Luciano: il Bonaparte che rinunciò al trono per amore

Secondo Stendhal,
“per Napoleone sarebbe stato meglio non avere una famiglia”.

La sua storia, infatti, racchiude un paradosso: da una parte era un uomo solo, come sempre capita a quelli che detengono il potere, dall’altra aveva una famiglia dietro le spalle, o meglio un clan corso, isolano, che lo influenzava molto.
In una prima fase questa lo aveva sostenuto e spalleggiato, aiutadolo nella sua ascesa.
In un secondo momento però, i suoi fratelli e le sorelle si son fatti più avidi, pretenziosi, desiderosi di potere.
Il ribelle in famiglia era però Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, un uomo assurto a soli 24 anni alla presidenza del Consiglio dei Cinquecento, e che con le sue capacità salvò il grande fratello dalle ire degli oppositori durante il colpo di Stato del 18 brumaio 1799, aprendogli di fatto la strada per il Consolato e l’Impero.
La sua ribellione al fratello si manifestò quando Napoleone scelse di accentrare il potere nelle sue mani e si inasprì allorché volle ingerirsi nelle sue scelte matrimoniali.

Luciano infatti sposò due donne invise all’imperatore, subendo l’esclusione da ogni diritto ereditario e la condanna all’esilio, pena che trascorse per alcuni lustri tra Frascati e la Maremma, dove Papa Pio VII gli vendette una tenuta e gli conferì il titolo di Principe di Canino.
Intelligente, poliedrico, irrequieto, trasgressivo, visse molti anni a Canino la vita da esule, con la moglie Alexandrine e i loro dieci figli.

Fratello raffinato del grande còrso, ma dagli interessi multiformi, Luciano Bonaparte fu un uomo colto e politicamente accorto, che giocò un ruolo basilare nell’ascesa del futuro imperatore. Quando quest’ultimo gli impose di rinunciare a sua moglie per la ragion di Stato, rifiutò perentoriamete, quindi non sedette mai su un trono.
Trascorse la maggior parte degli anni imperiali in esilio con la sua famiglia, curando i propri tanti interessi letterari, artistici e archeologici.

Nato ad Ajaccio, in Corsica, il 21 maggio 1775, Luciano fu il terzo dei figli di Carlo Bonaparte e Maria Letizia Ramolino. Educato nella Francia continentale, nel collegio di Autun, poi alla scuola militare di Brienne, finì al seminario di Aix-en-Provence, nel quale da poco aveva terminato gli studi suo zio, il futuro cardinale Joseph Fesch (fratello di Letizia).
Trascorse due anni in seminario, poi fece ritorno in Corsica per continuare gli studi.
La famiglia Bonaparte, con un passato blasonato in diverse città italiane, era caduta in disgrazia a causa delle spese eccessive di Carlo, incallito giocatore di carte, sempre vestito con ricercatezza e amante del gentil sesso.
Divenuto dottore in legge a Pisa, aveva esercitato l’avvocatura nel Tribunale di Ajaccio e nel settembre 1769 venne riconosciuto nobile di “nobiltà provata” da oltre duecento anni dal Consiglio Superiore della Nobiltà Còrsa, istituito a Bastia da Luigi XVI. Fu un riconoscimento che consentì ai figli maschi di frequentare le migliori scuole di Francia.
Luciano abbandonati gli studi clericali, divenne un fervente giacobino, circostanza che non fu approvata dalla madre. Condusse una campagna contro il patriota còrso Pasquale Paoli, infilandosi così nella lotta tra bonapartisti e paolisti.
In Corsica, Paoli si opponeva al centralismo del governo di Parigi, anche se suo padre una volta era stato un fedele seguace del Paoli e persino Napoleone lo aveva stimato.
La famiglia Bonaparte stava iniziando a sostenere la causa francese.
Il clan decise di riparare a Marsiglia nel 1793. In quel momento l’avvenire sembrava oscuro, tanto più che il blocco stabilito dagli inglesi aveva rovinato il commercio delle città costiere del Mediterraneo, nelle quali il pane cominciava a scarseggiare.
Una soluzione per i Bonaparte arrivò grazie a Napoleone e ad Antonio Saliceti, nato in Corsica da genitori piacentini e deputato per il Terzo Stato nelle assemblee del 1789.
Fu così, che Luciano iniziò ad amministrare per la Convenzione la sussistenza militare a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, in Provenza.
I rivoluzionari a Saint Maximin erano in fermento perché i realisti avevano invaso Tolone e occupata la città, e avevano aperto il porto alla marina britannica..
Quando Luciano parlava alla folla, sebbene avesse solo diciannove anni, i suoi discorsi conquistavano il pubblico e così riuscì a riportare le cose in ordine.
In quel periodo divenne moda prendere nomi “antichi”: Luciano scelse quello di Bruto e i suoi amici del comitato rivoluzionario seguirono l’esempio, prendendo un nome greco o romano. Il comitato decise anche di rinominare la città “Maratona”.

Luciano Bonaparte

Uno degli elementi salienti della personalità di Luciano era dunque la capacità di parlare in pubblico, di accattivarsi rapidamente le simpatie, convincendo gli uditori.
Era amante del lusso, della bellezza e delle donne, poco sensibile agli onori, ma non alle manifestazioni di rispetto.
La sua fierezza, tuttavia, non travalicò mai nell’invidia, essendo egli ben consapevole della grandezza del fratello.
All’epoca del soggiorno a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, Luciano aveva incontrato la futura moglie, Christine Boyer, di due anni più anziana, descritta come alta, snella, e dotata di una grazia innata.

Christine Boyer

Chiunque ebbe modo di incontrarla notò la sua gentilezza e l’amore per il marito. Luciano, profondamente innamorato anche lui, tanto che, sposò Christine il 4 maggio 1794, senza chiedere alcun permesso al clan.
Lasciata la cittadina provenzale, seguì Napoleone a Parigi nel 1795, approfittando di questa opportunità per introdursi subito negli ambienti politici della capitale.
Napoleone spinse per la nomina di Luciano a commissario di guerra del nuovo governo del Direttorio, entrato in funzione il 2 novembre 1795, presso l’esercito del Reno, sotto il comando del generale Jean Victor Marie Moreau.
Christine accompagnò Luciano nel suo nuovo quartier generale, ma Luciano mostrò di non essere interessato alla carriera militare.
Quando le vittorie del fratello in Italia cominciarono a rendere celebre il nome dei Bonaparte, ormai francesizzato, Luciano, ottenne l’autorizzazione a tornare in Corsica, deciso a rimettere piede nella politica isolana.
In quella circoscrizione fu eletto nel Consiglio dei Cinquecento e ne divenne membro nell’aprile del 1798, venendo accolto calorosamente a Parigi da coloro che ormai sostenevano il fratello generale.
Indirettamente Luciano sostenne l’ascesa del fratello, dal quale però si tenne sempre abbastanza indipendente, non potendone condividere il progetto quasi dittatoriale che aveva in mente.
Nel 1798 Napoleone decise che il potere navale della Francia non era abbastanza forte per affrontare la Royal Navy britannica e pianificò una spedizione militare in Egitto, per difendere gli interessi francesi e indebolire l’accesso britannico all’Oriente.
Invitò Luciano a seguirlo, ma questi declinò l’offerta.
Il suo ruolo a Parigi nei mesi successivi fu fondamentale: si ritrovò alleato con coloro i quali volevano ottenere una nuova costituzione e comunicò gli sviluppi al fratello con una fitta corrispondenza in cui si lamentava per le debolezze del Direttorio, invitando Napoleone a tornare in Francia.
Quando Luciano ottenne la presidenza del Consiglio dei Cinquecento, giocò un ruolo decisivo nel colpo di stato del 18 Brumaio 1799 che rovesciò il Direttorio.

Napoleone Bonaparte nel colpo di stato del 18 Brumaio in Saint-Cloud

In effetti, le abilità politiche di Luciano portarono Napoleone a essere nominato Primo Console in un quadro di apparente legalità.
Nel mezzo dell’agitazione, con un colpo di teatro, davanti alle truppe chiamate a “proteggere” i deputati riuniti a Saint-Cloud, Luciano prese un pugnale, lo puntò al cuore del fratello e giurò che gli avrebbe piantato la lama nel petto se avesse avuto la sensazione che egli potesse rappresentare una minaccia alla libertà dei francesi.
Napoleone lo nominò ministro degli affari interni nel nuovo regime. In realtà, egli non era adatto a quel mandato, proprio a causa del proprio carattere indipendente, ma per essere un mero esecutore, svolse comunque con diligenza e intelligenza il proprio ufficio, mostrando ottime capacità organizzative.
Luciano fu pure uno dei protagonisti più convinti del ritorno all’antichità classica nell’arte, nel costume, nel teatro e nel mobilio, che caratterizzò i primi lustri del secolo. Numerosi furono anche gli artisti da lui protetti, e oltre a essere un collezionista e intenditore di arte, si cimentava anche nella scena teatrale, facilitato dalla sua voce altisonante e da una bella presenza.
Quando Napoleone, nel maggio del 1800, decise di assumere personalmente il comando delle operazioni militari in Italia, vi si recò con Giuseppe, Luigi e Murat, così Luciano rimase l’unico Bonaparte a Parigi.
In quel momento, la potenza del giovane ministro raggiunse l’apice. Nel frattempo, in quello stesso mese, a Parigi, era morta la moglie Christine, dalla quale aveva avuto due figli.

Seppe organizzare egregiamente, dopo la vittoria di Marengo, i festeggiamenti al rientro delle truppe, rafforzando il regime consolare, nella più grande manifestazione popolare dai tempi della rivoluzione.
Speculando sull’impressione suscitata da vari attentati alla vita del Primo Console, Luciano, nell’ottobre del 1800, fece diffondere un opuscolo con il quale paragonava Napoleone a Cesare, per la sua grandezza militare e politica, ma la sua tesi principale era che occorreva pensare in tempo a una possibile successione.
Fouché, Il ministro di polizia, denunciò subito i pericoli insiti nell’opuscolo al Console, che acconsentì a sequestrare le copie in circolazione.
ll 2 novembre Luciano venne convocato alle Tuileries e messo sotto accusa alla presenza del fratello per il poco opportuno componimento, al quale si aggiungevano i biasimi per una vita di lussi che danneggiavano i Bonaparte presso l’opinione pubblica.
Luciano lasciò il palazzo da dimissionario dopo un’accesa discussione, tuttavia, Napoleone, che non desiderava rompere con il fratello, gli offrì una via d’uscita come ambasciatore a Madrid, con l’intento di convincere il re spagnolo a combattere contro il Portogallo, alleato degli inglesi.
Riuscì ad ingraziarsi Carlo IV, quando l’esercito franco-spagnolo entrò in Portogallo, Luciano nel giugno 1801, firmò un accordo di pace a Badajoz che prevedeva la chiusura dei porti iberici alle navi britanniche.

Nei mesi precedenti aveva ottenuto un altro successo diplomatico con l’esecuzione delle disposizioni previste dal Trattato di San Ildefonso del 1° ottobre 1800: il Primo Console aveva promesso la creazione di un Regno d’Etruria, la cui corona avrebbe cinto il capo di un Borbone di Spagna. In cambio, quest’ultima avrebbe messo a disposizione la propria flotta contro il Regno Unito.
Inoltre, Nuova Orleans e il territorio della Louisiana, acquisito dalla Spagna col Trattato del 1762, venivano ceduti alla Francia.

Carta geografica della Repubblica Italiana nel 1803

Il 9 febbraio del 1801, la Repubblica francese e l’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena firmarono il Trattato di Lunéville, confermando le condizioni preliminari stabilite nel Trattato di San Ildefonso e dando così vita al Regno di Etruria (l’odierna Toscana), creato appositamente per Ludovico I di Borbone, figlio di Ferdinando I e di Maria Amalia d’Austria, ex duchi di Parma.
Esaurita la propria funzione in Spagna, Luciano venne richiamato a Parigi, bramando nell’animo la presidenza della nascente Repubblica italiana.
La sera del 14 novembre, l’ex ambasciatore rientrava a Parigi immensamente più ricco di quando era partito.
Luciano ebbe altrettanta fortuna con la nomina a membro del Tribunato, una delle due assemblee legislative previste dalla Costituzione del 1799, poi conobbe Alexandrine de Bleschamp, vedova del banchiere Jouberthon, che divenne la sua seconda consorte. Si sposarono cinque mesi dopo, il 26 ottobre 1803.
Apprendendo del matrimonio, Napoleone si infuriò: aveva sperato di associare Luciano ad una principessa spagnola.

Alexandrine de Bleschamp

I fratelli litigarono anche, nel 1804, sulla successione imperiale: Napoleone consentì solo a Luciano di entrare nella linea successoria, estromettendone i figli avuti con Alexandrine.
Luciano si trasferì a Roma, rinunciando a qualsiasi ulteriore ruolo negli affari imperiali.
Tuttavia, nel 1807, Napoleone sperava ancora in una riconciliazione.
Chiese alla madre Letizia di scrivergli e lei pregò Luciano di abbandonare la moglie. Napoleone promise che, se lo avesse fatto, i suoi diritti imperiali sarebbero stati ripristinati e i suoi figli sarebbero stati riconosciuti nella linea della successione. Luciano rifiutò di scendere a compromessi, così quando l’imperatore dei francesi annetté lo Stato Pontificio e incarcerò Pio VII, del quale Luciano era amico, Napoleone trovò molto fastidiosa la contemporanea presenza del fratello a Roma.
Nel 1810, Luciano tentò di raggiungere in nave gli Stati Uniti d’America, con la sua famiglia, ma furono tutti catturati dagli inglesi, che permisero loro di vivere a Ludlow e più tardi nella dimora di Thorngrove a Grimley, nel Worcestershire.
Luciano si stabilì con facilità nella vita di un gentiluomo di campagna inglese: trasformò la sua casa in un salotto ben frequentato e si interessò all’astronomia, così come all’educazione dei figli.
Sperando di farsi una reputazione letteraria, compose un poema epico su Carlo Magno, pubblicato a Londra nel 1814, che ebbe purtroppo un’accoglienza fredda.
Scrisse anche una tragedia e un paio di commedie, che furono rappresentate alcune volte in teatro, presenti circa duecento spettatori.
Quando Napoleone abdicò nell’aprile del 1814, Luciano scrisse a Pio VII chiedendo di poter tornare in Italia e di avere un titolo nobiliare.

Il papa Pio VII

Divenne così Principe di Canino e Musignano, con i relativi feudi, e svolgendo attività culturali d’ogni genere, trascorse molto tempo fuori Roma, specie nelle Marche ed in Emilia.
In quel periodo, assillato dai debiti, fu costretto a vendere i suoi palazzi romani.
L’origine del suo crac economico va ricercata nella vita sfarzosa condotta a Roma e nei prestiti che aveva concesso, soprattutto alla sua amante, la marchesa di Santa Cruz, denari mai restituitigli.

Francisco Goya: ritratto di Joaquina Téllez-Girón, marchesa di Santa Cruz -1805-

Durante l’esilio di Napoleone all’Elba, l’atteggiamento tra i fratelli si addolcì.
Quando l’imperatore tornò a Parigi nel marzo 1815, Luciano decise di riunirsi a lui.
Dopo la sconfitta a Waterloo, mentre le Camere discutevano sulla deposizione, Luciano consigliò a Napoleone di sciogliere le assemblee, Napoleone invece lo inviò a fare loro un discorso, sperando che le sue abilità oratorie lo avrebbero aiutato a ripetere la vittoria del 18 Brumaio.

Luciano salì sul podio dei deputati e disse che non era Napoleone a essere attaccato, ma il popolo francese, e ora veniva chiesto a questo popolo di abbandonare il suo imperatore, esponendo la nazione, davanti al tribunale del mondo, ad un severo giudizio sulla sua incostanza.
Luciano si inchinò rispettosamente e si sedette. Il dibattito proseguì, ma i colleghi non accettarono la proposta.
A lui, alcuni giorni dopo, Napoleone dettò l’abdicazione in favore del figlio, Napoleone II.
Con Napoleone destinato a Sant’Elena, i vincitori permisero a Luciano di tornare a Roma, a condizione che rimanesse nello Stato Pontificio. Si rassegnò dunque alla vita in Italia.
Possedendo notevoli proprietà e terreni intorno a Canino, particolarmente ricchi di resti etruschi, si dedicò agli scavi archeologici, mantenendo un museo ed una galleria, che includeva alcuni reperti molto preziosi.

Copertina del libro sugli scavi archeologici a Canino, con riproduzione dei disegni dei vasi e delle iscrizioni, ad opera di Louis Maria Valadier

Quando scoppiò un’insurrezione antipapale nel 1831, lui e la sua famiglia rimasero al di fuori della mischia.
Protagonista ne fu il secondo figlio di Luigi e Ortensia, Carlo Luigi Napoleone, futuro Napoleone III, che riuscì a sfuggire all’arresto degli austriaci arrivati in soccorso del papa nel marzo 1831 grazie all’aiuto dell’arcivescovo di Spoleto, Mastai Ferretti, il futuro papa Pio IX, che lo fece uscire dalla città nella propria vettura, assicurandosi così un credito che sarebbe stato onorato in seguito.
Nel 1833 Luciano, nel quadro di un rilancio della causa bonapartista, pubblicò da Londra un appello al popolo francese con il quale, dopo aver rivendicato i grandi meriti del Primo Console che aveva salvato la nazione dal baratro, venivano esaminate le principali questioni politiche da risolvere.
Si trattava di un vero progetto di costituzione, con finalità non solo francesi ma europee, ritagliato sulla costituzione consolare del 1799, con l’aggiunta di un capo del governo eletto dai cittadini.
Era un sistema politico abbastanza forte per dominare sia il caos sia i tentativi di ritorno assolutista.

Nella lunga premessa al progetto costituzionale, inviato a numerosi parlamentari, Luciano invocava anche una riforma economica e fiscale che abolisse ogni privilegio ingiustificato e introducesse sgravi nei confronti delle fasce più deboli della popolazione al fine di ridurre l’ineguaglianza dei patrimoni.
Nel 1836, Luciano, avvertì i primi sintomi dello stesso male allo stomaco che aveva colpito e piegato anche Napoleone nel 1821.
Paolina ed il padre, si accinsero, invano, a completare le sue memorie.
Luciano Bonaparte morì a Viterbo il 29 giugno 1840.

Quasi tutti maschi del clan Bonaparte si rivelarono un fallimento al governo. Il potere si basava sul genio del còrso e sui preziosi consigli di Luciano e della madre.
Era un clan, in sostanza, a governare un’Europa che il vento della Rivoluzione francese aveva scosso da cima a fondo, e nel suo essere còrso per nascita e italiano per sangue, era il clan per eccellenza, amorevole e collerico, umile ma orgoglioso, sospettoso verso ogni allargamento esterno, geloso di ogni ineguaglianza interna.
Luciano, che aveva sei anni di meno di Napoleone e fu il vero artefice del 18 Brumaio che trasformò il generale Napoleone in Primo Console, non andrà oltre un principato, quello di Canino, frutto peraltro della benevolenza papale.
Rifiutò la politica matrimoniale che il fratello imperatore avrebbe voluto imporgli e si ritrovò privato di ogni beneficio:

“Alla mia famiglia appartengono solo coloro che io riconosco!” diceva Napoleone.

Il monumento funerario a Luciano Bonaparte, opera dello scultore fiorentino Luigi Pampaloni, situato nella Cappella Bonaparte all’interno della Chiesa Collegiata di Canino

Dalle memorie di Luciano emerge un pensiero liberale, propenso all’allargamento del suffragio quanto più fosse possibile, per conferire solidità all’edificio statale.
Credeva in un ceto nobiliare nel senso napoleonico, protettore della libertà, posto in auge per il suo ‘merito effettivo’ e che si sarebbe messo al di sopra dei soliti interessi meschini, per ridare alla cosa pubblica più di quanto avesse ricevuto, ispirandosi su questo punto ai pari d’Inghilterra, ai patrizi romani e alle nobiltà cittadine del medioevo.
La Francia uscita dalla rivoluzione gli sembrò assomigliare potenzialmente molto allo stato romano descritto da Gaio Sallustio Crispo, e lui rivelò ancora una volta, il suo spirito repubblicano d’ispirazione giacobina.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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