I mondi perduti di Singer

“La cittadina di Goraj, un tempo celebre per i suoi studiosi e i suoi uomini d’ingegno, restò completamente deserta. La piazza era invasa dalle erbacce, insozzate di sterco di cavallo la sinagoga e la scuola. La maggior parte delle case erano state rase al suolo”.

Siamo nel 1648, e queste parole fermano il momento successivo ad un massacro perpetrato dai tatari di Crimea, da contadini polacchi rivoltosi e dai cosacchi di Bogdan Chmel’nitskij.
La fiorente comunità ebraica è piegata, pochi sopravvivono e  Goraj, una cittadina della Polonia sudorientale, a metà strada tra Lublino e Zamosc, è quasi completamente devastata.

La cittadina di Goraj al giorno d’oggi

La ripresa è graduale, faticosa e parziale, e anche se il paese tornerà a rialzare la testa, non raggiungerà mai la stessa prosperità precedente a quell’attacco.
In questo panorama è la figura del vecchio rabbino, Rabbi Benish Ashkenazi, a ergersi a fermissimo custode dell’ortodossia, a convogliare i residui della comunità sulla via dell’osservanza.
La barriera di fede eretta dal rabbino non è sufficiente a proteggere dei fedeli, messi a dura prova dalla loro economia di sopravvivenza, da fermenti ed attese che attentano alla solidità della tradizione.
Si diffondono eresie, dovute ad ansie millenaristiche, che lasciano intravedere nuove dottrine e promesse di redenzioni collettive.
Queste suggestioni saranno la via che il male troverà socchiusa, infiltrandosi in città.
Prima del fatale 1666, la comunità ebraica di Goraj si accenderà di entusiasmo per un sedicente Messia, Shabbetay Tzevi, e per quelli che si proclameranno suoi emissari.

 Shabbetay Tzevi ritratto secondo un testimone oculare, Smirne, 1666

Il miraggio della fine dell’esilio e la prospettiva del ritorno nella terra dei padri verranno usati per diffondere l’idea che solo immergendosi nel peccato si può sperare di esserne mondati.
Molti tra i fedeli della cittadina abbracceranno l’eresia dedicandosi ad una pratica di vita licenziosa ed una profetessa verrà ingravidata dal Maligno.
La folle allucinazione collettiva porterà alla seconda e definitiva distruzione di quel piccolo universo.

Questa, in breve, è la trama di un romanzo che fu pubblicato a puntate a Varsavia, tra il gennaio e il dicembre del 1933, sulla rivista Globus.
L’opera era scritta in yiddish, il dialetto parlato dalla gran parte degli ebrei dell’Europa centrale e orientale, una lingua complessa, derivata dall’alto tedesco medio arricchito da elementi lessicali e linguistici ebraici, slavi e neolatini.

Il romanzo, che rivelava il genio narrativo del suo autore, Isaac Bashevis Singer, era affollato di personaggi e percorso fittamente dall’intrecciarsi delle loro storie sullo sfondo vivido della piccola città, reso magistralmente.
“Satana a Goraj”, che è stato appena ristampato in Italia da Adelphi, fu il romanzo di esordio di uno scrittore che per tutta la sua carriera confermò la sua straordinaria capacità di costruire universi e di renderli vivissimi partendo soprattutto da piccole realtà fisiche e sociali: i minuscoli shtetl (villaggi) persi nella vastità delle pianure orientali, come pure le stradine brulicanti di gente e di traffici, dei quartieri ebraici di Varsavia.
Tutta la sua opera potrebbe in effetti essere considerata alla stregua di un viaggio, straordinariamente realistico, in mondi oggi perduti, spazzati via dalla mano brutale della Storia.
Vale quindi la pena di accennare al percorso di vita di Singer, considerato sicuramente uno dei maggiori scrittori del Novecento. 

Isaac Bashevis Singer nacque nel 1902 a Leoncin, un piccolo centro nei pressi di Varsavia, trascorrendo poi la prima infanzia in una cittadina poco distante, Radzymin.

Membri della comunità ebraica di Leoncin agli inizi del Novecento

La sua famiglia era religiosissima: suo padre, Pinchos Menachem Singer, era un rabbino chassidico, sua madre era figlia a sua volta di un rabbino. In seguito all’assegnazione al capofamiglia di un beth din, ovvero di una corte rabbinica, istituzione nella quale il rabbino, oltre ad essere una autorità spirituale, svolge anche funzioni di giudice, tutta la famiglia si trasferì a Varsavia.

Una cartolina di Varsavia degli inizi del Novecento

Nato quindi in un ambiente in cui la religione aveva un ruolo totalizzante, Isaac ricevette molto presto un’educazione fondata sulla tradizione ebraica, studiando su testi in ebraico ed aramaico.
il ragazzino tuttavia non rinunciava per questo alle naturali propensioni della sua età e vivendo in una zona povera e sovraffollata, precisamente nella Via Krochmalna, strada che da adulto renderà celebre coi suoi scritti, lo si vedeva frequentemente scorrazzare in quelle viuzze, per sbrigare commissioni paterne o per suoi personali bighellonaggi. Nello stesso tempo il giovane Isaac diveniva un divoratore di libri e si dedicava allo studio del Talmud.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale trovò riparo nel piccolo villaggio di cui era originaria sua madre, mentre suo fratello Israel Joshua si trasferiva a Kiev, sposandosi ed iniziando a lavorare per alcuni giornali come correttore di bozze e autore.

Nel 1920 Singer entrò nel Seminario Rabbinico di Tachkemoni, tornando poi sui suoi passi nel villaggio di Bilgoray, dove iniziò a  impartire lezioni di ebraico per mantenersi.
Tornò ad abitare a Varsavia nel 1923. Sin da bambino Isaac aveva sentito storie nascergli dentro, in famiglia del resto tutti avevano questo dono dell’immaginazione, e l’interesse per la scrittura si era fatto ormai in lui più netto.
Lavorò quindi come correttore di bozze in una rivista, la Literarische Bleter, fondata da suo fratello Israel, tornato in patria dalla Russia.

Il suo tesserino di giornalista per la Literarische Bleter

Singer iniziò anche a tradurre in yiddish le opere di narratori internazionali contemporanei, come D’Annunzio, di cui tradusse “Il piacere”, Hamsun, Stefan Zweig, Mann e Remarque.
Comincia in quegli anni a frequentare gli ambienti letterari e alcuni giovani scrittori.
Nel 1929 dopo la morte del padre, figura di rabbino dispensatore di saggezza e accorto giudice che rievocherà in tanti racconti autobiografici, aiutò suo fratello nella stesura del suo romanzo “Yoshe Kalb”. Da una contemporanea relazione con una donna, Runia Shapira, nacque suo figlio, chiamato Israel come il fratello di Isaac, il quale intanto decise di trasferirsi a New York nel 1932.
In quei primi anni Trenta, come si è già detto, Singer, condirettore della rivista Globus, vi pubblicò a puntate il suo romanzo d’esordio “Satana a Goray”.

In un’opera di poco successiva, “Lo schiavo”, lo scrittore tornerà ad ambientare nel Diciassettesimo secolo la vicenda di una rara e tormentata storia d’amore tra un ebreo ed una donna cristiana.
Intorno al 1935 Singer avvertì distintamente il montare della minaccia antisemita in una Europa in cui si era ormai insediata politicamente la follia nazista.
Isaac divenne corrispondente estero del quotidiano yiddish Forverts ed emigrò anche lui negli Stati Uniti.
Quella che era diventata nel frattempo sua moglie, si convertì invece al comunismo e decise di trasferirsi a Mosca.
I due si separarono dunque.
Singer dopo un viaggio problematico attraverso la Germania arrivò a  Parigi, città in cui soggiornò prima di raggiungere New York e stabilirvisi. Per conto del suo quotidiano pubblicò a puntate un nuovo lavoro: “Il Messia pescatore”, opera che non verrà tradotta e che prosegue in qualche modo la storia raccontata nel suo primo romanzo.

Lower East Side – New York 1938

Nel 1940 Isaac sposò Alma Haiman e venne raggiunto dalla notizia che la sua prima moglie era stata espulsa dall’Urss per sionismo e che era in attesa di raggiungere la Palestina.
I suoi racconti, scritti come sempre in yiddish, cominciarono in quegli anni ad essere tradotti in inglese.

Il 1943 fu l’anno in cui Isaac Bashevis Singer divenne cittadino americano, quello successivo vide purtroppo la morte precoce del diletto fratello Israel.
Morta anche sua madre e morto anche l’altro fratello, Misha, deportati in Kazakistan in seguito all’occupazione russa della Polonia, l’unica componente della sua  famiglia di origine che gli rimanesse era una sorella, Hinde Esther, che sposandosi si era stabilita ad Anversa.

La sorella Esther

La sua ex moglie Runia rifiuterà per molto tempo di fargli adottare legalmente suo figlio Israel.

Terminata la guerra Isaac cominciò a pubblicare a puntate quello che diventerà uno dei suoi capolavori, “La famiglia Moskat”, straordinaria saga familiare dove risalta la sua capacità di dipingere ambienti e figure della Varsavia ebraica, rendendoli così vivi da farli schizzare fuori dalle pagine.
Il romanzo, letto anche alla radio, riscuoterà un buon successo e nel 1950 ne uscirà la traduzione in inglese.
Negli anni successivi sarà la produzione di  racconti ad essere il principale sbocco della sua inesauribile vena narrativa, racconti come quelli della bella raccolta pubblicata in inglese col titolo di “Gimpel l’idiota”, che confluiranno successivamente in altre opere: “Alla corte di mio padre” e “Nuove storie dalla corte di mio padre”, memorie di vita familiare descritta con la solita vivezza.
Negli anni del dopoguerra, che vedranno il suo primo successo, Singer che cominciava ad essere uno scrittore internazionalmente riconosciuto fece diversi viaggi che, oltre che all’interno degli Stati Uniti, lo portarono in Europa, a Cuba, in Israele e in Francia.

Isaac nel suo studio

Nel 1955 suo figlio Israel, giunto a New York con un viaggio organizzato dal suo kibbutz israeliano, gli fece visita.
Da quel momento in poi, il legame tra i due che si erano ritrovati dopo un lungo lasso di tempo si riannoderà saldamente e lo scrittore andrà a trovare spesso suo figlio in Israele.
Negli anni seguenti rimarrà costante la produzione di racconti e romanzi, opere ormai tradotte in varie lingue.

Nel 1957 lo scrittore pubblicò il romanzo “Ombre sull’Hudson”, una delle sue poche opere di ambientazione americana, e subito dopo il magnifico “Mago di Lublino”, un romanzo fortemente ancorato allo spirito del folklore popolare ebraico dell’est europeo in cui un incallito peccatore, una volta pentito, viene preso per santo.
Nel 1964 Singer venne accolto nel National Institute of Arts and Letters, unico membro americano della prestigiosa associazione a non scrivere in inglese.
In quegli anni Sessanta lo scrittore maturò la conversione al vegetarianismo di cui da quel momento in poi divenne un acceso sostenitore.
Sul finire di quel decennio Singer pubblicò due romanzi: “La fortezza” e “La proprietà”. Agli anni Settanta risale invece “Nemici: una storia d’amore”.
Il 1978, anno di uscita di uno dei suoi capolavori, “Shosha”, racconto struggente di una vicenda amorosa nella Polonia degli anni Trenta, fu anche quello della massima consacrazione di Singer come scrittore, quello in cui ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.
L’attività dello scrittore proseguì intensa e regolare negli anni successivi: nel 1983, dopo aver dato alla stampe un volume di memorie dal titolo “Ricerca e perdizione”, uscì il suo “Il penitente”.
Cinque anni dopo, sarà la volta de “Il re dei campi”.
L’ultima, grande raccolta di suoi racconti ad essere pubblicata fu “La morte di Matusalemme e altre storie”.

Singer a New York nel 1968 

Il 24 luglio del 1991 Isaac Bashevis Singer morì a Miami, in Florida, dopo vari attacchi di cuore.
“Anime perdute”, l’ultimo suo romanzo, sarà pubblicato postumo tre anni dopo la morte.

Mi auguro che questo inevitabile ammonticchiarsi di date, di vicende biografiche minute, questo alternarsi di momenti difficili e di felici periodi di gratificazione e di riconoscimenti nella vita di Singer, non faccia dimenticare ai nostri lettori che leggere uno dei suoi romanzi o una delle sue raccolte di racconti, per chi affronta questa sfida vuol dire entrare in un mondo particolare, vivo, affascinante e perduto, senza che si sia mai smarrito il valore universale, umano e sociale che quelle piccole e grandi storie continuano ad esprimere. 

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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