Il Mago della riva spenta 2

Fu una mattina d’inverno, un rigido inverno nevoso, che il piccione stramazzò al suolo semi assiderato, malconcio e spennacchiato, chiedendo asilo e una coperta per scaldarsi, certo che non avrebbe mai più volato perché le sue ali vecchie e stanche non glielo avrebbero più consentito.

Subito venne condotto dal Sindaco, che in realtà era il figlio del vecchio Sindaco ormai pensionato. La missiva venne letta alla popolazione impaziente e incuriosita dal giovane Sindaco in carica, il quale attendeva da anni questo privilegio:

“Nell’estrema privazione non trovo giovamento alcuno, ma pongo le necessarie distanze da tutto il resto.” 
Firmato: il Mago della riva spenta.

Un oooohhh di stupore pervase la folla riunita.
Seguirono nuovamente minuti di silenzio interminabile, questa volta sei lunghi minuti che sembrarono misteriosamente immobili, tanto che nessun orologio del regno ne segnò il passaggio. Fu come se le lancette avessero compiuto un salto oltre quegli istanti che non avrebbero significato nulla rispetto all’Eternità, se non fossero stati così, senza essere stati, sfuggendo cioé a ogni sorta di misurazione o ragionamento logico temporale di quella sponda abitualmente chiassosa.

Il Sindaco, da primo cittadino qual era, si riprese dallo sgomento precedendo i suoi sudditi di un solo secondo, tanto si addiceva al suo ruolo, e si apprestò a redigere una risposta degna per quel mago ma soprattutto adeguata alla carica di giovane Sindaco, erede e successore di cotanto padre, che non poteva permettersi di fallire.
Dunque, con il volto imperlato di leggero sudore, del tutto insolito per la stagione invernale, diede lettura della sua nota di replica alla cittadinanza ansiosa in fervente attesa:

“C’è solo un lago che ci separa, caro signor Mago della riva spenta e, se mi permette, le faccio notare che un volo di piccione può superare le vostre necessarie distanze, ma al contrario oggi la sua vecchiezza non può più nulla, a dispetto dell’immobile Eternità in cui vi siete rinchiuso, poiché i suoi attimi, pur essendo niente rispetto all’eterno, sono comunque trascorsi tracimando nella vetustà delle sue ali”.
Firmato il Sindaco dell’altra riva.

Ora non restava che un problema: la vetustà tracimata nelle ali del piccione, che nulla poteva rispetto ai suoi “attimi” trascorsi, per quanto immobili fossero a confronto dell’Eternità, determinava un impedimento di natura tecnica. Adesso chi avrebbe attraversato il lago per consegnare la preziosa missiva?

Un fremito d’incontenibile smarrimento percorse gli abitanti del Paese che, nonostante si fossero affrettati a censire tutti i volatili di quella sponda, non ne trovarono uno disposto a spiccare il volo verso la riva spenta.
Non un corvo, un gufo, una gazza, un tacchino o una cornacchia, per quanto avessero cercato ovunque, così che, affranti e senza speranze, si erano ritrovati tutti nella piazza del Municipio, certi che almeno il Sindaco avesse una soluzione da proporre. Non appena il primo cittadino di quella sponda si fece avanti sconsolato, deciso ormai ad annunciare a tutti il fallimento dell’impresa, una vocina riecheggiò tra gli astanti assiepati nella piazza e una bimbetta di circa 10 anni si fece largo ripetendo:

“Ci vado io a consegnare il messaggio al mago!”

La figurina esile, acerba e delicata, a piccoli passi raggiunse la corpulenta figura del primo cittadino del Paese, così che, mentre costui la osservava incredulo dall’alto in basso, la piccina poté ripetergli senza gridare, alzandosi sulle punte dei piedi nell’intento di raggiungere il suo orecchio:

“Porterò io il messaggio al mago della riva spenta e tornerò indietro con la sua risposta!”

Un attimo d’incredulità questa volta percorse gli abitanti riuniti nella piazza del Municipio, eppure lo stesso Sindaco dovette convenire che, in mancanza di altri volontari, la proposta doveva essere accettata, pena il fallimento dell’impresa con la conseguente vittoria del mago della riva spenta, la cui parola sarebbe rimasta l’ultima e incontrastata. E si sa che chi ha l’ultima parola chiude la disputa con un punto a suo favore.

I preparativi furono brevi e concitati; 
subito si apprestò una barchetta di legno dipinta di rosso i cui remi colore dell’oro spiccavano tra le onde del lago e come lame lucenti fendevano l’aria per abbattersi nell’azzurro verde di quelle acque.
I cittadini di quella sponda restarono immobili ad osservare la barca dipinta di rosso solcare le acque e i capelli della bambina spettinati dal vento invernale, mentre a colpi di remi, che risplendevano sulla superficie del lago, si apprestava alla riva spenta, svanendo agli sguardi, sempre più piccola e lontana, sino a diventare un puntino rosso che sbiadiva all’orizzonte.

Nessuno era mai sbarcato sulla riva spenta, nessuna orma su quella sponda di lago, nessun segno di umano passaggio.
I piedini infreddoliti della bimba lasciarono sulla sabbia bianca e immacolata impronte leggere, formando un disegno nuovo che quella spiaggia, da sempre immobile e immutata, decise di conservare gelosamente. Neanche l’acqua ebbe il coraggio di cancellare quel segno di vita, limitandosi a lambirne i contorni delicatamente, come a volerne saggiare la profondità e il peso, per assaporare almeno uno strappo nella compostezza che i granelli di sabbia avevano da sempre incarnato così, come erano sempre stati, legati l’uno all’altro indissolubilmente, inalterati.

Trascorsero mesi, anni impercettibili perché non scanditi da attimi… furono inenarrabili quei silenzi interminabili, l’assoluta quiete degli spazi mai misurati, attraversati senza che nulla si muovesse.
Intanto la bimba restava con le sue uniche impronte di sabbia che i granelli composti serbavano eterne, un unico strappo dai contorni sfumati, un disegno dai margini fragili per contenere all’infinito quei pochi attimi fatti di passi percorsi fermati nel tempo.
Ciò che i comuni mortali chiamano “ricordo” era per la riva spenta il regalo composito di quei granelli sfuggiti dolcemente all’Eternità.

Non vi fu altro su quella riva, solo quegli occhi in cui la bimba perse i suoi, nella profondità di un gorgo grigio rassomigliante alle nuvole cariche di pioggia di un giorno autunnale. Erano gli occhi della bimba in quelli del mago, occhi smarriti nel silenzio senza tempo: occhi tracimati negli occhi. Inutili gli attimi, inutili le parole dentro lo sguardo immobilizzato, rapito al tempo…

e il messaggio tra le manine di bimba divenne messaggio tra le mani di donna, senza che nulla rompesse l’incantesimo e lasciasse andare gli occhi via dagli occhi.

Erano trascorsi 8 anni, 2 mesi e 1 giorno, poi un mattino di primavera la mano del mago sfiorò quella mano di donna affinché prendesse una pergamena delicata, stavolta insolita per trasparenza, che conteneva la preziosa risposta da recare al Sindaco dell’altra sponda.
In quel preciso istante un attimo sfuggì all’Eternità e recò il calore di una mano nella mano, passando attraverso gli occhi fusi negli occhi e corrucciando la fronte del mago in modo da mutarne i contorni in una espressione sorpresa.

Una sola lacrima allora rotolò sul suo viso, cristallizzandosi nell’immobilità che sospendeva tutto su quella riva e, senza che nulla mutasse di forma o di colore, le impronte di donna ripercorsero quelle di bimba e i granelli di sabbia ne saggiarono il peso attraverso i contorni franati anni prima e rimasti così, sospesi nel tempo.
La barchetta dipinta di rosso svanì nel vento di primavera, portandosi via i capelli scomposti, il luccichio di remi dorati e il ricordo di occhi tracimati negli occhi di quello sguardo grigio improvvisamente velato di pianto.

Lei, giovane donna, ricordo di bimba, creatura restituita dal lago, sentiva di nuovo scorrere il tempo sul suo corpo che ora veniva attraversato da infiniti sguardi, scaraventato nel tumulto di vita dal frastuono delle voci, ma ora sentiva di non appartenervi più come quando era partita anni prima.
Intanto lo specchio del lago rimandava il suo volto dolcemente increspato dalle onde, quei delicati contorni sfuggiti alla memoria, un profilo da percorrere alla ricerca di sé, mentre si accorgeva di non appartenere al tempo ma di temere anche l’immobilità del non appartenervi. L’inconsapevolezza che l’aveva avvolta e cullata negli anni, oramai l’abbandonava nel risveglio di una bimba che scopre in sè una donna.

La popolazione dell’altra sponda accolse il ritorno di quella creatura nuova come si accoglie un prodigio, i suoi silenzi suonarono come un mistero, diversi com’erano dall’irruenza di quella regione, e la sua compostezza divenne strana armonia oltre il tumultuoso rincorrersi di attimi su quella sponda, fagocitante tutto.

Intanto la missiva del Mago, tra le mani del Sindaco, sembrava recare il presagio di inspiegabili arcani, finché lo stupore si diffuse improvviso quando, dalla pergamena del Mago, proprio sotto gli occhi del Sindaco e di tutta la cittadinanza, una sola lacrima scivolò a terra.

Non una parola, non un segno, soltanto quella lacrima cristallizzata nel tempo che s’infranse al suolo, davanti agli occhi increduli dei presenti.
La sua limpida trasparenza, talmente bella da togliere il fiato, disseminò ovunque silenzio, una assoluta quiete…
rivelò il senso di una ineffabile Eternità racchiusa in un unico istante, nei frantumi di un solo cristallo di pianto.

Fine

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

3 commenti su “Il Mago della riva spenta 2

  1. Per chi è abituato a vivere nel rumore, obbligato a fare festa o semplicemente a fare qualcosa, a riempire vita e giornate di oggetti, orpelli, cose e persone, forse soltanto perché ha paura di restare solo con la sua anima e i suoi pensieri è difficile confrontarsi con l’emozione di una lacrima… i giorni e le stagioni passano e cambiano indipendentemente dagli uomini. Il tempo, ogni attimo sono una ricchezza irripetibile da vivere e da gustare, non sono contenitori. Gli uomini e le persone non devono essere contenitori, ne comparse di un regista folle o chiassoso. Il racconto può essere interpretato in vari modi. E’ sicuramente uno spunto e un’allegoria dell’incapacità del genere umano ad accettare la natura, i tempi e le stagioni che cambiano, ma anche di leggersi dentro, conoscersi e accettarsi, nella paura costante di perdere certezze. Secondo me, ma sicuramente sbaglierò, il mago rappresenta la saggezza di chi spesso ci vorrebbe far capire che non ha senso di occuparsi e preoccuparsi delle apparenze o di come la gente ci vorrebbe e ci giudica. Il piccione simboleggia la nostra capacità o incapacità ad aspettare una risposta o semplicemente un evento, oltre al trasformare ciò che ci succede positivamente, come insegnamento ed esperienza. Il sindaco rappresenta l’incapacità di essere protagonisti, la necessità di delegare quello che invece dovrebbe essere un’azione civica, continua, condivisa, globale e il potere che tenta di sottomettere le persone con la paura. Il passaggio della nomina di sindaco di padre in figlio l’incapacità di cambiare e la continuità del potere che più degli uomini ha paura dei cambiamenti. Paradossalmente il mago, rappresentato come vecchio, contrapposto ai giovani chiassosi rovesciano la realtà: i giovani sono il cambiamento, lo devono rappresentare e pretendere invece nel racconto ne hanno paura. Il vecchio, il mago, attende come necessario il cambiamento che poi è l’alternarsi dei momenti… infine l’emozione, il sentimento, il coraggio, quindi la vita sono la più grande forza rivoluzionaria che può sconfiggere una società realtà ingabbiata nelle convinzioni, alimentata dal potere della paura… ma è solo una sensazione, secondo me. Il racconto ci vuole far riflettere e farci dare una o più risposte, perché la vita ci mette davanti agli eventi per i quali nessuno ci può preparare se non la nostra capacità di leggerli e interpretarli “in quel momento”, guarda caso solo vivendoli da protagonisti

    1. grazie Giorgio Libralato per queste tue bellissime considerazioni.
      Sono tante le metafore che hai individuate, hai solo dimenticato la bambina che rappresenta la purezza e la generosità, metafora che guarda non per caso risiede in una bambina, l’unica con il coraggio di andare dal Mago …
      hai solo omesso questa metafora e quella del suo ritorno, da giovane donna cresciuta diversa da tutti, anche dal Mago…-
      forse perché lei è davvero la speranza che deve tornare tra gli uomini nel mondo sfidando il frastuono.
      Questo é uno spunto di riflessione interessante, non dico altro, lascio il resto alla libera interpretazione, come è giusto che sia.
      Grazie per il tuo significativo contributo
      Francesca Suale

  2. Ricevo e pubblico questo commento del mio amico e scrittore Michele Iacono, ho molto apprezzato la sua sensibilità e lo ringrazio pubblicamente

    “Il mago della riva spenta” di Francesca Suale

    Dalla notte dei tempi le favole ci hanno sempre raccontato l’inesprimibile, l’indicibile. Mito, racconto, fiaba sono i nomi e i luoghi dell’impossibile accadere, della trasformazione infinita, della dimensione di un tempo e di uno spazio magico in cui vivere l’avventura del verosimile metaforico o allegorico della lotta tra il bene e il male, il buono e il cattivo, il bello e il brutto. Una pedagogia che si insinua con la retorica del proprio dire dentro i sentimenti e attraverso dei topos ancestrali “racconta” una morale tutta umana. Bambini rapiti, animali parlanti, boschi oscuri e lussureggianti giardini accolgono figure mitologiche che fanno da sfondo all’incredibile mondo della fantasia di una infanzia che cerca una strada per ritrovarsi.
    Nella bella favola di Francesca Suale, Il mago della riva spenta, vi è un gioco atemporale che rinvia, nella delicatezza del linguaggio, alla scoperta dei sentimenti. l’ostacolo: due sponde di un lago impediscono il contatto tra un mago e gli abitanti e l’unica relazione possibile avviene attraverso strani e oscuri messaggi recapitati da un colombo fino a quando una bimba non rompe l’atemporalità di una distanza materiale e comunicativa tra gli esseri umani; e nell’attimo di un incontro tattile e visivo, ecco avvenire il miracolo tra il mago scorbutico e la bimba-ormai donna (trasformazione magica dell’avvenuto passaggio al mondo adulto) che si fa portavoce degli abitanti dell’altra sponda. Il prodigio è una semplice e terrificante esperienza di un sentimento tutto umano che penetra l’anima, trasformandoci: “Una sola lacrima scivolò a terra”
    Ciò che colpisce della favola di Francesca Suale è il ritmo pacato con cui disvela il mistero della “Riva spenta”, la parola che annuncia l’evento, l’atmosfera fatata di un tempo che si fa umano.
    Forse non è più tempo per le favole, per fortuna e per caparbietà c’è ancora qualcuno che le scrive per penetrare poeticamente in quell’imperscrutabile e magico mondo dell’infanzia

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