Il 23 maggio di quest’anno cade il ventisettesimo anniversario della strage di Capaci.
Come ogni anno si moltiplicano ovunque le cerimonie in memoria di Giovanni Falcone, di sua moglie e degli agenti della sua scorta.
Sui social network sono tanti i post ad essi dedicati, i manifesti listati a lutto, le fotografie corredate da citazioni virgolettate ed altro ancora.
Nelle strade d’Italia si depongono corone, si tengono discorsi, si recitano preghiere e sulla stampa, nei media e altrove, seguiteranno per tutto il giorno riflessioni e immagini di repertorio.
Parte non trascurabile di questo flusso di celebrazioni e riflessioni sulla Legalità non appare esente, tuttavia, dal peso di una certa retorica di circostanza.
Su questo punto conviene soffermarsi.
La parola “Legalità” sembra ormai vittima di un abuso, non fa che rimbalzare di voce in voce, tracima da mille discorsi, a volte ridondanti, viaggia in cima ad un tam tam ininterrotto.
Ma cosa intendiamo noi italiani per legalità?Sarebbe interessante, come per tutte le parole di cui si fa uso, conoscerne appieno il significato, la correlazione che si instaura tra esso e il sentire comune e di conseguenza cercare quale sia l’applicazione che trova nella nostra pratica quotidiana. Solo così il concetto che una parola simbolica esprime può dirsi realmente assimilato da una società: dovrebbe essere questa la sua giusta chiave di lettura.
Diversamente si finisce per legare il significato del termine ad una astrazione, per guardarlo da una lontananza che ci sottrae alle responsabilità e tende unicamente a sgravarci le coscienze. Si delega quindi la legalità ad altri, si pensa che applicarla sia compito esclusivo della Magistratura e delle forze dell’ordine, si crede che definirne i contorni spetti al Parlamento o alle alte cariche dello Stato.
Ci si convince insomma che siano degli organismi a ciò preposti i soli a dover assolvere al compito di custodi, difensori e divulgatori della legalità.
Se così fosse ne deriverebbe che in qualche modo noi cittadini comuni, gente qualsiasi, saremmo unicamente delle comparse con un ruolo marginale nella elaborazione teorica e nella difesa sostanziale della legalità, che non si sia cioè corresponsabili della sua tutela, diffusione e pratica.
In breve, non avremmo alcuna utilità o funzione rispetto ad essa.
E se è vero inoltre, che tanti giovani non sanno bene chi siano stati Falcone, Borsellino e gli altri eroi della legalità che vengono puntualmente commemorati, si può ben immaginare che destino sia quello degli uomini “qualunque”, di quelli che non saranno mai celebrati ma che con la propria pratica di vita testimoniano un impegno civile quotidiano.
Ci sono infiniti modi di praticare la legalità e non è necessario che gli esempi da cercare per definirla siano vistosi, eroici, grandi.
Deve essere così perché essa riesca davvero ad imporsi, dobbiamo farla coincidere con la normalità di ogni giorno, deve riguardarci.
Capita, lo sappiamo bene, che una storia che non venga portata alla ribalta finisca per non esistere. Ci sono tantissime storie di solitudine dei testimoni di giustizia, di cittadini che fanno scelte controcorrente, voci spesso inascoltate, talvolta frustrate dall’isolamento, perché fare scelte secondo coscienza non sempre coincide con la cura della propria convenienza.
Quante volte abbiamo dovuto constatare che degli eroi civili sono stati riconosciuti tali solo da morti?
Quanti, semplici cittadini o servitori dello Stato, coerenti con il proprio impegno verso sé stessi e verso la propria collettività, sono stati isolati in vita, lasciati soli o screditati?
Quanti hanno costituito per molti un imbarazzo, un imprevisto, un inciampo?
Il discredito, la derisione, l’isolamento, sono armi sottili, possono uccidere quanto una bomba e spesso uccidono prima ancora che la bomba esploda.
Conviene chiedersi sempre in cosa stia la reputazione di una persona, la sua reale rispettabilità e misurarcisi: è un esercizio di cultura collettiva determinante perché nel momento in cui certi contenuti si sfilacciano ed una comunità si sottrae, in conseguenza di ciò, al vincolo solidale, quando non si sa più guardare al futuro, si proiettano le scelte di oggi nelle conseguenze nefaste del domani.
Tutto riguarda tutti e ognuno è e deve sentirsi responsabile del bene collettivo.
La civiltà espressa dalle società organizzate sta essenzialmente in questo, nell’uscita dall’angustia di visioni meramente individuali. Come ogni aspetto della vita associata, la legalità è quindi un fatto eminentemente culturale, legato cioè all’introiezione sociale del suo valore. E’ un modo di sentire, di pensare, di agire e in una società sana questo modo di essere dovrebbe essere generalizzato, non simbolizzato da sacrifici umani fatti sull’altare dell’eroismo.
“Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”
diceva significativamente Bertold Brecht.
“Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare”,
diceva il Don Abbondio, figura sempre attualissima, ritratto perfetto di una diffusa pusillanimità, che così liquida il suo problema con un potere che delinque, sgravandosene la coscienza.
Le due frasi, accostate, parlano di quanto la cultura, intesa come modo di essere di un popolo, sia la prima difesa contro ogni forma di illegalità e sopraffazione.
La seconda, quella del pavido prete manzoniano, ci dice che si può essere altrettanto colpevoli senza essere materialmente dei criminali, pur non facendo parte cioè di una organizzazione mafiosa.
Lo si può essere con l’indifferenza, con un comportamento intriso di indizi di mafiosità che facilmente passano per normalità. Lo si può essere accettando piccoli compromessi che danneggiano altri, e con mille altri atti che possono apparire di poca importanza.
Su questo principio occorre riflettere costantemente nella nostra vita di cittadini, perché la mafiosità è quanto di più subdolo e strisciante possa esistere e una cultura che non considera fondamentale la legalità in ogni comportamento quotidiano, pur non essendo tecnicamente mafiosa, non pone ostacoli in realtà alle organizzazioni criminali, ne permette anzi l’esistenza.
E tra le tante citazioni di Giovanni Falcone ricordate in questi giorni, ci piace ricordarne una soprattutto:
“Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere.
Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.”
Solo una vasta e profonda rivoluzione culturale, eliminando la mentalità mafiosa in tutte le sue specificazioni quotidiane, può recidere le basi che sostengono i gruppi criminali organizzati.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
C’è l’anti – corruzione o anti – malavita di facciata o di manifestazione o da tastiera o da editoriale. C’è quello costante di ogni giorno e di ogni situazione, senza articoli o senza flash o piazza. Così come ci sono l’anti – corruzione o anti – malavita ad intermittenza. Primo scenario: Qualche anno fa allo stadio c’era uno striscione non certo amichevole. Qualche ultras o tifoso o simpatizzante, commentava dicendo: “ma non sai chi c’è dietro la squadra? O certi “tifosi”? “. Risposta: no non lo so, ma se voi lo sapete come fate ad accettare, a sapere e a non denunciare. Poi c’era il “vate” che magnificava la società come “unico asset produttivo della provincia”. Dopo le inchieste lo stesso “vate” diceva che il motivo era “razzista”… la storia, i fatti di processo invece raccontano situazioni diverse. Secondo scenario: molti uffici pubblici sono oggetto di varie denunce, per corruzione o comunque per interesse privato. Un ufficio tecnico comunale ha preso le parti di un cittadino favorendolo in causa civile contro altro cittadino cui erano stati richiesti soldi per rinunciare alla causa… Gli atti di questi ufficio tecnico, per lo meno alcuni, sono stati ritenuti falsi da un tecnico della Procura. Ma poi la stessa procura aveva proposto l’archiviazione, nonostante il falso, anche ripetuto. Opposizione, due volte, all’archiviazione e adesso rinvio a giudizio. Terzo scenario: un dipendente di un ufficio pubblico chiede ad un tecnico il pagamento di una somma per evadere una certa pratica. Il tecnico procede a denuncia. Riscontri nelle indagini e processo a carico del dipendente pubblico. Ma per il tribunale di Latina la richiesta di compenso in denaro, per lo meno secondo l’articolo di giornale, non sarebbe corruzione… Un professionista commenta: “ma lo sa tutta Latina quello che avveniva”.. Secondo professionista: “anche a me ha chiesto denaro ed io ho pagato, non faccio il don chisciotte”… Risposta: allora non ti lamentare se la sanità pubblica non funziona, se non riparano le strade, se i servizi pubblici peggiorano. Ti mettono i soldi tasca, rubano il futuro tuo, dei tuoi figli e nipoti e nei sei complice…”. Quarto scenario: due cittadini denunciano una serie di situazioni irregolari in materia di smaltimento dei rifiuti. Indagini della squadra mobile, con riscontri e reati dimostrati. Il GIP archivia… Quinto scenario: due cittadini denunciano, documenti alla mano, falso in atto pubblico, carenza documentale, autorizzazione nulla per mancanza dei requisiti, dopo anni l’impianto continua la sua attività. La Procura chiede: perchè non siete venuti subito da noi? Risposta: pensavamo che bastasse segnalare il fatto all’ufficio competente.