Occhi screziati e passo di velluto: gesto di affetto per l’amico felino

          

Misterioso ed enigmatico amico dell’uomo da almeno 10000 anni, se il gatto è quell’adorabile compagno che tutti conosciamo, diventato animale domestico per eccellenza insieme al cane, lo si deve soprattutto al suo ineffabile comportamento in grado di conquistare il cuore degli umani.

La scienza in un importante studio pubblicato su Nature Ecology and Evolution e realizzato dall’Università di Leuven e il Royal Belgian Institute of Natural Sciences che hanno tracciato le origini dei gatti domestici: che sono da ricercare fra Medio Oriente ed Egitto. La loro successiva diffusione – tramite le migrazioni umane – è poi iniziata in tutto il mondo poco più di novemila anni fa.

Miacis

Sulla Terra 50 milioni di anni fa è esistito un animale selvatico con il corpo allungato e le zampe corte: chiamato dagli scienziati “Miacis”, e rappresenta l’antenato del gatto e del cane. Circa 30 milioni di anni fa poi, questo animale si è evoluto, e, per la specie dei gatti, si è sviluppato il “proailurus”, il primo vero gatto che si è evoluto da insettivoro ad arboricolo. L’habitat del gatto di 30 milioni di anni fa è stata l’Europa Occidentale. Successivamente i felini hanno cominciato a suddividersi nei cinque generi differenti che conosciamo: il “Neofelis”, il leopardo nebuloso; il “Lynx”, la lince e la lince rossa; la “Panthera”, la tigre, il leone, il leopardo, la pantera e il giaguaro; il “Acinonyx”, il ghepardo; e il “Felis”, il gatto selvatico europeo, il gatto selvatico africano, il gatto di Pallas e il nostro gatto domestico.
Da questa distinzione, circa 10 milioni di anni fa, si è poi sviluppato un ceppo che ha dato origine a un felino chiamato “Dinictis”, che può essere identificato come un gatto simile a quello moderno, con però delle proporzioni più grandi.

Il Dinictis in una ricostruzione realizzata da Robert Bruce Horsfall -1912-

I gatti attuali provengono tutti dalla specie Felis silvestris lybica e sue sottospecie. Dalle analisi del Dna mitocondriale si sono individuate due linee, la A per quelli medio orientali e la C per quelli egiziani. Di una terza, la C, ci sono tracce che riportano all’epoca classico-romana in cui i gatti cominciarono ad essere accuditi non solo per la loro funzione di cacciatori di roditori ma anche a scopo domestico perché facevano compagnia. Da animale selvatico cominciò dunque a diventare parte integrante della vita delle persone, in alcuni casi simbolo elitario.

Forse non tutti sanno che il gatto domestico ha dunque degli antenati vissuti ben 10 milioni di anni fa! Si tratta della famiglia dei Felidi, alla quale appartengono anche i mici di oggi. Nel periodo preistorico il gatto non era considerato un animale domestico e la sua pelliccia era molto ricercata dagli uomini delle caverne.
Si ritiene che la convivenza tra gatto e uomo abbia avuto inizio quando i primi uomini passarono all’agricoltura e cominciarono ad accumulare grosse quantità di cibo. I primi gatti che si sono avvicinati ai loro insediamenti, attirati dai roditori, hanno rischiato l’incontro con l’uomo pur di cacciare i topi: si sono per questo motivo dimostrati molto utili per gli umani, che li hanno incoraggiati a rimanere e impiegati nei granai come cacciatori di topi.

Non è dato sapere quando ebbe inizio il vero processo di addomesticamento, ma prove certe di convivenza pacifica tra gatto e uomo si trovano nell’antico Egitto (dove il gatto veniva rappresentato in pitture e incisioni di ben 3500 anni fa).

Gli Egizi adoravano il gatto e fin dagli inizi di questa civiltà, il suo ruolo fu quello di oggetto di culto religioso. Dopo la morte, i gatti “egiziani” venivano imbalsamati, e talvolta messi in sarcofagi a forma di gatto, e sepolti in cimiteri per gatti. Il culto del gatto raggiunse il suo apogeo nel 950 a.C., quando si arrivò a condannare alla pena capitale chiunque ne causasse, anche accidentalmente, la morte.
I gatti venivano chiamati Mau o Mieou, parola onomatopeica che ricorda il miagolio, ma che indica anche la luce: il gatto, infatti, grazie agli occhi che splendono anche al buio, era il simbolo sacro della luce. Non vi era casa egiziana che non ospitasse dei gatti; ad essi venivano consacrati anche i figli, che per tutta la vita portavano un medaglione con l’effige felina. Se un gatto moriva era ragione di grande cordoglio nella casa e i familiari si rasavano le sopracciglia in segno di lutto. Il piccolo corpo veniva imbalsamato e solitamente trasportato a Bubasti, città consacrata ai gatti e meta di pellegrinaggi durante le feste in loro onore.

Statuetta di Bastet in bronzo e argento, risalente al periodo tolemaico o romano dell’Egitto. Walters Art Museum, Baltimora.

Gli Egizi veneravano la dea Bastet, dal corpo di donna e dalla testa di gatto, simbolo di fertilità, di vita e di maternità. Esisteva persino un tempio dedicato al culto del gatto e non ne era consentita l’esportazione.
Erodoto, al ritorno da un viaggio in Egitto, scrisse che i mercanti fenici trafugavano segretamente i gatti egiziani per incarico di ricche famiglie greche; questo traffico causò non pochi incidenti diplomatici tra Egitto e Grecia; i greci mai pensarono di allevare loro questi gatti: quando essi venivano a mancare, si rimpiazzavano con altri, forniti sempre dagli stessi trafficanti.

Anche i Romani vollero il prezioso animale. Ai soldati che avevano prestato servizio in Egitto era permesso, a titolo personale, di portare clandestinamente un gatto in patria. Le navi mercantili che percorrevano il Mediterraneo, furono un altro veicolo per la diffusione del gatto, che trovò un habitat adatto anche nelle isole: in Corsica e nelle montagne scozzesi vi sono ancora oggi gatti selvatici che presentano una morfologia identica a quella dell’antico gatto africano. Il gatto, trasportato da una nave fenicia o nascosto nella sacca di un milites romano, è quindi giunto ovunque, diffondendosi in tutti i Paesi del mondo.

Oggetto di antichi culti messi al bando dal cristianesimo, ha superato persecuzione ed ignoranza, e attraverso i secoli, e si è adattato a tutte le condizioni ambientali, si è diversificato nella struttura del corpo e della testa, nel mantello, nel colore degli occhi, tuttavia è rimasto uguale a sè stesso: al di là delle mutazioni genetiche ci si presenta ancora con le orecchie a punta e il bagliore ammiccante dei suoi occhi.

I Greci riuscirono a far conoscere i gatti ai Romani, ai Galli e ai Britanni; i Romani usarono sempre più spesso il gatto come animale di compagnia. Attraverso gli scambi commerciali, la specie riuscì a raggiungere anche l’Asia: in Giappone, in particolare, il gatto è molto apprezzato per la sua bellezza e considerato da sempre un simbolo di pace e fortuna.  Gli Arabi trattavano i felini con estrema stima e rispetto al punto che il profeta Maometto stesso ne era affascinato: famoso è l’episodio in cui una notte tagliò un lembo della tunica per non svegliare la sua gatta!

Con la diffusione della cristianità però l’atteggiamento nei confronti del micio mutò: i gatti erano considerati spesso animali diabolici, al servizio di streghe o fattucchiere, e per questo furono vittime di persecuzioni feroci, sevizie e torture.
La Chiesa considerava i gatti come malefici, e molti bigotti si sentirono autorizzati a mettere in atto la persecuzione dei mici. Di conseguenza, i topi aumentarono a dismisura, contribuendo alla diffusione di varie epidemie nel Medioevo.
Gregorio IX, nel 1233 emanò persino una bolla che si occupava del gatto nero; sarebbe, la bolla Vox in Rama, il primo documento ecclesiastico che condannò il gatto nero come incarnazione del signore delle tenebre, dando l’avvallo della chiesa di Roma allo sterminio dei gatti. Così facendo, ogni “vero cristiano” si sentì autorizzato a uccidere qualsiasi gatto gli capitasse fra le mani; è un fatto certo però che le popolazioni contadine disattesero ampiamente tale bolla perché ben sapevano dell’utilità del felino, soprattutto fuori dei centri abitati. San Francesco, uno dei più grandi Santi che annovera la chiesa, agì invece in contrapposizione rivalutando il creato e tutti gli animali viventi senza distinzione, ma rimase un caso isolato.

Papa Innocenzo VIII nella sua bolla papale Summis desiderantes, emanata nel 1484, istigò misure molto severe nei confronti di eretici e streghe in Germania, e dichiarò aperta la caccia alle streghe e, a quei tempi, chi aveva o veniva visto anche solo nutrire un gatto poteva essere accusato di tale crimine. Molte persone, soprattutto donne vennero condannate, per tali assurdità, a pene atroci. I principii della bolla vennero incorporati nel famoso Malleus Maleficarum, il famigerato libro utilizzato dall’Inquisizione e pubblicato per la prima volta nel 1486. Il prendersi cura di uno o più gatti neri era motivo sufficiente per finire sul rogo e perfino il possesso di scope era sospetto perchè la pulizia era considerata disdicevole (da qui deriverebbe la figura della strega con la scopa).

Durante il Medioevo, infatti, furono distrutte o mandate in rovina, quasi tutte le strutture sanitarie pubbliche costruite dai Romani, come bagni e terme, e molti medici finirono sul rogo perchè vi si opposero. Venne dissuasa l’usanza di lavarsi spesso, le case e le città diventarono delle fogne a cielo aperto. In Europa tra il 1200 ed il 1600 i gatti furono spesso considerati l’incarnazione del male a causa della loro indole misteriosa e delle loro abitudini notturne e furono perciò perseguitati.
Nella notte di San Giovanni nelle piazze delle città e dei paesi venivano bruciati vivi centinaia di gatti rinchiusi in ceste insieme alle donne accusate di stregoneria. Pare che questo odio per la pulizia e per il gatto sia stato causato dall’atteggiamento cristiano verso l’Islam. Infatti i musulmani avevano molti riti legati ai bagni (dovevano fare le abluzioni, cioè lavare parti del corpo, prima di entrare nella moschea e prima di pregare in casa) e inoltre rispettavano il gatto. Il gatto, si sa, è notoriamente un animale che passa molto tempo a pulirsi e queste qualità furono allora condannate. Solo nel XVIII secolo, con l’Illuminismo le donne e i gatti cessarono di essere perseguitati.

Nel corso del XIX secolo, grazie a Pasteur e ad altri studiosi, fu rivalutata la figura del gatto: e non è un caso che Louis Pasteur ammirasse il felino e ne proponesse l’abitudine alla pulizia come un esempio per l’umanità contro le malattie. Quando finalmente gli europei si resero conto che la sporcizia era un male e la pulizia un bene, e non viceversa, come si riteneva un tempo, i gatti cominciarono a riconquistare il loro legittimo posto di guardiani e protettori della casa contro i parassiti. Si dimostrò scientificamente che non solo il gatto non trasmetteva malattie all’uomo ma che il topo, che aveva proliferato per secoli, data la quasi totale estinzione del suo più acerrimo nemico, era portatore di circa 35 malattie pericolose per l’uomo tra le quali il tifo e la peste.
E’ proprio vero la stupidità e l’ignoranza sono il vero flagello dell’umanità!

Dal 1800 il gatto si introdusse nei salotti bene dell’aristocrazia e borghesia e da allora non ha più cessato di diffondersi, e di essere di nuovo amato e coccolato. E’ innegabile che sono le donne ad amare maggiormente il gatto che, fin dall’inizio, era il compagno del focolare e passava più tempo in casa vicino alla donna, a differenza del cane e del cavallo. Probabilmente è proprio per aver sempre condiviso la stessa sorte nel bene e nel male che si è formata questa maggior complicità tra loro.

Ricordiamo però che anche in campo maschile ci furono autentici gattofili: qualche esempio? Augusto, Richelieu, Newton, Zola, Scarlatti che compose la “fuga del gatto”, Leonardo, Picasso, Matisse, Klimt, Bowie, il cacciatore per antonomasia Hemingway e il burbero Bukowski per non dimenticare la gatta amata da Poe e la gattina dal musetto camuso per cui tanto pianse Garcia Lorca quando dei bimbi, per gioco, gliela uccisero a sassate.

Bukowski e un suo gatto

Dunque nel XIX secolo venne accolto nelle case e finalmente rispettato, comparendo in dipinti, fotografie, illustrazioni, pagine di letteratura. La rinnovata passione per il gatto fece nascere i primi allevamenti, oltre alle prime associazioni ed esposizioni feline.

Ai giorni nostri il gatto, con la sua intelligenza ed eleganza, è uno degli animali da compagnia più diffusi e amati in tutto il mondo.


Bibliografia:

  • Elio Zappone (a cura di), Grande Enciclopedia del Gatto, De Agostini, 1995;
  • Paul Leyhausen, Il comportamento dei gatti, Adelphi, 1994;
  • Donald Engels, Storia del gatto. L’affascinante storia del più prezioso alleato dell’uomo, Piemme 2001.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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