Beatles & Rolling Stones

Avrò avuto circa 8 anni e quasi tutte le domeniche di primavera i miei genitori ci portavano dai nostri zii che avevano una casa ad Anguillara, sul lago di Bracciano, vicino a Roma.
Mi ritrovavo così con mia sorella e le mie due cugine, una più grande e l’altra poco più piccola di me: insomma ero l’unico maschietto in mezzo a tre femminucce.
Dovevo fare fatica per riuscire a dire una parola, oppure per giocare o uscire insieme a loro.
Mi mettevano da parte come un appestato:

ero piccolo, allegro e dispettosetto.

L’unico momento possibile di aggregazione si presentava con la visione del terrificante sceneggiato televisivo “Belfagor” in conseguenza del quale, una volta arrivato a casa, quando la sera mi mettevo a dormire, ero impaurito dalla stessa mia ombra, dal mio stesso respiro.

Belfagor Il fantasma del Louvre

I loro discorsi volgevano sempre sui Bitles, quelli coi capelli a caschetto che suonavano. Tutte le ragazzine andavano pazze di loro: erano tanto carucci con quei capelli e le facce da bravi ragazzi e… Bleahh.
Una era innamorata di John, l’altra di George, l’altra ancora di Paul (Ringo non piaceva a nessuna, al massimo stava simpatico).
Insomma erano sempre li a parlare e cianciare di questi Bitles

e a me non mi si filava nessuno.

Cominciò a serpeggiare in me una certa antipatia che con l’andare del tempo si trasformò in odio verso ‘sti quattro pidocchi.
Parlavano malissimo degli Stonz: sono drogati, sono brutti, hanno le facce da rapinatori e, per carità, non uscirei mai con uno di loro. Figurarsi se lo Stonz sarebbe uscito con lei, pensavo.
Cominciai improvvisamente ad amare gli Stonz e con i soldi della paghetta, sempre di parecchio più bassa di quella che ricevevano tutti i miei amici, riuscii a comprare un 45 giri che al tempo costava circa 700 Lire.

La prima cosa che imparai era che si diceva Stonz ma si scriveva Stones. Erano le pietre rotolanti.
Quel primo mio disco era “Paint it Black”, un pezzo dal ritmo martellante. “Bello” pensai la prima volta che lo sentii…. anzi, ma che dico bello, questo 45 è

SUPERSTUPENDISSIMISSIMO!!!!! Altro che gli “gnegnè!”

Rolling Stones: Paint it, black

Divenni così un fan dei Rolling Stones, brutto, pidocchioso e con la faccia da rapinatore: così animavo le nostre gite domenicali ad Anguillara.
Erano interminabili e accese le discussioni e gli sberleffi reciproci sui Beatles e i Rolling Stones, sulle musichette per ragazzine isteriche (io) e sulle facce da rapinatori e drogati (le femmine).

Arrivò il 1967 ed ero un bimbetto di appena 9 anni quando mia madre mi chiese:

“Cosa vuoi come regalo per il tuo compleanno?”.

Le risposi che mi sarebbe piaciuto andare a comprare un nuovo disco alla solita “discoteca” (quella dove si compravano i dischi, non quella dove si balla, sia ben inteso).
Stava all’Eur in Viale Europa, si chiamava “Il Carillon” e di fronte aveva la pasticceria Mosca, quella ai piedi della grande scalinata bianca che porta alla chiesa di San Pietro e Paolo.

Ci andammo insieme.

Chiesi al negoziante di vedere i 45 giri dei Rolling Stones e lui ne prese alcuni.
Tirai fuori dalla tasca un foglietto di carta tutto accartocciato, lo spiegai bene con le mani sul bancone e cominciai a dire: “Questo cell’ho, quest’altro pure..”.
Mentre ero assorto nella consultazione del mio stropicciatissimo elenco, improvvisamente il commerciante disse:

“E’ uscito un nuovo Long Playing, si chiama “Their Satanic Majesties Request”. Lo prese e me lo mise davanti.

La copertina di “Their Satanic Majesties Request”
L’interno dell’album

La mia attenzione venne subito rapita dalla copertina: F A V O L O S A!

Tutto attorno nuvole in un cielo blu e nel mezzo un’immagine tridimensionale, tipo figurine “Mio”, che cambiavano quando le muovevi: i 5 Stones vestiti con abiti buffi e tutti con dei grandi cappelli in testa. Mick al centro, con le mani incrociate sul petto e un cappello da mago con su una mezzaluna e tutti loro seduti fra fiori e non so bene cosa altro, circondati da montagne e pianeti e sullo sfondo stava una strana torre orientale.
Si capiva al solo guardarmi che il cuore mi batteva forte: arrossii e mormorai:

“Si, però non so se posso… Un LP costa tanto, 3500 Lire, davvero non so se…” Guardai mia madre.
Lei mi sorrise e disse: “Se ti piace lo prendiamo, è il regalo per il tuo compleanno, una volta tanto si può fare!!”.

Gli occhi mi brillarono di gioia: presi il disco e me lo strinsi forte al petto, non volli nemmeno metterlo nella busta, lo volevo vedere, toccare, annusare.
Risalimmo di corsa sulla sua 500 sgangherata, quella con le porte a vento che quando frenava suonava come una mandria di mucche al pascolo. In quei casi ci guardavano tutti.. una vergogna!
Ci fermammo solo per mettere la benzina dal solito “omino” (mia madre chiamava tutti così, una volta anche un comandante della Marina da lei scambiato a Piazza Venezia per un parcheggiatore…) Stavamo sulla Colombo:

500 lire di normale e 500 lire di super e poi via velocemente a casa.

Appena arrivato presi il radio/giradischi portatile, uno di marca National dove si potevano mettere anche i 33 giri, e misi il disco sul piatto. A dire il vero, non so se si potesse chiamare piatto, era tutto stortignaccolo!


Ne venne fuori una strana musica: non sembravano i soliti Stones.

Oddio ho sbagliato disco!

Guardai subito l’etichetta sul microsolco che girava, roteando la testa per riuscire a leggerci qualcosa. Alla fine fermai il giradischi e presi il disco in mano: Rolling Stones, sì sono loro..
Perplesso lo ripiazzai all’interno della fantastica copertina: “Lo ascolterò più tardi”.
Un cazzotto nello stomaco per un fan di primo pelo come me che, abituato a ritmi travolgenti come quello di “Paint it Black”, uno dei pezzi che ho più amato degli antichi Stones, o a quello di “I can’t get no Satisfaction”, si ritrovava fra le mani questo disco splendido, con quel giusto stile esoterico della copertina, ma incredibilmente ostico all’ascolto.
Per un bel pezzo continuai ad essere perplesso: guardavo le immagini belle e fantasiose della copertina e cercavo di ritrovarvi lo spirito dei miei amati Stones.

Piano piano, col tempo, cominciai ad apprezzare anche questo disco complicato e inusuale. Tracce come “Citadel”, “She’s a Rainbow”, “The Lantern” ed infine la bellissima “2000 Light Years from Home”, scritta da Mick nella prigione dove era stato rinchiuso, trovarono un posto nel mio cuore.

Dietro a questo disco c’erano un sacco di storie interessanti e terribili che vale la pena di ricordare. 

Era il febbraio del 1967, Mick Jagger, Keith Richards, il fotografo Michael Cooper ed altri, durante un festino a base di Sesso droga e Rock ‘n Roll a casa di Keith nel Sussex, furono arrestati e condannati per possesso e uso di stupefacenti.
In cantiere c’era questa nuova registrazione ma, proprio a causa di queste vicende giudiziarie, l’opera vide la luce solo l’8 Dicembre di quell’anno, mentre i rivali Beatles facevano uscire il loro album psichedelico, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” il 1° Giugno.

Michael Cooper era un fotografo inglese che si affermò fra gli anni 60 e 70 come ritrattista di cantanti e gruppi musicali e fu collaboratore della rivista Rolling Stone.
Il lavoro che gli procurò una fama imperitura fu proprio la realizzazione della celebre, coloratissima ed enigmatica copertina del famoso album dei Beatles.

In quel periodo le due band britanniche si cimentavano nel genere psichedelico, che esplose improvvisamente.
Era la stagione del Flower Power e il pop si tingeva di una ispirazione lisergica.
I due gruppi si strizzavano l’occhio, forse perchè si sentivano come i soli atleti in gara in grado di giungere al traguardo.
Certo è che si lanciavano messaggi e frecciate e che per un periodo di circa tre anni il confronto si fece palese sotto ogni aspetto,

anche in quello della grafica.

Flower Power: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e Their Satanic Majesties Request
Disco bianco dei Beatles e “Beggars Banquet” degli Stones (copertina bianca)
“Let it Be” e “Let it Bleed” dei Rolling Stones

Michael e i quattro “scarafaggi” lavorarono a lungo sulla copertina di quell’album per decidere quali personaggi inserire, e dopo molto tempo, tra ripensamenti e veti, arriveranno al risultato che tutti conosciamo.
All’interno dell’immagine definitiva, anzi all’estremo lato destro, ecco che troviamo un “saluto” agli Stones.
La bambola raffigurante Shirley Temple, sì proprio lei, l’enfant prodige del cinema americano anni 30/40 soprannominata “Riccioli d’Oro”, in quella copertina ha indosso una maglietta a righe sulla quale è scritto “Welcome The Rolling Stones”.

Piccola curiosità: Riccioli d’Oro è l’unica che in quella immagine appare due volte, escluse ovviamente le statue di cera dei Beatles, comparendo anche alla sinistra di George Harrison, e precisamente fra lui e la bambola.

I Rolling Stones quindi sentivano di dover rispondere alla scherzosa provocazione, ed eccoli li, dopo pochi mesi, ad uscire con quest’album assolutamente al di fuori dei loro soliti schemi. “Their Satanic Majesties Request” (il titolo è una storpiatura del testo scritto sui passaporti britannici “Her Britannic Majesty requests and requires..”) che bandiva il tradizionale impianto blues a favore di atmosfere psichedeliche e ritmi afro/indiani.


Charlie Watts, il batterista, si cimentava con le tablas, le percussioni indiane ed il polistrumentista Brian Jones sperimentava il Dulcimer, uno strumento a corde di origine irlandese, l’arpa, il flauto, il sax, l’organo, il mellotron (lo strumento a tastiera antenato del sintetizzatore), e infine, non bastasse tutto questo ben di Dio, suonava pure svariate altre percussioni.
Per realizzare la copertina del nuovo album venne, manco a dirlo, interpellato Michael Cooper, che quindi scatterà anche per conto degli Stones l’immagine della cover.
Jagger & Co. la volevano ancora più spettacolare di quella degli “avversari” e fu così che apparve sul mercato discografico la prima copertina tridimensionale lenticolare, con l’immagine che cambia a seconda dei punti di osservazione. Ci fu grande profusione di fiori naturalmente, e nascoste fra le inflorescenze… le quattro facce dei Beatles.

Le quattro facce dei Beatles mostrate su una copertina non 3D, altrimenti sarebbe molto difficile trovarle

Michael Cooper, un grande talento, si suicidò nel 1973 a 31 anni, travolto dalla depressione e dall’uso di eroina.
Questa la toccante lettera che lasciò al figlio Adam:

“Vivo in un mondo disturbato e, come dice il vecchio poema, “sento il suono di un tamburo diverso” …
Vengo da quello che la tua generazione chiamerà “metà e metà”.
Una generazione che ha apportato alcuni cambiamenti, ma ha dovuto sperimentare troppi tipi di cambiamenti su cui non aveva alcun controllo,
quindi alcuni di noi erano destinati a cadere lungo la strada.
Io sono uno di quelli“.

Il risultato di questa combinazione di suoni ed immagini fu un lavoro molto particolare.
Bisogna anche dire che con questa avventura nacque e finì l’infatuazione degli Stones per il Flower Power e per la musica lisergico/psichedelica.

La volta successiva in cui andai a comprare un nuovo 45 giri, lo portai a casa un pò titubante ed appena entrato corsi a prendere il mitico mangiadischi.
Ce lo sparai dentro:
era JUMPING JACK FLASH!! una BOMBA! Ecco ritornati i vecchi e gloriosi Rolling con il loro sound

SPAZZARAGAZZINEISTERICHE
CHESISTRAPPANOICAPELLI!

Brian Jones stesso, al momento della pubblicazione di Jumping Jack Flash, commentò:

”Finalmente siamo tornati a fare la nostra musica con un pezzo fantastico”.

” Their satanic Majestic request”, questa controversa pubblicazione, ebbe tra gli altri l’effetto di rendere le “Pietre Rotolanti” estremamente prolifiche nel periodo successivo e di ciò ne forniscono un’abbondante prova gli Lp che uscirono dopo di essa:

Beggars Banquet 1968
Let it Bleed 1969
Sticky Fingers 1971

Ovvero tre pietre miliari della musica Rock.

A distanza di mezzo secolo dall’uscita di quell’album, le polemiche e le frecciatine fra i fans delle due maggiori band britanniche di quel tempo non si sono attenuate.
Pochi giorni fa parlavo con Lallo Tarallo di musica e al suo:

“Certo che i Beatles hanno fatto la storia della musica compositivamente parlando e con suoni mai scontati, al contrario, ricercati”.

Piccata è arrivata la mia offensiva:

MUSICHETTE PER RAGAZZINE ISTERICHE!!

DANNATO TARALLO!!

Nato lo scorso millennio in quel luogo che, anche da Jovanotti, è definito l’ombelico del Mondo, Klaus Troföbien alias Carlo De Santis è ritenuto un vero cultore ed esperto di filosofia e costume degli anni 70/80.
È un ardente tifoso della squadra di calcio della Roma, ma non di questa odierna semiamericana e magari presto cinese, ma di quella di Bruno Conti, Ancellotti, Di Bartolomei, di quella Roma insomma che allo stadio ti teneva 90 minuti in piedi e 15 minuti seduto; è inoltre un collezionista seriale di oggetti vintage che vanno dalle cartoline alle pipe, dalle lamette da barba ai dischi in vinile.
I suoi interessi sono la musica pop rock blues psichedelica anni ’70/’80, la fotografia, la cultura hippie, i viaggi, la moto, il micromondo circostante.
Grazie ad una sua fantasmagorica visione è nata Latina Città Aperta, della quale è il padre, il meccanico e il trovarobe.
Politicamente è stato sempre schierato contro.
Spiritualmente, umilmente, si colloca come seguace di Shakty Yoni, space wisper di Radio Gnome Invisible.
Odia rimanere chiuso nell’ascensore.
Da qui la spiegazione del suo eteronimo.
Un pensiero criticabile ma libero, una mente aperta a 359 gradi.
Ma su quel grado è intransigente.

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