Hannah (Greta Gerwig) è una sceneggiatrice trentenne impegnata nella stesura di uno show televisivo insieme ai coetanei Paul (Andrew Bujalski) e Matt (Kent Osborne), con i quali intrattiene delle conversazioni insensate piuttosto che portare avanti il lavoro.
In un primo momento, la ragazza è impegnata con Mark (Mark Duplass), un musicista frustrato e felicemente disoccupato che vorrebbe passare le sue giornate a “fare niente”.
Appena si lasciano, Hannah inizia a frequentare Paul, ma appena gli propongono di trasformare il suo blog in un libro non fa altro che trascurarla. Nel frattempo, la sceneggiatrice, grazie alla loro passione in comune per la tromba, sviluppa un rapporto amicale con Matt.
Questo film è (probabilmente) il pilastro di un movimento cinematografico denominato mumblecore. Quel termine si può tradurre in “nucleo mormorante”, perché come accade spesso nei film francesi degli anni sessanta – in particolare quelli diretti da Éric Rohmer – i personaggi – che sono spesso dei trentenni privi di qualsiasi obiettivo – non fanno altro che parlare di amore, sesso e lavoro. Oltre a questo sta per indicare una serie di lungometraggi a basso costo, girati con una videocamera digitale e con attori non professionisti. Le sceneggiature invece fungono più o meno da canovaccio per permettere a questi ultimi di improvvisare e di rispecchiarsi nei loro personaggi.
Il regista di Hannah Takes the Stairs si chiama Joe Swanberg, e la sua ultima creazione è la serie originale Netflix Easy (2016-2019) che presenta degli episodi autoconclusivi con dei personaggi che si ritroveranno (quasi) direttamente nel nuovo ciclo di episodi.
Come se non bastasse, il suo lungometraggio segna l’esordio di Greta Gerwig, la futura regista di Barbie (2023), in qualità di sceneggiatrice, dopo aver già esordito come attrice in LOL (2006), sempre diretto da Swanberg. A dispetto del suo stile approssimativo e lento, Hannah Takes the Stairs, insieme al delizioso Frances Ha (2012), ci permette di conoscere a fondo l’artista nata e cresciuta a Sacramento, California.
Perciò, oltre a essere una regista coraggiosa e intelligente, è sempre stata un’attrice carismatica, e si spera di rivederla al più presto davanti alla macchina da presa. Anche se, in realtà, Noah Baumbach – suo marito, regista abituale e co-sceneggiatore del film sulla bambola Mattel – le ha già offerto una parte per il suo nuovo lungometraggio ancora senza titolo (dopo Rumore bianco, 2022) in compagnia di George Clooney, Adam Sandler e (udite udite) Alba Rohrwacher!
Siccome c’è sempre un pregiudizio nei confronti del cinema amatoriale, è consigliabile agli spettatori di vedere questo film almeno due volte; giusto per capire il suo scopo.
Per concludere, fra i membri del mumblecore – concluso agli inizi degli anni dieci del duemila – c’è stato anche il Premio Oscar Barry Jenkins, lo stesso regista di Moonlight (2016) e Se la strada potesse parlare (2018). Con quel movimento ha esordito con Medicine for Melancholy (2008), una storia minimalista (e da una fotografia desaturata) su due afroamericani che decidono di passare una giornata insieme dopo aver trascorso una sola notte di sesso. Se siete interessati a questo titolo, o se avete già apprezzato i suoi lavori successivi, potete recuperarlo su MUBI.
Disponibilità: Su MUBI.
Lorenzo Palombo si definisce come uno studente cinefilo che ama parlare e scrivere di cinema – e recitare a memoria le battute di film e sitcom – a costo di annoiare amici e parenti.
Per Latina Città Aperta propone una rubrica intitolata “Un film da (ri)scoprire” per invitare i lettori a vedere o rivedere alcuni film acclamati dalla critica e dal pubblico che rischiano di dissolversi dalla memoria dello spettatore. La rubrica accoglie persino alcuni film europei o internazionali che non sono stati distribuiti nelle nostre sale cinematografiche.