Oscar Wilde voleva fare della sua vita il suo vero capolavoro e per un certo tempo fu un capolavoro condurre una doppia vita. Wilde infatti era sposato con la dublinese Constance Lloyd e viveva in una bella casa a Chelsea insieme a lei e i loro due bambini, Cyryl e Vyvian.
Accanto a questa felicità coniugale si dipanava, parallela, una vita in ombra popolata da figure di giovani, con cui lo scrittore aveva incontri nascosti.
Wilde si illuse di poter conservare segrete le sue amicizie particolari. Non aveva mai dichiarato la propria omosessualità, se non velatamente nella sua opera letteraria, e in particolare nel “Ritratto di Dorian Gray”.
Certo, l’omosessualità di Wilde era in gran parte anche una scelta estetica, che inglobava l’esperienza del pensiero greco, e si incarnava in quel decadentismo sensuale magistralmente rappresentato in “Morte a Venezia” di Mann.
Per Oscar l’arte non poteva accettare rigidi confini tra i sessi e l’atto sessuale, per divenire creativo, poteva, o forse doveva, infrangere le norme sociali e morali.
Le pretese creative sulla propria vita cominciarono a annaspare quando Wilde scivolò sulla buccia di banana di un nobile che gli aveva dichiarato una guerra implacabile poiché il figlio era l’amico preferito del poeta e rispondeva al nome di Lord Alfred Douglas detto Bosie.
Il padre di Alfred, John Sholto Douglas, marchese di Queensberry, era del tutto incapace di comprendere le stravaganze estetizzanti degli ambienti intellettuali di cui Wilde era il fulcro. Il marchese era un uomo solo appassionato di boxe e di cavalli e non appena venne a conoscenza della relazione tra suo figlio e Wilde, mise in atto una febbrile persecuzione che non si fermò di fronte a niente.
Mentre il marchese moltiplicava le sue iniziative subdole nei confronti della coppia, Wilde prese tutto alla leggera e fece l’errore di non denunciare subito il suo persecutore, possedendo numerose prove schiaccianti che certamente avrebbero prevenuto l’ondata montante dello scandalo.
Lo scopo del marchese era appunto quello di far crescere il clamore pubblico di fronte a condotte così scandalose per l’epoca vittoriana.
Oscar non si rendeva conto che da allora tutti i riflettori erano puntati su di lui e continuò la solita vita, abbandonando ogni notte il tetto coniugale per effettuare le solite scorribande nei quartieri poco raccomandabili in compagnia del “suo” Bosie e di numerosi altri giovani.
Lo scrittore, come narcotizzato dal proprio enorme successo letterario, non vide il precipizio che gli si sta aprendo sotto i piedi.
Con pessima scelta di tempo, a un certo punto decise di querelare Queensberry, per un ennesimo atto persecutorio.
Ricordiamo che la legge in base alla quale nel 1895 Oscar Wilde fu condannato a due anni di carcere duro, praticamente una morte civile, puniva in Gran Bretagna gli atti “innaturali” tra individui di sesso maschile non importa se commessi in privato, e vigeva ancora negli anni 1950, quando per sfuggire alla pena il grande matematico Alan Turing, lo scienziato che decifrò i codici della macchina Enigma in dotazione dell’esercito tedesco nell’ultimo conflitto, accettò forzatamente di sottoporsi alla castrazione chimica per poi suicidarsi.
Benché frequente occasione di ricatti, comunque la legge veniva applicata di rado, e nel caso di personalità altolocate la magistratura chiudeva un occhio consentendo agli indiziati di riparare all’estero. Il caso Wilde fu però clamoroso.
Perseguitato dal marchese di Queensberry, padre del suo amico Lord Alfred Douglas, Wilde fu indotto da quest’ultimo a querelare per diffamazione costui che gli aveva lasciato un biglietto in cui lo accusava di “atteggiarsi a somdomita” (sic).
Al processo le parti si ribaltarono però.
Un abile avvocato mise in discussione la personalità di Wilde, e gli investigatori del marchese scovarono ragazzi di vita pronti a raccontare, dietro compenso e garanzia di immunità, i rapporti illeciti avuti con lo scrittore.
La conclusione dei giudici fu scontata: assoluzione per il marchese, mandato di arresto nei confronti di Wilde per oltraggio al pudore con diverse persone di sesso maschile. Alla fine del terzo processo, Wilde ebbe il massimo di una pena che il giudice dichiarò inadeguata. Fu un linciaggio, perpetrato dalla società benpensante contro il brillante irlandese che, pur divertendola, l’aveva sfidata.
Nel libro “Dossier Oscar Wilde” sono riportati i tre processi che, nel 1895, giunsero alla sua condanna ai lavori forzati con l’accusa di sodomia.
Il processo fu scatenato dall’avventatezza di Wilde stesso, che, spronato dalla rabbia del suo amante, Lord Alfred Douglas, portò in giudizio per diffamazione il padre del ragazzo stesso. Wilde si vide puntare l’arma del perbenismo vittoriano contro, fino alla condanna per lui e Alfred Taylor, accusato di gestire una casa di appuntamenti per omosessuali e di procacciare giovanotti a signori facoltosi, di “gross indecency” e di “associazione a delinquere”.
Oggi Wilde è indicato come uno dei più fieri sostenitori della libertà sessuale, una sorta di tragica vittima su cui si è riversata l’ipocrita violenza di un mondo perbenista e bigotto.
Storici e artisti, ancora oggi, scuotono il capo disgustati alle parole del giudice vittoriano che condannava il grande scrittore con uno sprezzante
“mi rivolgo a voi sapendo che sono parole al vento: in individui che arrivano a fare cose del genere deve essere morto alcun senso del pudore, e non è possibile sperare di esercitare alcun effetto su di loro”.
Sorridendo ammirati alle risposte di Wilde, il quale, interrogato sull’immoralità o meno che attribuisse ad un certo romanzetto a sfondo omosessuale clandestino, ribatteva un ironico
“era peggio: era scritto male”!
Quello che si dimentica è come tutto il processo a suo carico sia stato costruito offrendo al pubblico le dichiarazioni dei vari giovanotti che si offrivano a pagamento per accompagnare Wilde e Lord Alfred a cena, a teatro, e poi nelle loro camere d’albergo: persone che raccontarono le loro serate con Wilde, e come questi li ricompensasse con “sterline, portasigarette e un orologio d’argento”.
Le accuse furono rimarcate con la corrispondenza privata di Wilde e Lord Alfred, le richieste e i ricatti di alcuni dei “puttani” da loro frequentati.
Insomma non è che in ballo non ci fosse proprio nulla… purtroppo, come si è visto, la legislazione dell’epoca era persecutoria verso i gay e chiudeva un occhio solo per i soliti nobili british e Wilde purtroppo non lo era…
Wilde pressato sulla natura delle sue relazioni, fu condannato e per lui, che aveva trentanove anni e aveva ottenuto tutto quello che poteva volere dalla vita, fama, fascino, ricchezza e uno straordinario successo di pubblico fu la fine della sua carriera di artista di talento.
Al termine del disastroso processo non evitò la dura condanna e si immolò sull’altare “dell’amore che non osa pronunciare il suo nome”.
Wilde venne giudicato colpevole dei reati di sodomia e di gravi indecenze, e condannato a due anni di reclusione con l’aggiunta di lavori forzati.
In prigione Wilde scrisse una lunga lettera all’amico Alfred Douglas, che venne pubblicata dopo la sua morte col titolo di De Profundis. Uscito di galera Wilde non seppe ritrovare la sua ispirazione creativa, tranne che per la meravigliosa “ballata del carcere di Reading”, e morì in povertà, a Parigi, il 30 novembre 1900 aiutato dai pochi amici che gli erano rimasti.
I verbali dei processi non vennero mai pubblicati ufficialmente perchè ritenuti scabrosi e compromettenti.
Wilde fu tradito “nella memoria” anche e soprattutto dal suo amato Bosie, il suo boyfriend che aveva causato tutta la querelle.
In un processo nel 1918 per l’allestimento della Salomè, fu proprio Lord Alfred Douglas il testimone più feroce contro la corrotta Inghilterra e il suo defunto corruttore: Bosie a 48 anni era diventato un dignitoso signore cattolico e anche molto litigioso; aveva un figlio, Raymond, che si rivelò mentalmente instabile, avuto dalla moglie Olive che lo aveva abbandonato qualche anno prima.
Aveva tradotto in inglese anche i purtroppo famosi “protocolli di Sion” essendosi, tra le altre cose, scoperto antisemita.
La sua testimonianza era ritenuta molto importante perché non solo aveva tradotto in inglese la Salomè che Wilde aveva scritto in francese, ma gli era stato vicino nel periodo della sua stesura.
L’ex-innamorato dello scrittore si scagliò contro di lui con tutto il suo ormai fanatico moralismo:
“Penso che Wilde abbia avuto una diabolica influenza su chiunque abbia incontrato. Penso che sia stato la più grande forza del male apparsa in Europa negli ultimi 350 anni.
Il suo solo obiettivo in vita è stato quello di attaccare e schernire la virtù“.
L’avvocato che rappresentava la povera attrice Maud Allan, che interpretava Salomè, già lapidata di insulti dai soliti moralisti british, mostrò una lettera di Wilde al suo Bosie, inneggiante a
“labbra come petali di rose e a follia di baci”.
“E’ una schifosa lettera sodomita scritta da un diabolico mascalzone a un ragazzo sciocco e indifeso”
gridò Alfred Douglas.
“Lei quindi oggi non è più un sodomita”? gli chiese l’avvocato. “Naturalmente no” fu la sua indignata risposta; come se l’omosessualità fosse una malattia…
Oscar Wilde ritornò così nell’ombra, alla sua Salomè fu rifiutato il visto di censura e persino nel 1927 non fu consentito mettere in scena il lavoro in Gran Bretagna.
Un dramma che ormai era approdato pure a Hollywood nel 1918 con Theda Bara e nel 1924 con Alla Nazimova, ispirate entrambi dalle coreografie e dai costumi disegnati proprio da Maud Allan e ricordando, inoltre, che la Salomè musicata da Richard Strauss era invece considerata rispettabile e già dal 1910 ed era arrivata al Covent Garden!
bibliografia:
- Harford Montgomery Hyde, L’angelo sofisticato. Vittoria regina contro Oscar Wilde omosessuale, Mondadori, Milano 1966 (con la trascrizione degli atti del processo);
- Richard Ellmann, Oscar Wilde, Mondadori, 2001;
- Frank Harris, Oscar Wilde His Life and Confessions, Kessinger Publishing, 2005;
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.