Il 4 aprile 1892, nella sede del Consolato operaio di Milano, Gori tenne una conferenza dal titolo “Socialismo legalitario e socialismo anarchico”, nella quale chiarì le posizioni critiche dell’anarchismo nei confronti del socialismo “autoritario”, in vista del congresso nazionale delle organizzazioni operaie e socialiste.
Durante il congresso, svoltosi a Genova nell’agosto 1892, difese le posizioni della corrente anti-parlamentare contro la linea di quelli che chiamava “socialisti democratici”, che, abbandonata la Sala Sivori, e riunitisi separatamente, diedero vita al Partito dei Lavoratori Italiani, poi Partito Socialista Italiano.
Negli anni tra il 1892 e il 1894 l’attività di Gori si esplicò su diversi fronti: fu poeta, avvocato, attore e propagandista. Pubblicò il poemetto “Alla conquista dell’Avvenire” ed il 3° volume di “Prigioni e battaglie”.
Patrocinò in più occasioni diversi compagni milanesi, tra cui Sante Caserio, e partecipò, come difensore, a processi come quello di Viterbo a Paolo Schicchi, un altro attivissimo anarchico, che si tenne nel maggio 1893.
Continuava nel frattempo la sua incessante attività di conferenziere in varie località e nell’agosto partecipò al Congresso dell’Internazionale Socialista a Zurigo dal quale venne espulso insieme con Amilcare Cipriani.
Intanto, alla fine del 1893, in tutta la Sicilia si erano accesi moti di rivolta contro il rincaro delle farine.
Crispi, tornato al governo, represse con energia le agitazioni dei rurali siciliani e ai primi del 1894 in Sicilia venne decretato lo stato d’assedio dando pieni poteri al generale Morra di Lavriano. I Fasci dei lavoratori vennero sciolti e furono istituiti i tribunali militari che misero sotto processo centinaia di lavoratori, ma a metà gennaio giunsero altre notizie di rivolte che fecero temere il peggio.
A Carrara fu proclamato per il 13 gennaio 1894 uno sciopero in solidarietà con i lavoratori di Sicilia e di protesta contro lo stato d’assedio ivi proclamato. Ben presto le manifestazioni degenerarono in aperta rivolta, con barricate, blocchi stradali, taglio dei fili del telegrafo e assalto agli uffici del dazio.
Si formarono bande che ebbero scontri con le forze dell’ordine. Iniziarono a contarsi i morti e i feriti tra i rivoltosi e la polizia, e Crispi decise di proclamare lo stato d’assedio anche a Carrara e di nominare commissario straordinario il generale degli alpini Nicola Heusch.
L’arrivo della truppa riportò l’ordine nelle contrade della città ma con un costo umano altissimo: difatti oltre ai morti e ai feriti, si contarono circa 600 arresti tra i cavatori, molti dei quali anarchici rivoluzionari.
Il tribunale di guerra si mise all’opera comminando pene severissime e le carceri e i uoghi di domicilio coatto si riempirono di carraresi. Il governo però aveva bisogno innanzitutto di un capro espiatorio per poter dimostrare la tesi di un complotto pianificato e lo trovò presto nell’avvocato Luigi Molinari di Mantova, amico di Gori, che sul finire del 1893 aveva tenuto delle conferenze nella zona di Carrara.
Nel gennaio del 1894 Molinari venne condannato, praticamente senza prove, a 23 anni di galera e a tre di segregazione in isolamento.
In tutto il paese si alzò un grido di protesta contro l’enormità di questa condanna. In seguito, la sentenza sarà riformata e la pena ridotta a sei anni e mezzo e una successiva amnistia nel settembre 1895 restituì Molinari alla libertà.
Ma lo scopo precipuo di tutto l’operato di Crispi e del suo governo era di far passare in parlamento delle “leggi eccezionali” servendosi di interpretazioni forzate degli articoli penali esistenti affinchè equiparassero, come “malfattori comuni”, sia gli anarchici che i socialisti rivoluzionari che così si ritrovavano ad essere trattati come dei delinquenti comuni.
Va detto che in tale visione distorta, Crispi e i suoi accoliti furono certamente aiutati anche dagli scritti di Cesare Lombroso e dei suoi seguaci.
Altra conseguenza della nuova normativa era che i processi per questi “barbari malfattori” non prevedevano più dei giudici popolari, ma solo togati, quindi controllabili dall’esecutivo; inoltre nasceva il reato di propaganda e proselitismo a mezzo stampa, che nuoceva ovviamente alla libertà di espressione, mettendo anche gli autori di scritti battezzati come “sovversivi”, alla pari dei delinquenti comuni!
Il governo Crispi alla fine fu pienamente soddisfatto dell’azione repressiva.
Il 30 gennaio, a Napoli venne arrestato, dopo una delazione, anche Francesco Saverio Merlino, da oltre dieci anni imprendibile leader anarchico, già condannato a quattro anni di carcere insieme con Malatesta ed altri compagni, e poi a ulteriori sette anni.
Dopo i processi di Carrara e l’arresto di Merlino gli anarchici rimasero sempre nel mirino delle autorità.
Il 6 aprile iniziò a Chieti il processo contro Camillo Di Sciullo, direttore del periodico “Il Pensiero”.
Pietro Gori difese l’imputato che alla fine fu assolto. A Genova si svolse un processo contro 35 anarchici liguri e piemontesi: difensori erano l’infaticabile Pietro Gori e Giovanni Rosadi.
Gori era sempre presente nella difesa dei compagni, non perdendo occasione però di “processare” a sua volta la società “liberticida”, e creando un tipo di arringa politica che sarà poi utilizzato a scopi di propaganda con la pubblicazione delle sue “difese”.
Alla repressione indiscriminata voluta da Crispi, alcuni anarchici “individualisti” risposero con una serie di attentati.
Si aprì una nuova stagione di tensioni, a volte preordinata dalle stesse forze dell’ordine, i cui vertici erano molto interessati a far credere che gli anarchici fossero dei “sanguinari nemici della nazione, della famiglia e dell’ordine”.
Il movimento dimostrò una notevole forza di resistenza, che però ne provocò l’isolamento delle altre forze politiche.
Fu Malatesta ad accorgersi di questa crisi e segnalarla all’attenzione.
Al contrario di ciò che egli auspicava, una piccola parte del movimento si era fatta trascinare nella logica della vendetta, e questi mesi furono caratterizzati da una serie impressionante di attentati che culminarono il 16 giugno in quello di Paolo Lega, di Lugo, contro il primo ministro Francesco Crispi.
L’attentatore, condannato a oltre vent’anni di carcere, morirà dopo appena un anno e mezzo nella colonia penale agricola di San Bartolomeo, in provincia di Cagliari. Nel frattempo accadde un altro grave episodio che alimentò ulteriormente la caccia agli anarchici.
A Lione, il 24 giugno, il presidente francese, Carnot venne ucciso dal giovane anarchico Sante Caserio che venne arrestato e successivamente processato e condannato a morte a mezzo di decapitazione.
La stampa reazionaria si scagliò, ancora una volta, contro tutti gli anarchici, con una campagna che spesso rasentava il linciaggio.
Ne fece le spese ancora Pietro Gori: dopo l’attentato di Caserio, Gori venne indicato quale mandante dell’“efferato delitto”. Gori si difese come poteva ma alla fine fu costretto a riparare in Svizzera, sottraendosi ad una sicura condanna (gli saranno, infatti, comminati 5 anni di domicilio coatto in contumacia) e ad alcune minacce anonime di morte.
L’8 luglio 1894, anticipando di pochi giorni l’approvazione da parte del Parlamento delle leggi eccezionali volute da Crispi, Gori partì per Lugano con la sorella Bice e divenne ben presto il polo d’attrazione degli esuli.
Secondo la polizia ticinese: “entrano a casa Gori in media da 20 a 30 persone al giorno. […] Ogni giorno arrivano nuovi compagni”.
Anche sotto l’aspetto pubblico la presenza di Gori diventò sempre più palese: mise in scena al Teatro Rossini il suo atto unico “Ideale”, assunse la difesa di alcuni anarchici, rilasciò interviste ed inviò corrispondenze alla stampa.
Agli attacchi dei giornali francesi e della stampa conservatrice ticinese nei suoi confronti si aggiunsero le pressioni delle autorità italiane sulla Svizzera.
Poi un attentato subito da Gori nel settembre ed il continuo andirivieni di anarchici tra l’Italia e il Canton Ticino, bastarono per indurre le autorità federali a decretare l’espulsione di un primo gruppo di 18 indesiderabili, a cui seguirà un secondo.
Gori, con altri 17 italiani, venne prima arrestato alla fine di gennaio (e mentre era in carcere compose il celebre “canto degli anarchici espulsi”, noto come Addio Lugano bella) e, dopo breve detenzione, fu accompagnato alla frontiera tedesca.
Dalla Germania, passò per Bruxelles, dove conobbe Augustin Frédéric Adolphe Hamon e Elisée Reclus. Dell’incontro Gori ci ha lasciato una testimonianza vivace nel necrologio che scrisse per la scomparsa del geografo francese su “Il Pensiero” del 16 luglio 1905:
“Nella Maison du Peuple, dove eravamo andati in cerca di altri compagni, che dovevano averci preceduto, ci incontrammo con Eliseé Réclus, che era venuto a chercher les camarades chassés de la libre Suisse (com’ei diceva).
Fummo con lui, che era particolarmente affettuoso con i giovani…e andammo insieme a casa sua… e vi trovammo tutto il comfort morale, di cui abbisognavamo in quell’ora triste, in cui ci si cacciava da tutte le parti, mentre non sapevamo neppure dove avremmo potuto essere l’indomani.
Dopo la modesta refezione, però piena di allegria, ch’egli ci offrì, il buon vecchio, sostenendo con Hamon, che era della comitiva, una discussione accalorata e riboccante di humour, ci si rivelò in tutto l’ardore della sua vecchia fede, ringiovanita ad ogni nuova prova” […]
“Mentre il vecchio maestro parlava, con fede d’un cuor nobile che non invecchia mai, e con la mente penetrante che vede più lontano della oscurità dell’ora presente, io osservavo con legittimo orgoglio di un fratello minore, quella magnifica testa leonina, dalla grande aureola immacolata della venerabile canizie, e vedevo nella pallida fronte dei giovani operai, miei compagni d’esilio, la nobile soddisfazione di appartenere, spiritualmente, alla famiglia di questi precursori gloriosi della scienza e dell’idea”.
Successivamente Gori si trasferì ad Amsterdam, per poi approdare ai più sicuri lidi inglesi.
A Londra, entrò in relazione con i principali esponenti dell’anarchismo internazionale, da Kropotkin a Louise Michel a Sebastien Fauré.
Kropotkin e Michel, insieme a Stepniak, li incontrò nella casa del pensatore russo, nella cittadina di Bromley, poco distante da Londra. All’appuntamento con Kropotkin Gori era stato accompagnato da Elisée Reclus e da un gruppo di compagni italiani.
A Londra Gori naturalmente incontrò Errico Malatesta, e collaborò a “The Torch”, pubblicando, nel marzo 1895, un pezzo su Sante Caserio, nel quale spiegava come “il grande amore che Caserio sentiva per l’umanità oppressa, si convertì in odio contro i tiranni della terra”.
Il 18 marzo celebrò l’anniversario della Comune a Milton Hall, colpendo per il suo talento oratorio Georges Clemenceau, e il 1° maggio parlò con Kropotkin, Malatesta e Louise Michel, alla “imponente massa di popolo” radunata in Hyde Park.
Dopo un imbarco come marinaio su di un piroscafo nei mari del Nord, nel luglio si diresse alla volta degli Stati Uniti, dove iniziò un lungo viaggio, durato circa un anno, dall’Atlantico al Pacifico, e tenendo centinaia di conferenze e cantando anche le proprie canzoni, accompagnandosi con la chitarra.
Nel marzo successivo, a Barre, nel Vermont, pubblicò il bozzetto in un atto “Primo Maggio” e lo rappresentò per la prima volta a Paterson, improvvisandosi anche attore. Da quel momento la pìece si diffuse anche in Europa, diventando uno dei testi più rappresentati del teatro sociale.
Poco prima di ripartire per Londra, a Paterson nel New Jersey, città di industrie tessili dove viveva una forte comunità di immigrati italiani, tenne una conferenza nella quale affermò che la
“guerra alla religione, al clericalismo, interessa dunque immensamente la classe operaia, la quale ha tutto da guadagnare col progredire della scienza e del pensiero libero, a danno della secolare antagonista della luce e della verità”.
Alla fine di luglio era nuovamente a Londra, per partecipare al III Congresso dell’Internazionale operaia e socialista su mandato di alcuni sindacati italiani del Nord America. Dopo l’esclusione degli anarchici rappresentanti gruppi politici, Gori rimase con i pochi delegati di associazioni sindacali, Francesco Cini, Malatesta e Fernand Pelloutier, il quale rappresentava la Federazione delle Camere del Lavoro italiane, e con loro firmò un documento di protesta “contro il tentativo di monopolizzazione del movimento operaio internazionale da parte dei socialisti democratici”.
Subito dopo il Congresso Gori fu colpito da una grave malattia, la tisi, così venne ricoverato al National Hospital di Londra, dove fu assistito da Louise Michel. L’interessamento dei compagni e dei parlamentari Bovio e Imbriani, che fecero pressione sulle autorità, permisero a Gori di ritornare in Italia con l’obbligo però di risiedere all’isola d’Elba.
Nel dicembre del 1896, trasferitosi a Rosignano Marittimo presso la famiglia, riprese i contatti con il movimento anarchico, che, dopo la caduta di Crispi e il ritorno di Malatesta in Italia, stava riorganizzandosi su base nazionale.
Tornato a Milano, alla fine di aprile 1897, in libertà condizionale, da un lato invitò ad una campagna unitaria i partiti popolari per la difesa del “diritto costituzionale”, dall’altro ribadì il ruolo dei socialisti libertari “nel folto della contesa fra capitale e lavoro, anche sulla base delle organizzazioni per arti e mestieri”.
A Pisa, nel dicembre, partecipò alle manifestazioni in onore di Giordano Bruno, accanto ad Andrea Costa, parlando al comizio finale, che si tenne al velodromo Stampace.
Nel 1898, in occasione dell’inaugurazione del monumento commemorativo delle Cinque giornate di Milano, tenne un discorso che poi fu preso come uno dei capi di accusa nel processo in contumacia intentatogli davanti alla Corte marziale dopo i moti del “caropane” di Milano del maggio 1898.
Il 5 febbraio 1898 difese gli operai e i contadini di Campiglia Marittima che avevano partecipato alle agitazioni di inizio d’anno e sempre nel medesimo anno, di fronte alla Corte d’Assise di Casale Monferrato, patrocinò con successo alcuni operai di Carrara.
Principale protagonista della campagna per la libertà d’associazione e contro l’articolo 248, che vide l’adesione anche di molte sezioni delle Trades Unions britanniche, dell’Indipendent Labour Party, della Socialist Democratic Federation e del London Trades Council, Gori sedette ad Ancona tra i difensori della redazione de “L’Agitazione” e proprio in questa occasione conobbe Luigi Fabbri, al quale si deve il resoconto processuale.
Nel ’98 dopo le agitazioni per il caro pane, le successive azioni repressive del governo costrinsero ancora una volta Gori ad emigrare.
A Marsiglia si imbarcò per l’America del Sud, mentre le autorità italiane lo condannavano a 12 anni.
L’Argentina, era sempre stata una meta agognata da Gori e fin dal suo apprendistato politico aveva mantenuto rapporti epistolari con italiani emigrati, che già allora lo avevano invitato a raggiungerli.
Inviti, che tra il 1896 e il 1897 si erano fatti più insistenti: del resto il movimento anarchico argentino nell’ultimo decennio del secolo XIX aveva consolidato la propria presenza, non solo nei settori popolari dei grandi centri urbani, ma anche tra la media borghesia.
Tale penetrazione era rafforzata dal diffondersi di pratiche sindacali derivate dall’esperienza francese e dal radicamento della rete dei periodici, dei circoli e delle case del popolo d’impronta libertaria, che costituirono una “contro società in divenire”, contrapposta ai modelli esistenti.
Nella capitale argentina la comunità italiana era tra le più numerose ed al suo interno i libertari avevano un peso e una tradizione importante, che si concentrava intorno ad alcuni periodici e case editrici, fra cui quella di Fortunato Serantoni. Gori giunto a Buenos Aires, si inserì subito in un ambiente in cui era tutt’altro che sconosciuto, visto che già due anni prima “L’Avvenire” si era augurato il suo arrivo per “far uscire moltissimi operai dall’indifferenza” in cui erano sprofondati.
L’attività argentina di Gori fu multiforme: da un lato tenne una lunga serie di conferenze davanti ad ogni tipo di pubblico; dall’altro lavorò come avvocato (tanto da aprire un “consultorio jurídico” con l’avvocato Arturo Riva), giurista, criminologo, studioso e anche come docente universitario.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.