Mihai Eminescu e i suoi contemporanei

“Più avanti, riferendosi al destino degli uomini:
Benché sorti differenti trasser fuori dell’urna del Destino,
egualmente li governa la tua luce e il genio della Morte,
poi che schiavi ovver potenti, genii o idioti
trascinan tutti la medesima catena di dolore”.

Quello che è senza dubbio il più conosciuto poeta rumeno, Mihai Eminescu, nacque a Botoşani (Moldavia), allora Bucovina, il 15 gennaio 1850, secondo l’atto di nascita. Mihai era il settimo di undici figli.
Passò la sua infanzia tra Botoşani e Ipoteşti, nella casa dei genitori. Dal 1858 al 1866 frequentò le scuole a Cernăuţi, la Cernoviz, che oggi appartiene all’Ucraina, e, passato il quarto grado dell’istruzione di allora, frequentò per due anni il ginnasio.

Mihai Eminescu

L’anno successivo gli venne rifiutata una borsa di studi e diede le dimissioni dal suo lavoro di copista presso il teatro Fanny Tardini-Vladicescu, tornando poi in estate a Cernăuţi.
In quel periodo iniziò ad emergere la sua vocazione letteraria e vennero pubblicate le sue prime poesie nella rivista letteraria Familia a Oradea.
Lasciò il nucleo familiare per seguire una compagnia teatrale e si improvvisò attore, svolgendo al contempo impieghi vari: fece il facchino, il suggeritore ma anche il traduttore.
Fu in quei giorni che scrisse il romanzo “Geniu pustiu”, “Genio desolato”.
Nel 1869 fondò il circolo letterario Orient, per conto del quale operò nella parte moldava della Romania.
Nello stesso anno i genitori lo mandarono a Vienna dove, non possedendo il diploma di licenza liceale, si iscrisse come semplice “uditore”, alle facoltà di filosofia, diritto, economia politica e filologia romanza.
In questo periodo pubblicò suoi scritti in una rivista letteraria, ma in un giornale di Pest apparvero anche tre suoi articoli, sotto pseudonimo, sulla situazione dei romeni e delle altre minoranze dell’Impero austro-ungarico.
Nel 1872 partì per Berlino per conseguire il dottorato che gli avrebbe potuto fruttare una cattedra universitaria, ma solo due anni dopo rinunciò al suo progetto, divenendo invece bibliotecario universitario a Iași poi ispettore scolastico.
Licenziato, fece per qualche tempo il giornalista tra Iaşi e Bucarest, pur continuando a pubblicare sulla rivista “Convorbir literare”.
In questo periodo si concentrò sulla produzione poetica.
Pubblicò nel 1881 le prime quattro “Epistole” e un anno dopo finì l’ultima versione del “Espèro” (Luceafarul). Nel 1883, a Bucarest, forse a causa del grande caldo dell’estate, ebbe il primo shock nervoso.
Tra il 28 giugno e il 15 agosto fu ricoverato nel sanatorio del dottor Sutu.
Il 20 ottobre Chibici Ravneanu lo condusse al sanatorio di Ober-Dobling, vicino Vienna.

Alexandru Chibici Revneanu, amico di Eminescu

Verso la fine di quell’anno, il celebre critico letterario Maiorescu curò la prima edizione delle sue poesie.
Nel 1884, leggermente ristabilito, tornò in Romania, dalla quale partì per un viaggio a Venezia e Firenze, assieme a Chibici.
Nel 1885 trascorse l’estate a Liman, vicino Odessa.
In autunno ricevette l’incarico di vicebibliotecario alla Biblioteca Universitaria di Iasi.
Apparve nello stesso periodo la seconda edizione delle sue poesie, ma poco dopo si ammalò gravemente: ammalato di sifilide, soffriva anche di una psicosi maniaco depressiva.
I suoi problemi più seri furono quelli causati dalle conseguenze delle iniezioni a base di mercurio, che all’epoca erano la terapia d’elezione per la sifilide, ma che in realtà ebbero effetti devastanti sulla sua mente.
Nel 1886 andò a Bucarest e l’estate alle terme Repedea, ma a novembre venne di nuovo ricoverato.
L’anno seguente tornò a Botosani, presso sua sorella Harieta e le autorità del paesino gli diedero un aiuto economico di 120 lei mensili.
Nel 1888 l’amica Veronica Micle lo ospitò a Bucarest e nello stesso anno venne pubblicata la terza edizione di poesie. 

L’ultima immagine di Eminescu

Nel febbraio del 1889 venne ricoverato nuovamente al sanatorio del dottor Sutu, questa volta con esiti letali.
Si spense il 15 giugno, alle 3 del mattino e due giorni dopo venne seppellito al cimitero Belu, a Bucarest
La sua morte, tuttavia, è avvolta nel mistero.
Qualcuno sostiene la versione di un suo assassinio, forse da parte di un altro paziente o per doppia volontà dell’Impero Asburgico e della Russia, essendo Eminescu un personaggio scomodo, e come membro dell’associazione ‘Carpați’, era un sorvegliato speciale dei rispettivi servizi segreti. Queste ipotesi, tuttavia, non hanno mai trovato un serio riscontro.

Venendo alla analisi della sua opera, si può dire che la poesia di Eminescu si sia nutrita dello spirito del romanticismo, e che nel suo complesso svolgimento, abbia avuto una certa parte anche il peso del pessimismo di Schopenauer.
Allo stesso tempo, con lui si affermò uno spirito satirico nella poesia, e combattivo nel giornalismo, denso di critiche politiche.
Altrettanto importante nella vita di Eminescu fu la composizione di romanze con melodie, che i giovani cantavano in coro.

Eminescu aveva creato un’alchimia verbale sconosciuta fino ad allora: aveva tratto dall’idioma romeno delle varie regioni una lingua piena di finezze e di vigore, dando alla Romania e alla Moldavia un’unità linguistica prima di lui precaria.
Si può affermare dunque, che sia stato il Dante della lingua romena.

Oltre alle poesie, è noto anche all’estero per il romanzo “Geniu pustiu”, ma la sua scoperta, e la considerazione di lui come pensatore e poeta, nel resto del continente, e in Italia in particolare, è avvenuta soltanto in tempi recenti. In ogni caso, le sue opere sono ormai stampate in più di 60 lingue.
Ci sono due specifici aspetti dell’opera di Eminescu che vanno rilevati: l’influenza che su di essa ha avuto il pensiero di Schopenhauer e le affinità e le differenze fra Eminescu e i due importanti poeti italiani, Leopardi e Pascoli.
Venendo alla prima questione, l’influenza di Schopenhauer sul poeta moldavo è un problema che è stato dibattuto sin dai primi studi a lui dedicati.
Dall’iniziale, e pressoché concorde, riconoscimento dell’influsso del filosofo tedesco, si è arrivati, in qualche caso, addirittura alla sua negazione.
Fra le posizioni che riconoscono un netto influsso di Schopenhauer, vogliamo ricordare quella, autorevole, di Basil Munteanu nella classica Storia della Letteratura Romena Moderna (1947).

Arthur Schopenhauer

In una via di mezzo si colloca invece Rosa Del Conte, autrice della monumentale monografia “Eminescu o dell’Assoluto”, testo imprescindibile per la comprensione del pensiero e dell’opera del genio romeno.
La Del Conte pone l’accento sull’elaborazione personale alla quale Eminescu avrebbe sottoposto il pensiero di Arthur Schopenhauer.
La tesi centrale della studiosa è che la Weltanschauung del poeta moldavo non si sia formata solo sulla filosofia occidentale, ma anche e soprattutto sulla tradizione autoctona.
In particolare Eminescu, a differenza di Schopenhauer, non rimproverava alla vita il dolore, l’illusione, il male, ma

il fatto di portare con sé il germe della morte”.

Limitandosi agli approfondimenti più recenti, pure il saggio di Silvia Mattesini, “Profilo di un genio desolato”, si colloca fra quelli che riscontrano dei legami tra il pensiero di Schopenhauer e la poetica di Eminescu.
Nel 2000 è stata pubblicata da Sauro Albisani l’antologia poetica “Il Genio della morte”, che reca la traduzione di 26 liriche di Eminescu, più le 5 Epistole.
Nella prefazione, trattando dei rapporti tra Schopenhauer, Leopardi ed Eminescu, l’autore ravvisa tra di essi:

un punto di tangenza sostanzialmente simile, per quanto nel caso del poeta moldavo non si tratta di un rapporto di filiazione culturale”.

Infatti, prosegue Albisani,

ben altrimenti radicale è l’assunzione fatta dall’autore di “Dorința” della visione del mondo pessimista e alla solidarietà che la ginestra insegna al poeta di Recanati alle pendici del Vesuvio sterminatore, il poeta moldavo oppone il dor, termine quasi intraducibile, più cupo della nostalgia; o, se vogliamo, la più paradossale delle nostalgie: la nostalgia della morte”.

Per Schopenhauer un possibile rimedio al dolore e al tedio della vita era costituito dall’arte, ma la consolazione che si può trarre dal fenomeno artistico era comunque qualcosa di momentaneo, una conclusione a cui giunsero anche Eminescu, e ancor prima Leopardi.

Giacomo Leopardi

I primi collegamenti tra il poeta recanatese ed Eminescu risalivano già alla fine dell’Ottocento, grazie agli studi del filologo Romeo Lovera, che individuò una sicura affinità fra i due poeti. Tematiche comuni erano costituite dall’elogio della letteratura antica, da una xenofobia motivata dalla dominazione straniera, dallo sgomento per l’inesorabile divenire cosmico e dal sentimento della morte.
Rosa Del Conte affermò che a separare i due poeti fosse

quel dato irriducibile che ogni uomo porta con sé e che chiamiamo temperamento”.

E’ il temperamento che spiega l’evoluzione in senso contemplativo, razionalista e stoico del pensiero di Leopardi; connesso a tale approdo è il rifiuto del poeta di entrare in fondo nel vortice della vita e dall’aderire a una qualsiasi fede.
A differenza di Leopardi, Eminescu era un uomo d’azione; svolse cento mestieri: insegnò, partecipò alla vita sociale; credette nell’amore per le donne e per la sua terra. Eminescu era sì un contemplativo, ma era anche profondamente immerso nel reale: a differenza di Leopardi, che si guardava vivere, Eminescu viveva!  
In un articolo sulla Stampa, il filologo Giulio Bertoni, a proposito della nota pessimistica presente nell’opera di Eminescu, aveva scritto:

Pessimismo amaro, che appare soltanto temperato da un’accorata malinconia, ma non mai addolcito, non mai dimenticato, come avviene talvolta nel Leopardi”.

Diversa è anche la sua concezione della natura.
E’ noto che il pensiero di Leopardi in merito, era tremendamente negativo: dopo una prima fase in cui faceva sua la concezione di Rousseau della natura come madre benigna, approdò alla convinzione che la natura fosse matrigna, una forza indifferente e fatale che non aveva altro scopo se non la continua trasformazione della materia.
Gino Lupi, in Storia della letteratura romena (1968), scrisse che per Eminescu invece “soltanto la natura rimane amica fedele del poeta sino alla morte”.
Motivo che invece accomuna Eminescu e Leopardi è quello costituito dallo sgomento dinanzi all’inesorabile divenire cosmico, tuttavia, è facile rilevare come, per questo tema, sia Giovanni Pascoli ad avvicinarsi di più alle concezioni di Mihai.

GIovanni Pascoli

“Tanto in Eminescu che nel Pascoli”, scrisse Del Conte, “il problema del destino dell’uomo è affrontato nei suoi rapporti col cosmo”.

Secondo la studiosa italiana, “è lo spirito pascoliano a risultare più simile a quello del poeta romeno”.
L’accostamento si può far risalire intanto alla loro biografia e alle tristi vicende familiari.
Entrambi figli di amministratori di tenute agricole, ed entrambi segnati da gravi lutti familiari, saranno legati sempre al luogo natale e al ricordo della felicità di un’infanzia, dalla quale vennero precocemente strappati.
Ma la più profonda affinità fra i due poeti risiede nell’approdo a cui conduce la loro meditazione, basta il raffronto di poche poesie per poter ravvisare nell’opera di entrambi la presenza del mistero che domina la vita dell’uomo e dell’universo, entro la cui dimensione né l’uno né l’altro trovano consolazione, perché nell’insondabile divenire sorge impietoso il problema dell’esistere.
Il Pascoli resta in un’angosciosa perplessità quando medita sulla contrapposizione fra la condizione terrena dell’uomo e l’immensità dell’universo: il suo è lo smarrimento di un’anima alla ricerca del Trascendente, di un infinito negato, di un Dio di cui gli spazi silenziosi decretano l’assenza.
La concezione di Eminescu non appare meno pessimistica. Nella sua visione cosmica, i mondi sorgono dal nulla e nel nulla ritornano, come nell’Epistola I e quando nella celebre “Preghiera”, il Daco, che il Demiurgo ha creato immortale, implora con disperazione di ritornare al nulla originario!
C’è una salvezza dal terribile smarrimento suggerito dall’immensità del mondo? Di ciò il poeta romagnolo in alcune poesie non sembra nutrire speranze, tanto che in “10 Agosto” denomina la terra “quest’atomo opaco del Male”, e in altre pagine esorta l’uomo ad accettare con consapevolezza la condizione di creatura mortale, auspicando una nuova solidarietà con gli esseri umani, nell’amore come nel dolore.

Eminescu era nato in una terra e in un contesto religioso in cui la sua inquietudine e le sue angosce avrebbero potuto trovare conforto. La storia del popolo romeno era una storia di adesione ai valori religiosi dell’Ortodossia, considerata come uno degli elementi di coesione nazionale, ma Eminescu fu incapace di aderire alla religione, essendo una di quelle anime che vedono la presenza di Dio nel mondo, ma solo in senso mistico.
“Sono un mistico e non credo in nulla”, come diceva Flaubert.
Forse non c’è Dio in Eminescu, e neppure in Leopardi e in Pascoli.

Mihai Eminescu

Esaminando l’opera poetica dello scrittore rumeno, pare di entrare in un tempio dove troviamo immagini terrene e atmosfere mistiche contenute in un orizzonte che è il solo entro il quale si svolge il destino delle creature mortali.
Leopardi, Eminescu, Pascoli: tre poeti molto diversi fra di loro, e che tuttavia presentano delle indubbie affinità.
Oltre a ciò che è emerso dal confronto delle loro produzioni poetiche, possiamo tentare di evidenziare altri tratti che li accomunano, come l’inquietudine, il travaglio interiore che chiede di tramutarsi in azione e che autorizza ad applicare loro un attributo che Antonio Moresco, in un articolo per L’Espresso, ha utilizzato riguardo a Leopardi: “insurrezionale”.
Insurrezionali infatti sono i tre poeti, sin dall’alba della loro vita.

Ancora fanciullo, Leopardi si immerge per sette anni “in uno studio matto e disperatissimo”, e non c’è dubbio che il futuro poeta fosse divorato da un’innata sete di conoscenza. Nella ricerca di un’erudizione sterminata, Giacomo vedeva uno strumento per evadere dalla vita gretta e limitata del “natio borgo selvaggio”.
Desiderio che nel 1819, quando il poeta aveva ventun anni, sfocerà nel tentativo fallito di fuggire per sempre dal mondo chiuso di Recanati.
Insurrezionale è anche il giovane Pascoli.
Poco più che ventenne, strinse amicizia con l’anarco-socialista Andrea Costa, si iscrisse all’Internazionale e partecipò ai moti anarco-socialisti. In seguito alla lettura pubblica di una poesia dal titolo “Ode a Passannante”, ovvero ad un anarchico che aveva attentato alla vita del re Umberto I, ed alla sua partecipazione ad una protesta contro la condanna di altri anarchici, Pascoli fu arrestato nel settembre 1879 e imprigionato per quattro mesi, per poi essere assolto dal Tribunale di Bologna, il 22 dicembre dello stesso anno.

Insurrezionale, ancor più dei due poeti italiani, è senz’altro Eminescu, che vagabonda da solo nelle campagne intorno a Ipoteşti, che fugge due volte dalla scuola e abbandona il paese natale per andare al seguito di compagnie teatrali, Eminescu che vaga di terra in terra.
Sono insurrezionali, i tre poeti, perché innovativi nel linguaggio, tesi al rinnovamento del verso, fabbricanti della lingua, artefici di nuove forme poetiche e di una parola degna dell’ansia creativa che bruciava in loro.
Insurrezionali perché guardavano con spirito critico la condizione di una società che non riuscivano ad amare, che li rese delusi delle Istituzioni e del modo in cui operavano.
E tuttavia non si isolarono da quella società: pur portati all’introspezione, alla riflessione nella solitudine, non si appartarono dal mondo ma continuarono a calcare con dignità e con operosità le vie dell’insegnamento (Pascoli), dell’impegno politico e giornalistico, (Eminescu), del confronto e del dibattito culturale con alcuni dei maggiori intelletti del proprio tempo (Leopardi).

Il busto di Mihai Eminescu a Chişinău.

Bibliografia:
Rosa Del Conte, Eminescu o dell’Assoluto, Società Tipografica di Edizioni Modenese, 1961;
Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «letteratura italiana», Il Convivio Ed., 2016.
M. Eminescu Poesie, varie edizioni antologiche.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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