John Millington Synge e l’aspra Irlanda delle Isole Aran

Nel corso di un suo soggiorno a Parigi, nel 1896, trovandosi ad occupare la stanza di un albergo non proprio lussuoso, il poeta William Butler Yeats, avvertito da qualcuno, venne a sapere che all’ultimo piano dell’hotel, in una camera ancora più modesta della sua, alloggiava un altro irlandese.
Yeats all’epoca era un poeta già abbastanza affermato.

Ricercatore instancabile del ricchissimo folklore del suo paese, fu l’uomo che divenne il principale animatore del movimento intellettuale che favorì il risveglio poetico e drammaturgico dell’Irlanda.
Quel connazionale, che Yeats volle subito conoscere, era un giovane, ventiquattrenne, e si chiamava John Millington Synge.
Era nato a Rathfarnham nel 1871, e proveniva da un’antichissima famiglia irlandese, e di questa discendenza fu sempre molto orgoglioso.
Dopo una Laurea conseguita presso il celebre Trinity College di Dublino, era stato in Germania, paese nel quale aveva tentato, senza troppe soddisfazioni, la carriera di musicista.

Aveva quindi deciso di dedicarsi pienamente allo studio della letteratura e all’epoca  in cui conobbe Yeats, si trovava a Parigi perché stava frequentando dei corsi di lingue celtiche e di critica letteraria alla Sorbona.
Viveva in una condizione di forti ristrettezze economiche.
L’incontro parigino col grande poeta, avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

William Butler Yeats

Yeats descrisse così il giovane Synge:

“Io ero poverissimo, -scrive- ma lui molto più povero. Aveva appena il minimo indispensabile per non fare la fame, e qualche volta la faceva. Era andato in giro per l’Europa, viaggiando in terza classe o a piedi, suonando il violino per i poveri, in strada o nelle loro stamberghe”.

Il suo vagabondaggio, intrapreso con sole cinquanta sterline in tasca, durava da sei mesi.
Si era trovato a suonare il violino per i contadini della Foresta Nera, e nei suoi vagabondaggi era passato anche per l’Italia.

Di questa sua visita nel nostro paese rimarrà una consistente traccia nella sua traduzione in gaelico irlandese, di dodici sonetti di Francesco Petrarca.
All’epoca del suo incontro con Yeats, comunque, tutta la sua produzione letteraria stava in qualche poesia, che certo non impressionò il poeta che, riferendosi un po’ al tono di tutte, ne definì una come “morbosa e malinconica”.
Eppure Yeats, ad onta di quei tentativi poetici che non lasciavano affatto presagire la maturità di ciò che avrebbe scritto in seguito, intravide in Synge delle spiccate potenzialità.

John Millington Synge

In nome di quella intuizione, Yeats diede al giovane connazionale un consiglio che doveva rivelarsi fondamentale per gli sviluppi della sua vita e del suo percorso letterario
Gli suggerì di tornare in Irlanda, ma non nell’Irlanda della capitale o degli altri centri maggiori: lo invitò a stabilirsi per un po’ nelle Isole Aran, sulla costa atlantica, al largo della baia di Galway.
Quegli aspri lastroni di roccia nell’Oceano Atlantico, costituivano il lembo più primitivo e bello del paese, quello in cui la vita degli abitanti si era mantenuta quasi del tutto inalterata nel tempo.

Fu un consiglio così giusto che lo stesso Yeats, a posteriori, si meravigliò dei risultati che produsse.
Scrisse il poeta:

“Lo esortai ad andare nelle isole Aran, a scoprire una vita che mai era stata espressa in forma letteraria, anziché una vita di cui era stato espresso tutto”.

Più che dallo studio dei simbolisti francesi, insomma, Synge, secondo Yeats, sarebbe stato ispirato da quella terra selvaggia e dalle visioni autentiche che era in grado di dare a chi le sapesse cogliere.

Tra le altre cose che il futuro Premio Nobel raccontò al suo nuovo amico per intrigarlo, invogliando ad interessarsi all’umanità dura e sincera che popolava le Aran, ci fu l’incontro che ebbe ad  Inis Meain (Inishmaan) con l’uomo più anziano dell’isola.
L’uomo, presentandosi, disse a Yeats:

“Se uno di lor signori ha commesso un delitto, noi lo nasconderemo. C’era un tale che aveva ucciso suo padre, e io lo tenni in casa mia sei mesi, finché non scappò in America”.

Più tardi questa frase ispirò a Synge il suo capolavoro drammaturgico: “The Playboy of the Western World”, tradotto da noi col titolo di “Quel ragazzaccio venuto da lontano”, una commedia che al suo esordio scatenò polemiche accese e, addirittura gravi tumulti in occasione della prima.
Il giovane aspirante scrittore, convinto da lui, seguì il consiglio di Yeats, e dal maggio 1897 in poi, per qualche anno si ritagliò settimane di soggiorno alle isole Aran, trovando un’accoglienza affettuosa tra le loro genti e lo svelarsi di un intero mondo poetico, adatto alla sua sensibilità di scrittore.
Tre isole compongono quell’arcipelago: Inis Mòr, detta anche Inis Arainn; Inis Meàinn e Inis Oirr. Petrose e aspre hanno da sempre dato da vivere ai pochissimi abitanti (ancora oggi Inis Mòr, la più grande, ne conta 841) solo attraverso la pesca e la ridotta coltivazione del poco terreno, sottratto nei secoli alle pietre e fertilizzato con le alghe.

La pesca all’epoca di Synge, ma ancora oggi è così, veniva praticata andando in mare con delle tipiche imbarcazioni dall’impalcatura leggerissima, ricoperta di bitume, chiamate curragh.

Pesca con i curragh in un immagine d’epoca

Sono barche molto manovrabili e adatte al maltempo, frequente nella zona, ma risultano poco resistenti agli urti. Sono così leggere che i pescatori, infatti, non possono indossare scarpe, così da sempre usano calzature fatte di pelle di capra, le pampooties.
Per difendersi dal freddo pungente dell’Atlantico, i pescatori si coprivano con spessi maglioni di lana grezza, tipici delle loro isole, che avevano disegni verticali a treccia, fin sulle maniche.
Oltre alla funzione estetica quegli indumenti ne avevano un’altra, decisamente più macabra: essendo i motivi ornamentali, cioè le trecce, diversi secondo le famiglie che li tessevano, ogni volta che qualche pescatore annegato veniva ritrovato in mare, il disegno del suo maglione lo collocava in una determinata famiglia, facilitandone subito l’identificazione.
Oggi sono di gran moda: la vendita ai turisti e la piccola esportazione di quei maglioni, molto belli, caldi e costosi, è una delle maggiori risorse economiche delle Aran.

La prima visita di Synge nelle isole si protrasse per sei settimane, subito dopo tornò a Parigi.
La stessa cosa fece puntualmente anche negli anni successivi, dopo ogni suo soggiorno isolano.
Nel corso di quel primo contatto iniziò a prendere appunti per un libro dedicato alla vita nelle isole, un’opera destinata a divenire celebre.
Gli appunti presi in quei primi anni, nel 1901 divennero un volume, “The Aran Islands”, che venne pubblicato nel 1907, arricchito dalle illustrazioni di Jack Yeats, valente pittore, fratello di William.

Da Lady Augusta Gregory, autrice teatrale e grande conoscitrice del folklore irlandese, altro personaggio fondamentale nel promuovere il cosiddetto Rinascimento Celtico, Synge, che le aveva dato da leggere il manoscritto, ebbe un suggerimento che poi lui disattese completamente: quello, cioè, di eliminare dal testo i nomi dei luoghi, puntando di più su racconti popolari.
Lo scrittore, al contrario di Yeats e della stessa Lady Gregory, cercava un approccio più aderente alla realtà, una narrazione meno permeata dal folklore fantastico.

Lady Gregory in abito da sposa

“Nessun dramma -scrisse Synge- può nascere da nient’altro che le fondamenta della vita reale; che non sono mai fantastiche, né moderne, né inattuali”.
Furono in effetti queste sue prime narrazioni dal vero a fungere da base creativa anche per quella che sarà la sua fondamentale attività drammaturgica.
Solitario per natura lo scrittore fu instancabile osservatore di uomini e di paesaggi.
Synge vagava da isola a isola, prendendo alloggio di volta in volta presso piccole osterie o facendosi ospitare in case contadine.
Conversava coi nativi, studiando la loro parlata, il gaelico, l’antica lingua irlandese, osservandoli nel quotidiano e facendosi raccontare le loro fiabe e le leggende di quei luoghi.
Entrò così in confidenza con l’ambiente e le sue genti da farsi amare da esse per la sua indole gentile.

Anche se da un certo punto di vista il libro di Synge potrebbe essere considerato un precursore di ciò che è divenuta la moderna antropologia culturale, la sua essenza è costituita da uno stretto realismo, filtrato comunque dalla sensibilità poetica.
Partecipe di ogni sfumatura dei luoghi, della solitudine delle scarse genti in quella, grandiosa, dei paesaggi persi nel mare scuro dell’Atlantico, John si fece lui stesso protagonista della narrazione.
Tutto lo interessava e tutto riportò in un racconto della vita quotidiana spalancato su ogni suo aspetto: un lavoro da valente antropologo con licenza di poeta.
Da musicista si interessava alle canzoni e alle danze, ne registrava i testi sui suoi taccuini, e contemporaneamente perfezionava lo studio del fiddle, il violino popolare, che gli era compagno di viaggio abituale. 
Ogni volta che si trovava a discutere degli strumenti popolari e delle loro caratteristiche tecniche con musicisti locali, da conoscitore, ne forniva un puntuale resoconto.

Un gruppo di ragazzi di fronte ad un ufficio postale ad Inis Meain nelle isole Aran

Da appassionato di ornitologia descrisse tutti gli uccelli che osservava, rinnovando un amore per la natura che già da bambino, nella natia Rathfarnham, un distretto rurale vicino a Dublino, lo spingeva ad esplorarla in compagnia della sua amica Florence Floss, anche allora annotando su una agenda i fiori e gli animali in cui si imbatteva.
Come l’opera di altri scrittori, particolarmente quella degli americani Thoureau o Emerson, la letteratura di Synge, segnata dall’esperienza dell’incontro con la natura selvaggia e degli uomini che la vivono, possiede inevitabilmente una connotazione profondamente libertaria.
Il suo viaggiare, la sua pervasiva curiosità, divengono simbolo di una profonda apertura mentale.
I suoi racconti sulla natura, gli uomini e le cose incontrate, finiranno anche in un altro libro che Synge trasse dai suoi taccuini di viaggio: “In Wicklow and West Kerry”, dedicati ad un’altra parte selvaggia di Irlanda. L’opera uscirà postuma, nel 1911.

La prima edizione di “In Wicklow and West Kerry”, uscita postuma nel 1911

Come nelle pagine del suo “Le Isole Aran”, la stessa fusione di realismo e di senso profondo dell’esistenza dell’uomo, si rintraccerà nella sua fortunata attività di drammaturgo, capace di scrivere opere in cui confluirà anche la durezza della lingua appresa nel corso dei suoi viaggi.
Nel suo atto unico “Riders to the Sea”, (“Cavalcata a mare”), si avrà un significativo esempio del fondersi nella sua produzione dei due temi, natura fisica e natura interiore dell’uomo.
 Il mare, protagonista assoluto dell’opera, grava sulle storie delle donne che, serrate nelle case, tra l’ansia ed il fatalismo di chi ben conosce la forza della natura, aspettano o vengono a sapere il destino dei loro uomini, partiti per pescare e spesso annegati.

Tra le altre opere teatrali di Synge, tutte importanti, si ricordano anche “The tinker’s wedding”; “The Well of the saints”; “The Shadow of  the Glen” e “Deirdre of the sorrows”.
Partecipe, come si è detto, con altri scrittori, poeti e drammaturghi, della Rinascita celtica, fu anche animatore e poi direttore dell’Abbey Theatre, il Teatro Nazionale irlandese per eccellenza, fondato da Lady Gregory e da Yeats.
Segnato già all’epoca dei suoi viaggi a Wicklow e nel West Kerry dal morbo di Hodgkin, una forma cancerosa allora non curabile, Synge ne sopporterà le conseguenze dolorose fino alla sua morte, avvenuta a soli trentotto anni, nel 1909.
In quello stesso anno venne pubblicata, postuma, una sua raccolta di poesie e di traduzioni, “Poems and Translations”.

L’Abbey Theatre

In una sua poesia, “In memoria del maggiore Robert Gregory”, William Butler Yeats dedicò al suo amico alcuni versi che descrivendolo perfettamente, lo consegnarono all’immortalità:

“E poi viene John Synge, quell’uomo indagatore
Che, morente, scelse il mondo vivente come testo
E mai avrebbe riposato nella tomba
Se all’imbrunire, dopo lungo viaggio,
non fosse giunto fra gente appartata
nel più desolato e petroso dei luoghi,
all’imbrunire, in mezzo ad una razza
semplice e appassionata come il suo cuore”

Un ritratto di John Synge realizzato da Jack Yeats

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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