’esame di assessore.
A Berlino trovò modo di dipingere, disegnare e comporre musica.
Frequentava con assiduità il mondo artistico, quello delle riviste e dei teatri.

Il romanticismo, rappresentato nel sud della Germania, a Jena in particolare, da gente come  gli Schlegel, Tieck e Novalis, si imporrà a Berlino solo qualche anno dopo, verso i primi anni dell’Ottocento, con figure come Adalbert Von Chamisso, Friedrich de la Motte Fouquè, Heinrich von Kleist, Eichendorff e, appunto, E.T.A, Hoffmann.

Adalbert Von Chamisso

Il suo primo periodo berlinese si interruppe quando, in seguito all’esito positivo del suo esame di assessore, Hoffmann venne trasferito a Posen, cioè Poznan, nuovamente in provincia quindi, in una città a popolazione mista: tedesca e polacca, evangelica e cattolica.
Poco più che ventenne, si abbandonò ad una vita abbastanza sregolata in cui, accanto alle sue mansioni ufficiali ed alla composizione di opere musicali, trovò modo anche di dedicarsi a sbronze e scherzi, tenendo un atteggiamento sempre più antiborghese.
Il suo rompere il fidanzamento con la cugina non gli procurò certamente il favore della sua famiglia, ma l’opportunità di quella decisione venne confermata dal fatto che di li a poco, nel 1802, conobbe e sposò la figlia di un funzionario polacco, Maria Thekla Rorer Trzynska, che gli restò accanto per il resto della sua vita.

Hoffmann con la moglie Maria Thekla Rorer Trzynska

La sposa, subito dopo le nozze, lo seguì a Plock, un piccolo borgo di tremila abitanti, quasi tutti polacchi, presso il quale era stato inviato come consigliere.
Per due anni, confinato in un universo troppo angusto per un temperamento come il suo, prese a scrivere un diario.
Triste, annoiato dalla carriera in magistratura, si sentiva stretto tra le sue tante passioni senza riuscire a privilegiarne una.
Iniziò la stesura di due opere senza concluderle: divenuto preda dell’angoscia, beveva troppo e sollecitava di continuo l’intervento di amici perché gli fosse offerta una prospettiva per tirarsi fuori da Plock.
Il suo tentativo infine riuscì: venne trasferito a Varsavia, città che raggiunse dopo essersi concesso un ultimo soggiorno a Könisberg.
Nella grande città polacca Hoffmann ritrovò il genere di ambiente che aveva apprezzato a Berlino, incontrandovi tra l’altro un suo concittadino, Zacharias Werner, col quale prese a frequentare gli ambienti letterari.

Zacharias Werner in un disegno di Hoffmann

Grazie a questo suo nuovo amico venne a conoscere meglio la nuova letteratura tedesca, quella romantica di Novalis, Tieck, degli Schlegel, di Von Arnim e di Brentano, e fu sempre Werner ad instillargli la curiosità per la religione ed il mondo dell’occulto.

Jiulius Eduard Hitzig, un suo collega ebreo, che diventerà suo biografo, gli fece scoprire anche le opere di scrittori come Gozzi e Calderon.
Hoffman, preso dalle altre sue passioni, era stato un lettore tardivo, ma proprio per questo la forza e l’influenza di queste letture lo segnarono in profondità, stimolandolo ad orientarsi verso la pratica letteraria e indicandogli una sua personale direzione narrativa.
Naturalmente non rinunciò a coltivare i suoi tradizionali amori artistici, così a Varsavia fece progetti per opere teatrali e compose una messa solenne, una sinfonia e varie canzoni.
Riuscì a far recitare a teatro “I gioiosi musicisti”, opera che trasse da quella di Brentano, mentre un altro suo lavoro “La croce sul Baltico”, scritta su testo di Werner, e che venne rifiutata a Berlino, fu poi considerata il primo esempio di musica romantica.
Non smise nemmeno di dedicarsi alla pittura, così fu lui ad affrescare le pareti del palazzo di Mniszek, sede della Società Musicale, ritraendo per burla alcuni dei suoi committenti nelle vesti di divinità egizie.
Trascorso qualche anno venne ripreso dalla sua tipica e ricorrente insofferenza: Varsavia iniziava ad annoiarlo e l’unico evento che parve spezzare questo sentimento negativo fu la nascita di sua figlia, che chiamò Cecilia, come la santa protettrice dei musicisti.

E.T.A. Hoffmann. Autoritratto

Il suo tempo in Polonia terminò in seguito all’occupazione francese di Varsavia che interruppe l’amministrazione prussiana del paese.
Hoffmann si licenziò e nel 1807 partì per Berlino, lasciando a Posen moglie e figlia.
Quell’anno berlinese fu durissimo per lui, rimasto senza mezzi: la città tedesca era in mano alle truppe napoleoniche ed i suoi tentativi di farsi riassumere in magistratura rimasero vani.
Visse dell’aiuto di qualche amico, saltando non di rado i pasti.
Si dedicò tuttavia alla musica, componendo sei cantici per coro a cappella, un’opera che dedicò alla Vergine.
In agosto venne raggiunto dalla notizia della morte precocissima di sua figlia.
Il suo anno terribile terminò tuttavia con la proposta che gli venne fatta, di assumere l’incarico di Direttore Musicale presso il teatro di Bamberga, in Baviera.

La casa di Hoffmann a Bamberga

Riunitosi alla moglie, nella città bavarese trascorse cinque anni fondamentali, anni in cui si dedicò alla musica, oltre che come compositore, come musicologo e critico musicale.
Questo tipo di attività lo portò ovviamente a scrivere, spalancando alla sua non comune creatività, una porta rimasta fino a quel momento socchiusa.
L’ambiente di Bamberga gli risultò più congeniale di altri; la città dalla bella cattedrale ed i palazzi barocchi era abitata da una popolazione cattolica, vivace intellettualmente.
Hoffmann si fece presto degli amici locali e, lavorando per il teatro, moltiplicò il suo talento, spandendolo tra mille diversi ruoli.
Abitava in una casetta stretta, stando per ore isolato a lavorare in alto, nell’abbaino, con la moglie che gli passava i pasti da una botola.

Lo studio di Hoffmann a Bamberga

Di certi spettacoli divenne l’unico animatore, facendo da compositore, scenografo, direttore d’orchestra, decoratore e librettista, incantando il pubblico con la forza della sua fantasia.
Se è vero che principalmente compose balletti, musica per coro ed altre opere, è anche vero che, attraverso la sua attività di critico musicale per conto dell’Allgemeine Musikalische Zeitung, Hoffmann iniziò il percorso che lo avrebbe portato in braccio alla grande letteratura.
Sarà un amore imprevisto, inusuale ed intensissimo, a spingerlo definitivamente verso l’esprimersi letterario.
Nel 1809, dandole lezioni, conobbe la tredicenne Julia Marc, figlia di un commerciante di origine ebraica, dotatissima per la musica.
Hoffmann, nonostante la differenza di età, se ne innamorò perdutamente, di un amore senza speranza.

Julia Marc (a destra) con la sorella Wilhelmine in un acquarello del fratello Moritz

L’illusione legata a quel sentimento, mai coltivata del tutto, svanì definitivamente quando, qualche anno dopo, la ragazza si fidanzò con un commerciante di Lipsia, sposandolo nel 1812.
L’amore per la Marc nel tempo si era trasformato in una passione così travolgente da mettere in pericolo i rapporti di E.T.A. con sua moglie, e certamente lo spazio che esso occupava nel suo animo andava ben oltre la sua dimensione oggettiva.
Secondo alcuni critici, infatti, Julia funse da idolo estetico per Hoffmann, fu la sublimazione artistico musicale che divenne la base della sua insorgente attività di scrittore.
La figura della ragazza, non a caso, comparve nella sua successiva opera letteraria, trasposta in una narrazione bifronte che ora la descriveva piena di un’angelica spiritualità nel suo romanzo “L’elisir del diavolo”, ora, al contrario, come diabolica sgualdrina dedita alla rovina dell’uomo.
Nel 1808  Hoffmann sembrava aver imboccato con decisione il suo nuovo percorso artistico: aveva spedito all’editore Rochlitz di Lipsia il suo primo racconto, “Il cavaliere Gluck”, al quale, l’anno successivo seguì la “Kleisleriana”,  il ciclo di novelle nel quale venne creato il personaggio di Johannes Kreisler, un musicista folle che rappresentava un suo “doppio”, schernito e splendido.

Kreisler tornerà ancora nei racconti delle “Fantasie alla maniera di Jaques Callot”, scritti nel 1813 e nel romanzo “Il gatto Murr”, che verrà pubblicato nel 1819.
Dal 1813 Hoffmann assunse l’incarico di Direttore Musicale in una compagnia teatrale che teneva le sue rappresentazioni a Lipsia e a Dresda, proprio nel periodo burrascoso delle guerre di liberazione dal dominio napoleonico.
Fu per lo scrittore un periodo di nuove ristrettezze in cui lavorò mettendo in scena alcuni spettacoli in una Dresda occupata, affamata e colpita da molte epidemie.
La frammentarietà di quell’incarico diede tuttavia modo a Hoffmann di completare il già citato libro di racconti “Fantasie alla maniera di Jaques Callot”.
Nel 1814 lo scrittore e musicista tornò a Berlino, avendo accettato un incarico presso il Ministero di Giustizia.
Giurista ancora, dunque, in un ruolo che si dimostrò sempre compatibile con le sue tante passioni.
Iniziò da quel momento il più fecondo periodo della sua produzione letteraria, e contemporaneamente ripresero anche le sue frequentazioni coi colleghi Fouquè, Von Chamisso, Tieck, Horn ed altri.
Il suo libro di racconti nel frattempo aveva riscosso un grande successo e ne fu stampata una seconda edizione.

Berlino 1800

Il terzo volume, che uscì nel 1819, conteneva un solo, lungo racconto, “Il Vaso d’oro”, che fu subito considerato uno dei suoi vertici letterari e Hoffmann stesso considerò questa “fiaba” come la cosa migliore che gli fosse mai riuscita.
La novella rappresentava bene l’universo di Hoffman, essendo un condensato della miglior letteratura fantastica, un coacervo del genere fiabesco, di quello comico, del grottesco, del terrificante e dell’avventuroso.
Nel 1816 il corpo delle sue novelle si arricchisce con la pubblicazione dei “Racconti notturni”, il cui secondo volume uscì l’anno successivo.
Il sogno, l’inconscio e la parte più buia e sinistra dell’animo umano seguitano ad essere i motivi ispiratori della sua narrativa.
Da uno dei più celebri dei suoi “Racconti notturni”, “L’omino della sabbia”, Jaques Offenbach nel 1881 trasse la sua opera “I racconti di Hoffmann” e lo stesso racconto fu analizzato in chiave psicanalitica da Freud in persona.

Questa palese curiosità dello scrittore per l’occulto tornò al centro del suo lavoro anche col già citato romanzo “L’elisir del diavolo”, del 1819,  nel quale comparivano temi che sembravano anticipare di diversi decenni la successiva letteratura mitteleuropea, quella legata alla nascente psicoanalisi: lo sdoppiamento della coscienza, la follia e la telepatia.
Nell’agosto del 1816, a Berlino, fu rappresentata la prima dell’opera “Undine”, riscuotendo un notevole successo.
A riprova del suo straordinario eclettismo, Hoffman, stimato giudice, era ormai ancora più conosciuto come scrittore e musicista.
Nel 1818 l’editore Reimer decise di pubblicare una terza raccolta dei suoi romanzi e dei racconti: “I confratelli di Serapione”.
Tutto il ciclo richiese l’uscita di quattro volumi, la cui pubblicazione si prolungò fino al 1821. Conteneva anche capolavori inediti, come “Il consigliere Krespel”; “Le miniere di Falun”; “Schiaccianoci” ed “Il re dei topi”.
L’attività di Hoffman aveva preso ritmi intensissimi, così nel 1819, un anno particolarmente produttivo, lo scrittore aveva pubblicato anche la fiaba “Il piccolo Zaccheo detto Cinabro” e “Le curiose pene di un capocomico”.
Nominato membro della Commissione di Controllo delle Attività Sovversive, in un caso famoso in cui era l’accusato era il Turnvater (padre della ginnastica) Jahn, un patriota liberale, Hoffman ne prese le difese contro il potente capo della polizia, Von Kamptz.
Resosi conto, anche a causa di altri casi di persecuzione contro studenti e contestatori, della politica repressiva dell’apparato poliziesco prussiano, lo scrittore si dimise dal suo incarico.
Della sua visione critica di quell’apparato, resterà una traccia nel suo romanzo “Mastro pulce”, che fu in parte censurato dalle autorità.
Del 1819 era anche “Il gatto Murr”, uno dei suoi capolavori, in cui tornava la figura del compositore Kreisler, suo doppio letterario.
Afflitto a partire dal 1820 da crescenti problemi di salute, Hoffmann rallenterà la sua attività di magistrato dedicandosi principalmente alla letteratura.

Statua di Hoffmann col suo gatto, posta davanti al Teatro di Bamberga

Nell’autunno di quello stesso anno, pubblicherà “La principessa Brambilla”, un romanzo ispirato dalla visione filosofica di Schelling, nel quale si perdeva la struttura cronologica a favore di una compresenza temporale degli eventi narrati.
Il già nominato “Mastro Pulce” ed altri racconti saranno l’estrema produzione di Hoffman.
La morte del suo amato gatto Murr e varie controversie con la censura amareggiarono i suoi ultimi mesi.
E.T.A. Hoffmann morì a Berlino nel giugno del 1822.
Arrivato tardi alla letteratura, vi approdò portandovi la fluidità liquida del suo temperamento musicale, e lasciando mano libera ad una fantasia ineguagliabile.
Il suo mondo, che coincise con la tarda produzione del Romanticismo, si andò a collocare in una regione a metà strada tra il sogno e la realtà, quel luogo dello spirito nel quale i delicati legami con il vivere quotidiano possono impennarsi in improvvisi voli, approdando a stati visionari e arrivando a farci sprofondare nelle zone del mistero.
Posti popolati da fantasmi, nei quali l’uomo rischia di perdersi, di essere condannato per l’eternità. 

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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