Tarallo e la Santa Impazienza, parte ottava

Dopo pochi giorni, come suggerito da Sua Eminenza il Vescovo Amalfio Berruti, la Chiesa di Santa Abbondanziana Martire fu invasa dalle peritissime truppe di una squadra di operai in avanscoperta, appartenenti ad una ditta specializzata in ristrutturazioni, ma anche dai dipendenti della “Fiat Lux”, l’impresa di pulizie convenzionata con la parrocchia.

Don Oronzo aveva prudentemente sistemato dei drappi su ogni dipinto di quelli incriminati, mettendo in bella vista dei cartellini con la perentoria scritta: “Non toccare, quadro in restauro”.
Quasi tutte le cappelle ne erano state dotate, per impedire ai lavoranti di vedere i quadri modificati dai ghiribizzi dei martiri impazienti.
Le uniche tre cappelle rimaste visibili erano quelle, ricche di dipinti, ma fino a quel momento intonse, dedicate a Santa Molara Martire, protettrice dei dentisti, ai Santi Pròzio e Mòzio e infine la più prestigiosa: quella intitolata a Santa Abbondanziana Martire, Patrona di Strappoli di Sotto.

Martirio di Santa Molara
Martirio dei Santi Pròzio e Mòzio

La storia della santa, ben raccontata sugli opuscoli che erano stati redatti da Don Oronzo e che venivano venduti ai fedeli, era davvero impressionante.
Il padre della giovinetta, tale Urbano, nel 304 era ufficiale dell’Imperatore Diocleziano.
L’uomo, un conservatore calzato e vestito, aveva un’idea della paternità che certamente non era granchè in linea con quella caldeggiata dall’attuale scienza psicologico-educativa.
Irritato perché Abbondanziana aveva abbracciato la fede cristiana, le impose a brutto muso di abiurarla.
Al rifiuto della figlia, quell’uomo collerico e tremendo, la sottopose a numerosi, atroci e fantasiosi supplizi:
1) Abbondanziana fu verberata e percossa da due aguzzini, senza tuttavia risentirne più di tanto. Dopo ore di questo trattamento i due cattivi, stanchissimi, non riuscivano più nemmeno ad alzare la frusta.

Il martirio di Santa Abbondanziana

Il padre ne trasse l’impressione di essere stato troppo tenero e diede l’ordine di rincarare la dose, cosicché la poveretta:
2) fu legata ad una ruota della tortura che la spezzò in due, mentre sotto di lei ardeva del fuoco per ustionarla.
Di solito, anche la minima parte di un trattamento simile risulta straletale, ma la tradizione narra che la ragazza uscì intera e del tutto indenne, da questo barbaro trattamento.
Alle soglie di un esaurimento nervoso, il padre, ormai spazientito, prese ulteriori e rigidi provvedimenti:
3) la fece gettare nel lago di Bolsena legata ad una grossa pietra. Abbondanziana riemerse indenne, nuotando verso riva, ma solo per:
4) essere prontamente afferrata e sistemata in un calderone pieno di olio e di pece ardenti, venendo per di più murata all’interno di questa rozza fornace.
Niente da fare: nemmeno questa elaborata operazione ebbe l’esito sperato dall’infame genitore.
Nulla pareva scalfire la tempra della giovane martire.
A quel punto il padre si era un po’ bloccato, ma anche gli aguzzini erano ormai stremati dalla fatica, e pure a corto di idee.

Il martirio di Santa Abbondanziana

Uno di essi, ad un tratto, più che altro per frustrazione, ebbe un impulso, così, tanto per fare, senza neppure crederci:
5) le scagliò addosso due frecce. Incredibilmente, quella fu l’unica cosa che funzionò.
Abbondanziana, trafitta nel cuore, spirò e da quel momento la Chiesa ebbe poi una santa in più.
Abbiamo un po’ divagato, quindi ora procediamo con i fatti.
La sera precedente all’avvio dei lavori nella chiesa parrocchiale, il Prof. Cervellenstein e il resto della truppa avevano preso in affitto cinque stanze nella Pensione La Rossa, molte delle quali erano rimaste vuote perché le truppe dei puttanieri e dei masochisti avevano levato le tende in fretta e furia.
A questo proposito, fu significativo il colloquio di commiato di Berenice Passalà, l’ottuagenaria proprietaria della pensione, col partente Arocle Bartolazzi, un agiato e paffuto droghiere che da anni e anni era ospite fisso della sua pensione e destinatario soddisfatto delle sue scudisciate.

Arocle Bartolazzi nel corso di un meeting con Berenice

Pur commosso fin quasi al pianto, Bartolazzi, era deciso ad andarsene, così resistette ai tentativi della vecchia di dissuaderlo.
Il dialogo tra i due, pur breve, non mancò della dovuta intensità:
Berenice: “Non farlo Arocle, tu sai benissimo che non troverai altrove le stesse emozioni, gli stessi brividi. Dimmi: chi mai ti ha frustato come so fare io, eh? Chi ti ha mai piantato così preciso il tacco 12 sul limitare del duodeno? Me ne so’ fregata dei reumi per farti felice, non è così? Dimmelo dai.

“Bartolazzi: “Ah Berenì, vabbè che so’ masochista, ma nun so’ mica scemo: tu me frusti, me fai male e me piace, ma er corona, si me pija me ammazza proprio!
Te bacio, anzi è mejo de no: te saluto co ‘a mano: Se vedemo Berenì!”.
Quando dunque l’infelice proprietaria con l’arrivo del resto della banda Tarallo si era vista presentare ben sette persone in cerca di alloggio, si era assai rischiarata d’umore.
Si convinse ancor di più che aver corrotto le autorità del paese con vari carnet di abbonamento gratuito a prestazioni che avrebbero scandalizzato perfino la buonanima di Moana, era stata una buonissima idea.
Varcando la soglia della Pensione La Rossa, Cervellenstein e gli altri per farla in barba ai provvedimenti nazionali, erano stati insigniti, senza saperlo, del titolo di “cugini del ramo materno” di Berenice.
Ora, dopo aver chiuso entrambi gli occhi sul fatto che, nonostante venti chili di recenti decreti, la pensione fosse ancora in attività, i potenti, ovvero quelle tre o quattro persone che avevano in mano le chiavi di Strappoli di Sotto, vi si facevano vedere quotidianamente, approfittando volentieri dei servizi erotici nei quali quell’esercizio, per altri versi scadente, eccelleva.

Il gruppo degli amici taralliani, frattanto, si era sparpagliato tra quattro camere.
L’unica singola tra esse l’aveva occupata la Signora Cleofe, che annusando l’aria prima di impestarla con le sue sigarette, si era dimostrata subito assai curiosa delle ambigue usanze della casa.
Gli altri si erano organizzati per coppie: Afid era in stanza con Abdhulafiah, Cervellenstein divideva la sua con Donna Romualda e i due Tressette, nonno e nipote, occupavano la numero tredici.
Omar, appena entrato, aveva dato un’occhiata nauseata alla camera: i due letti parevano un po’ sbilenchi, le coperte assomigliavano a gualdrappe per ronzini e le pareti, che in alcune zone mostravano un’acuta nostalgia per la tinteggiatura, erano ornate da tre quadretti deprimenti.
Il primo di essi, quello collocato vicino alla finestra, raffigurava il costume tipico delle donne di Strappoli: era interamente nero, con un grembiulone color ostrica inferma annodato sul davanti ed una mantellina di pizzo bianca a coprire le spalle.
Spessi calzettoni rossi con dei pon pon verdi coprivano i polpacci, ed alle estremità della paesana, ecco le “caraveglie”, le tradizionali calzature femminili strappolesi a forma di natante, le uniche in Italia autorizzate a battere bandiera.
Si adattavano magnificamente ai piedoni insolitamente ingombranti, tipici della donne del luogo.

La parete opposta era oltraggiata da un brutto poster di un Papa benedicente contro un cielo di un azzurro insopportabile e dalla sexytruculenta locandina di “Scricchiola Suino!”, uno spettacolo sadomaso messo in scena tre anni prima.
Tressette senior, dopo aver osservato truce i quadri, ansimando e grugnendo come un rapper novantenne, sembrò aver varcato in appena quaranta secondi la soglia della sua sopportazione: puntò dunque deciso sulla riproduzione del costume tipico delle strappolesi, la staccò dalla parete e, emettendo un sospiro gigante, la gettò brusco sotto il letto di Lisippo.
Quest’ultimo, curiosamente, se ne stava tranquillo ed assorto: aveva preso a fare esercizi di destrezza imbalsamando un paio di bacarozzi trovati in loco.
Poco più avanti, nella camera numero Otto, il telefono di Tarallo prese a squillare con un trillo che pareva trasmettere ansia.
Lallo rispose e, con sua grande meraviglia, scoprì che chi lo chiamava era nientemeno che il Direttore del Fogliaccio, Ognissanti Frangiflutti: lui in persona!
“Tarallo? Bene Tarallo mi ascolti e non mi faccia sprecar fiato che ho pure un filo di tosse: è un ordine, non torni in redazione per un po’, mi ha capito?”

La redazione del Fogliaccio

“Mah, Direttore, come le avevo detto, in effetti non contavo di rientrare per qualche giorno perché non ho ancora terminato di raccogliere elementi per la mia inchiesta. Qui d’altronde i santi continuano a far di testa loro e allora…”
“Lasci perdere i santi ora, sacrilego figuro, mi consideri semmai uno di loro, perché subisco il supplizio esagerato di aver a che fare con lei.
Faccia come crede, se proprio vuole restare a Strappoli o fare del surf sul Cervino, ma qualunque cosa decida di fare, la faccia a spese sue e stia alla larga.
Abbiamo altro da pensare qui: siamo tutti positivi, ha capito? Non può rientrare quindi, siamo infetti, e il non vederla, mi creda, è l’unico sollievo che mi è concesso da una situazione brutta come questa, dallo stare cioè in quarantena collettiva.
Si andrà per le lunghe, lo capisce? Così il giornale non può permettersi di pagarle delle settimane di diaria! Le è chiaro?

Si chiuda in convento, raggiunga casa sua: faccia quel che vuole ma non si presenti in redazione, perché, glielo ripeto, abbiamo scoperto di essere tutti positivi!”.

“Ma… ma.. è proprio chiusa del tutto la redazione?”, balbettò Tarallo.
“Tecnicamente sì, anche se ci va ogni tanto a fare dei lavoretti Taruffi.”
“Taruffi? E perchè fargli prendere quel rischio?”
“Ma quale rischio, con lui chi rischia è la bestiolina dannata!
E’ l’unico non positivo di tutti noi: era talmente impestato e puzzolente da terrorizzare perfino un essere di bocca buona come il coronavirus! Alcuni virologi giurano di aver studiato al microscopio dei corona che, entrati incoscientemente in contatto con Taruffi, sono fuggiti fino a raggiungere la distanza di sicurezza e poi hanno preso a lavarsi di continuo i bitorzoli, compulsivamente.
Ma non mi faccia divagare: questo è quanto: badi di non presentarsi. Arrivederci”.
Riattaccò.

Il cronista Marzio Taruffi

Lallo era rimasto così basito che Consuelo, preoccupata, gli chiese come si sentisse. Lui iniziò a raccontarle il succo della telefonata ricevuta, ricuorato dalla luce dell’amata.
Alla stessa ora, a trecento metri dalla Pensione La Rossa, all’interno della Chiesa Parrocchiale, tra gli operai che stavano eseguendo il sopralluogo per controllare i punti dell’edificio che andavano messi in sicurezza, ce n’era uno con un aspetto che, saltava agli occhi, pareva disadatto a quel lavoro.
Era un tizio che infatti si era fatto assumere solo pochi giorni prima dall’Impresa Edile Castrozzo e Figli.
Mancava mano d’opera del resto e tanti loro lavoratori avevano dovuti mettersi in isolamento.
Solo per quel motivo il capomastro, Augusterello Trofia, pur molto scettico sulle qualità dell’aspirante muratore, lo assunse, al minimo della paga.
Si trattava dell’uomo notato da Afid, quello che lui giurava fosse Mons. Verafé travestito…

Mons. Verafè travestito

Continua…

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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