Tarallo e la Santa Impazienza, parte nona

Riuniti nella diroccatissima saletta di rappresentanza della Pensione La Rossa, Tarallo e soci guardavano preoccupati lo smisurato televisore da trecento pollici, dono di un cliente ricco e masochista, che occupava un’intera parete.
Naturalmente la loro attenzione era assorbita da una delle tante trasmissioni speciali dedicate al fituso bitorzoluto: il coronavirus. Anche volendo, non avrebbero potuto scegliere altro, perché, soprattutto nei canali istituzionali, nemmeno a pregare Dio, Baal, Manitou, Odino, Brahma, Shiva, Visnù ed altre divinità assortite, si sarebbe riusciti a beccare qualcosa che non fossero i programmi sul virus, con la sola alternativa da asfissia, di quelli di Amadeus, che ormai spuntava fuori anche quando in casa tua aprivi il cassetto della biancheria.
Tutte le reti si agitavano per stare sempre sul pezzo, fare il punto della situazione e saperne un millesimo più delle altre sull’andazzo della pandemia.

Così, inevitabilmente, avevano già utilizzato e riutilizzato più volte tutti i virologi, gli infettivologi, i pneumologi, i cardiologi disponibili sul pianeta, come pure tutti i membri, italiani e stranieri, di ogni possibile branca o specializzazione medico sanitaria.
Troppe le facce di cattedratici, medici, infermieri o semplici portantini, che erano state già “bruciate” per eccesso di esposizione mediatica: si cominciava ormai ad essere a corto di opinionisti che avessero una qualche preparazione specifica.
Ne servivano di freschi, così si finiva per esondare.
Su un canale privato avevano tolto dalla naftalina perfino il pellerossa Abooksigun, “Gatto pazzo” nella nostra lingua, uno stregone di età indefinibile appartenente alle tribù algonchine.
Gatto pazzo, che aveva una faccia conosciuta perché, tra l’altro, aveva sostenuto il ruolo di uomo della medicina in mille film western, intervistato da Tele Piango, aveva proposto per i contagiati un vecchio rimedio in uso presso i suoi colleghi sciamani della tribù degli Inipi.
Dal rito della cosiddetta “Capanna sudatoria”, una specie di versione indiana della sauna, da praticarsi in un tepee della capienza di circa una dozzina di persone, ci si poteva attendere, a suo avviso, una radicale purificazione dei presenti.

Il pellerossa Abooksigun, “Gatto pazzo”

L’esito della cerimonia, che prevedeva un’oretta di balli e canti lamentosi in un ambiente surriscaldato, avrebbe avuto un’alta probabilità di successo, sempre che il celebrante non fosse muto o si fosse presentato ubriaco.

“Ah-uh nayah oh-wa oh-wa
Shon-day oh-wa oh-wa
Shon-day can-non non noha (noha)…”

Gatto pazzo aveva aggiunto che la bella sudata canterina prevista in origine per i più gravi casi di verruche, avrebbe fornito aiuto anche a quelli più lievi di positività al coronavirus.
Che dire? Da cose di questo genere si capiva benissimo che il trend che vedeva le emittenti televisive sempre più disperate per l’esaurimento delle scorte di esperti, era vistoso.
A renderlo anche più clamoroso, avvenne che, mentre Tarallo and friends stavano attentissimi e non perdevano un solo secondo di trasmissione, il conduttore, dopo altri collegamenti esterni, introdusse finalmente il tema del famoso e misterioso “picco”.
Era senza dubbio un argomento di grande impatto: in quei giorni, infatti, la gente d’Italia, sotto assedio in casa da oltre un mese, aspettava con ansia di vedere arrivare il celeberrimo picco.
In quei giorni, se si fosse presentato il Messìa sarebbe stato pregato di attendere in anticamera, che c’erano in ballo cose più importanti di lui.
Si stava di vedetta, si allungava il collo per scorgerlo per primi, non si vedeva l’ora che venisse, insomma, ‘sto picco.

Toni Maritozzo

Per venire incontro al grande interesse collettivo, Toni Maritozzo, rodatissimo inviato di Tg Penta, era riuscito a procurarsi nientemeno che un esperto intonso, l’arma segreta.
Nascondendo a stento la soddisfazione, presentò la sua intervista in diretta con Heinz Grubermullerstunz, soprannominato “l’Orgoglio italiano”.
Era l’alpinista sudtirolese che aveva scalato il K3, Il K5, vari altri K rimasti liberi, il P2, il Bunga Bunga, il Dusemberg e mille altre impervie cime: praticamente tutto lo scalabile possibile, incluso il patrimonio azionario della “Gastrocem Piatti Indigesti s.p.a”.

“Zì – confermò Grubermullerstunz al microfono di Maritozzo – ti picchi io me ne intento, ma z’è un picco che io ankkora non ho zcalato: è qvello della malattien.
Non tispero tuttafia di varcela: defe arrifarmi un crosso, crosso plico con speziale materiale atatto.
Mi zerfirà a zcalare il picco qvando arriferà, perché, ta qvel che mi dikono apunto, qvel tipo di picco, come zi facefa un tempo in granti montagne, va afrontato con rezpiratore”.

“Benissimoo – concluse l’intervistatore – c’è speranza per tutti noi se lui, il miglior scalatore italiano, che di picchi se ne intende, è pronto a domare proprio il picco che tutti noi aspettiamo.
E come sempre è modesto: grazie mille, vai Heinz Grubermullerstunz, scala il picco, prendilo e portacelo, fallo per tutti noi, la tua Italia ti guarda!
Va bene così, per il momento è tutto: ora linea allo studio”.

Heinz Grubermullerstunz, “l’Orgoglio italiano”, intravede il picco

Non ci si credeva.
La banda Tarallo era basita: Consuelo aveva nascosto al mondo il suo meraviglioso volto, addossandolo al petto del suo amato giornalista; il Prof Cervellenstein si teneva la testa tra le mani, scuotendola sconsolato, gli altri erano ammutoliti.
Si viveva in un’ansia spettacolarizzata, si stava nelle mani del mostriciattolo infido, immersi in una surrealtà peggiore della storia dei martiri irrequieti.
Tressette che aveva l’aria più nauseata del solito, diede un urlaccio a Lisippo che, esauriti gli scarafaggi, si era messo bocconi sul pavimento.
Nessuno avrebbe mai potuto indovinare il perché: stava individuando tra le formiche che vi passeggiavano affaccendate, gli individui di taglia maggiore.
Già divorato dalla recentissima ambizione professionale, si era messo in testa di diventare il primo imbalsamatore al mondo ad aver impagliato una formica.

Lisippo Tressette, il giovane imbalsamatore

Quel momento di incredulità disperata per come i media raccontavano il mondo attaccato dal virus, fu interrotto dal trillo di una chiamata fatta a Lallo.
Proveniva da Donaldo Ducco, il sagrestano di Santa Abbondanziana Martire.
Dopo un breve parlottare, Tarallo mise i suoi al corrente della conversazione:
“Mi dice Ducco che, alla faccia delle proibizioni, c’è in chiesa una squadra di operai di una impresa edile chiamata a ristrutturarla. Lui ha avuto l’impressione che in quel gruppo ci sia una spia, qualcuno che indaga, che va fiutando intorno.
E’ un tale che fa finta di lavorare, tanto che gli altri di tanto in tanto gli ringhiano qualcosa contro.
Dalla descrizione che mi ha fornito, mi pare di poter dire che si tratta del presunto Monsignor Verafé travestito, quello che Afid aveva notato”. “Cavolo! – strillò Afid a quel punto – Ve lo dicevo io che era lui!
Andiamo subito a vedere che accidenti combina”.

A quel punto il Prof. Cervellenstein, che nel frattempo si era rianimato, osservò che non sarebbe stato tanto semplice andare in chiesa senza giusta causa, con quel carabiniere sempre in giro a sputar decreti.
“Tranquilli – intervenne Abdhulafiah- il fiume dei decreti pare si sia prosciugato, almeno per il momento. Non scordate poi che noi le abbiamo autocertificazioni, a chili: siamo tutti tuoi assistenti e tu sei in missione per alleviare i disagi della quarantena.
Anche se gli operai al momento sono al lavoro, tanto più deve essere controllata la loro salute psicologica e mentale. O no?”
La mozione Abdhulafiah passò a maggioranza e fu così che una strana comitiva si mosse, attraversando le vie semideserte di Strappoli di Sotto.
Solo la Cleofe aveva preferito rimanere alla pensione per fare quattro chiacchiere saporite con la vistosa ottuagenaria tardormonata, Berenice.
Il gruppo Tarallo, se si eccettua il fatto che al passaggio di Consuelo si accendevano fuori orario i lampioni del corso principale del paese, arrivò senza problemi fino al piazzale della Chiesa.
Sul posto trovarono in vistose difficoltà il povero Ducco che, avendo la bocca tanto pronunciata da sembrare un becco, arrampicata a fatica su quella protrusione portava una mascherina che tentava senza successo di aderirvi.

Donaldo Ducco

Il prezioso sagrestano aveva in qualche modo già preparato gli operai alla loro irruzione, dicendo loro che una equipe di psicologi li avrebbe testati per via di una ricerca sul lavoro all’epoca del covid 19.
Quella sarebbe stata una buona scusa perché Tarallo e soci potessero curiosare all’interno di Santa Abbondanziana, tanto più che Don Oronzo non c’era, avendo deciso di fare una visita parrocchiale ad una sua perpetua di qualche annetto prima, tale Addoloratina.
Entrarono tutti in chiesa.
Furono accolti dal pulviscolo di polveri sollevate dagli attrezzi in funzione e dall’odore acre che mandavano.
Cavi di ogni grandezza erano stesi un po’ ovunque sul pavimento, mentre una impastatrice era stata piazzata proprio all’ingresso, in coincidenza con la navata centrale.
Rumori tremendi squarciavano a tratti il sacro ambiente.
Il Professor Cervellenstein, per permettere agli altri di girare in libertà e dare un’occhiata intorno, si fece presentare da Ducco il capomastro, Eufronio Foratini, sottoponendogli alcune domande.
L’uomo, un rubicondo personaggio, sdrucito e schivo, fece accomodare lo psicologo su un cavalletto, sistemandosi poi su una cariola che gli mise di fronte.

il capomastro, Eufronio Foratini

Foratini era un uomo pratico, la cui massima prestazione intellettuale era la lettura del quotidiano sportivo, così ebbe qualche perplessita sentendosi cadere addosso la prima domanda di Cervellenstein: “Lei in che modo sublima le ansie legate al dover svolgere la sua attività in un periodo così difficile, considerando che studi recenti le dichiarano implementate mediamente del trenta per cento?”.
Il capomastro strizzò gli occhi più volte, rifugiandosi poi in uno stato di profonda riflessione, prendendosi da allora i tre quarti d’ora necessari per comprendere la domanda.
Nel frattempo gli altri si erano sguinzagliati nella chiesa come dei segugi, non trattenendo neanche per un secondo la curiosità dinanzi ai drappi che coprivano i quadri ospitati nelle cappelle.
Tarallo, Afid, Consuelo, Donna Romualda e Abdhulafiah li scostarono cautamente, sbalordendo alla vista delle nuove pose dei martiri.
Consuelo non mancò di ammirare lo scintillante vestito di scena di Doris Day, raggiante tra i martiri Proto e Giacinto e Donna Romualda ebbe un brivido dinanzi alla fustigazione di Abbondanziana.
Ad Afid, che era un uomo sufficientemente prosaico, venne perfino un po’ di appetito vedendo il monumentale piatto di bucatini che Salomè teneva in mano al posto della testa del Battista, finita chissà dove.

Abdhulafiah, dal canto suo, aveva appena scostato il drappo che copriva il mosaico in cui i santi martiri in processione si portavano in mano dei palloni da calcio, quando un operaio azionò il martello pneumatico, che di botto, è il caso di dirlo, lasciò andare per le navate il suo rombo spaventoso.
Lasciamo perdere che quel rumore improvviso fece sussultare anche Abdhulafiah: il peggio fu che lui vide distintamente reagire anche tutti i martiri del mosaico, i quali, all’unisono, aprirono tutti la bocca a tondo, in un’espressione di folgorante stupore, mentre i palloni gli cadevano di mano.
Il consulente fece un balzo spaventato all’indietro, poi, raggiunse Tarallo a cui, farfugliando, riportò il fenomenale evento del quale era stato testimone.
Lallo e Abdhul, stavolta insieme, si riportarono nella cappella scoprendo l’immagine.
Il giornalista, sbiancando, potè constatare di persona che i martiri bizantini in effetti avevano ancora la bocca spalancata e che i palloni gli erano davvero caduti ai piedi.

Tarallo scosse la testa incredulo, ma si riprese subito, cercando in giro altri indizi dei misteriosi prodigi.
Girellando arrivò in sacrestia incappando anche lui in Doris Day e nelle sue sante guardie del corpo.
Tornò indietro e quasi per caso notò che nel pavimento antistante le cappelle del mistero erano rimaste impresse delle impercettibili tracce di vernice colorata: appena visibili, formavano come tante scie, che si interrompevano spesso, ma che andavano tutte in un’unica direzione, cioè verso una porta di legno smangiucchiato, che pareva quella di un ripostiglio.
Lallo stava per aprirla ma dovette interrompersi perchè, rialzando la testa, si accorse che, mezzo nascosto dietro una colonna, vestito da muratore e con una cazzuola in mano, lo stava osservando un uomo.
Tarallo lo riconobbe subito e senza ombra di dubbio stabilì che quel tipo era Mons. Luis Verafé.

Lo strano muratore scomparve in un istante, così Tarallo fece in modo allora di raggiungere al più presto Cervellenstein, che intanto era arrivato a considerare con attenzione alcune obiezioni del capomastro Eufronio Foratini nei confronti di Arthur Schopenauer:
“Ma ca cazz dic chisto: io la vita me la god, altr che storie! Si ciavess ‘npo’ più de sold me la spassass davero! Ma se facess n’abbacchie alla scottadit, stu povero strunz!”.
Tarallo, prevenendo una dotta replica di Cervellenstein, riuscì a parlare un attimo col Professore.
Insieme stabilirono un ficcante piano d’azione: la stessa notte si sarebbero nascosti nei confessionali fino al mattino, per cercare di beccare sul fatto i martiri irrequieti e, eventualmente, di scoprire il gioco del gesuita.

Continua…

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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