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Un anno
Mi vellica il vento dell’estate
scorsa con un motivo di canzone
e mi avvicino al davanzale il volto
di te che te ne vai, sicuro
di veder riapparire.
Per quante estati ancora? Forse l’ultima
è questa. O forse qualche altro anno il fato
di vita ci serba…
Ma allora non decada
questa già tanto, per stanchezza o ignavia,
debole umanità.
Quello che abbiamo in noi
tutto e presto s’esprima.
Dopo vivremo giorno giorno
non più per noi, per gli altri.
Ma anche l’arte non è inutile, quando
non è chiudere gli occhi. Poesia
non è voltarsi indietro ma discernere
tra quel che all’uomo è di necessità
primaria, imprescindibile,
tra la fame la sete il sesso il sangue
e le cose di cui non può far senza,
la nostra cecità mascherata di scienza,
un rimpianto, un ricordo,
un sospetto di sopravvivenza,
un futuro già presente…
Alessandro Parronchi
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Alessandro Parronchi (Firenze, 1914 – 2007). Laureatosi in storia dell’arte, ha poi insegnato questa disciplina per molti anni nelle università di Firenze e Urbino e nell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Formatosi nell’ambiente del «Frontespizio» e di «Campo di Marte», con le sue due prime raccolte di versi, I giorni sensibili (Vallecchi, 1941) e I visi (Ed. di «Rivoluzione», 1946) è stato tra i protagonisti dell’ “ermetismo” fiorentino.
Tra le sue amicizie più durature Carlo Betocchi, Vasco Pratolini, Mario Marcucci, Vittorio Sereni. Nel dopoguerra, la sua produzione comprende Un’attesa (Guanda, 1949; poi, come silloge delle poesie 1937-48, Istituto d’Arte, Urbino 1962) e L’incertezza amorosa (Schwarz, Milano 1952), Per strade di bosco e di città (Vallecchi, 1954) e Coraggio di vivere (All’insegna del pesce d’oro, 1956, e poi, come silloge delle poesie 1950-60, Garzanti, Milano 1961).
La produzione poetica successiva è raccolta in Pietà dell’atmosfera (Garzanti, 1971); Replay, (ibid. 1980); Climax, (ibid. 1990). Nel 2000 E.Ghidetti ha curato un’edizione in due volumi delle Poesie (Firenze, Polistampa). Nel 2005 ha pubblicato Carmi novecenteschi (ed. Passigli)
Fresia Erésia, eteronimo di una poeta la cui identità è sconosciuta. Vive in subaffitto nella di lei soffitta, si ciba di versi sciolti, di tramonti e nuvole di panna. Nasconde le briciole dei tetti sotto la tovaglia e i trucioli di limature di strofe sotto il tappeto. Compone e scompone, mescola le carte, si cimenta e sperimenta.