Chi ha paura dello SPETTRO Autistico?

In occasione del 2 Aprile, Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, riproponiamo questo articolo della nostra Consilia Ricerca.
Buona lettura

Il disturbo dello spettro autistico (che per semplicità in questo testo definiremo autismo) si sta sempre più imponendo come tema critico nelle politiche sociali, educative e sanitarie. Uno dei motivi risiede nel rapido trasformarsi dell’autismo da una condizione “incurabile” e “ ineducabile” (il destino delle persone con autismo fino a qualche decennio fa era l’istituzionalizzazione nei manicomi o negli istituti per ritardati mentali) alla speranza di “guarigione” e quindi alla diffusione (e al “mercato”) delle terapie.
Dagli anni 1980 è stato notevole lo sforzo per individuare le cause dell’autismo e le terapie efficaci basate su evidenze scientifiche, ma il cammino da fare è ancora lungo.

il 2 Aprile è la giornata mondiale di consapevolezza dell’autismo

Quello che oggi sappiamo è che i Disturbi dello Spettro Autistico (ASD) sono caratterizzati da una organizzazione atipica di alcune aree del cervello legata ad una anomala maturazione cerebrale su base genetica che inizia già in epoca fetale, molto prima della nascita del bambino.
Per questo il funzionamento mentale delle persone autistiche risulta essere atipico già nei primissimi anni di vita e tende a perdurare per tutta la vita indipendentemente dal calore emotivo che i genitori riescono a fornire ai loro bimbi.

Secondo le evidenze in possesso della comunità scientifica, basate su studi indipendenti, possiamo affermare che non c’è alcuna relazione tra vaccini e autismo.
Questa storia nasce con un articolo del ’99 pubblicato dalla rivista Lancet. I dati utilizzati dall’autore si rivelarono falsi.
Il medico fu radiato dall’ordine e l’articolo venne cancellato dagli archivi della rivista.
Sulla scia di quell’articolo il Giappone ha reso non obbligatoria la vaccinazione più discussa (morbillo, parotite, rosolia).
Ciò nonostante, il numero di casi di autismo è rimasto invariato: non c’è quindi alcuna relazione.
Ci sono poi studi recentissimi di un gruppo di ricercatori di San Diego che dimostrano alterazioni della neocorteccia (la parte più superficiale del nostro cervello) presenti già durante la vita embrionale.

L’autismo è una condizione clinica in costante aumento con una prevalenza nella popolazione stimata di 1 su 68 nascite; in Italia è un fenomeno che riguarda circa 500mila famiglie.
Le sue caratteristiche principali sono tre. La difficoltà nella relazione: ai bambini autistici non interessa entrare in contatto con gli altri.
Molti di loro non rispondono quando vengono chiamati e tendono a isolarsi. A volte si stabilisce qualche contatto, ma solo con i genitori.
Poi ci sono le difficoltà nella comunicazione, che è quasi assente, e la prevalenza di interessi molto ristretti.
I bambini con autismo tendono ad essere ripetitivi, preferiscono sempre lo stesso giocattolo o corrono ripetutamente intorno al tavolo.
Noi le chiamiamo ‘stereotipie’, cioè movimenti ripetitivi senza un fine chiaro.

L’autismo si presenta in modo molto variabile da caso a caso.
Forme lievi compatibili con una vita adulta autonoma convivono con quadri più gravi associati a un deficit cognitivo marcato.
Alcuni possono essere sorprendentemente brillanti su un argomento marginale, mentre il lato di empatia, di intelligenza sociale, risulta molto ridotto.
Nel grande panorama dell’autismo si può spaziare dall’ingegnere perfettamente integrato ma un po’ scontroso e chiuso in se stesso, al bambino con ritardo mentale.
L’espressione di «spettro autistico» adottato di recente traduce questa enorme variabilità indicando come la condizione autistica sia spesso in continuità con la cosiddetta «normalità» con dei confini che appaiono, a volte, sfumati.
Perciò il termine «neurodiversità» ha acquisito, negli ultimi anni, un significato e un valore che vanno al di la del solo politicamente corretto traducendo un modo di essere non necessariamente caratterizzato dalla «patologia», dall’infelicità e dal grigiore.

I Disturbi dello Spettro Autistico si manifestano nei primi anni di vita del bambino. Generalmente i genitori sono i primi a rendersi conto delle difficoltà del loro bambino già dai 18 mesi.
In casi molto lievi questo può accadere anche dopo i 24 mesi. In alcuni bambini i genitori riportano uno sviluppo apparentemente adeguato fino ai 18 mesi seguito da un arresto e/o da una regressione di competenze già acquisite.

La diagnosi è “clinica”, ovvero basata unicamente sull’osservazione del bambino. Non esistono, cioè, accertamenti chimico-clinici o di “imaging” (TAC, RisonanzaMagnetica) in grado di confermare la diagnosi.
È quindi opportuno affidarsi a strutture sanitarie specializzate e ad una equipe multidisciplinare, composta da Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Logopedista adeguatamente preparata per una valutazione clinica globale del bambino.

Test specifici utili che guidano i clinici nel percorso diagnostico sono l’ADOS-2 (Autism Diagnostic Observation Shedule-2nd Edition) e l’ADI-R (Autism Diagnostic Interview-Revised).
Il primo si basa sull’osservazione del gioco mentre il secondo test è un’intervista raccolta dai genitori per indagare la presenza di sintomi dello spettro.
È indispensabile in fase diagnostica indagare, oltre alla sintomatologia legata all’autismo, il funzionamento cognitivo, adattivo e le capacità linguistiche del bambino.

Una volta definita la diagnosi, è necessario progettare un intervento riabilitativo efficace.
Non esiste una cura che consenta di guarire dall’autismo, ma esistono trattamenti riabilitativi che migliorano significativamente la sintomatologia e la qualità di vita.
Fra i trattamenti i più efficaci sono la ‘Terapia mediata dai genitori’, ovvero la presa in carico dei genitori di bambini molto piccoli.
Il parent training aiuta a gestire la relazione complicata, offre modelli di comunicazione alternativi ed è soprattutto efficace nel contenere lo stress dei genitori.
Ci sono poi i trattamenti cognitivo comportamentali che riguardano il bambino: l’Aba (Applied behavioral analysis, analisi comportamentale applicata) o l’Early start Denver model.
Queste terapie hanno una moderata efficacia, specie se cominciate precocemente, prima dei 5 anni.

Esistono anche tutta una serie di trattamenti inefficaci (sempre dal punto di vista del metodo scientifico) sui quali purtroppo si specula:
le diete (con un giro d’affari di milioni di euro),
la pet therapy (ippoterapia, delfinoterapia),
la psicoanalisi.

Possiamo definire appropriato un intervento quando:
– è precoce (entro i 2-3 anni)
– è intensivo (20/25 ore a settimana di occasioni di apprendimento, in cui il bambino sia attivamente coinvolto in attività psicoeducative pianificate ed adeguate al suo grado di evoluzione, distribuite nei diversi contesti di vita: centro terapeutico, famiglia e scuola);
– prevede un attivo coinvolgimento della famiglia e della scuola;
– è caratterizzato da una costante misurazione dei progressi.

Nella scelta della terapia va sempre considerata la fase dello sviluppo e la significativa eterogeneità clinica dei bambini con autismo.
Nel 2011 l’Istituto Superiore di Sanità, ha elaborato la Linea Guida per il Trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti (Le Linee guida dell’Istituto superiore di sanità per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti )

Oggi è però fondamentale riflettere sui modelli di inclusione educativa e sociale, e il modello italiano è un esperimento quarantennale eccezionale e unico al mondo, anche con i suoi tanti limiti, ma ancora troppo poco conosciuto. La concezione del trattamento delle persone con disabilità nell’ottica dei diritti umani va senz’altro in questa direzione (vedi la Dichiarazione dei diritti delle persone con disabilità, dell’ONU 2016).

Le persone autistiche sono innanzitutto persone con un loro modo speciale, diverso, di sentire, percepire, godere e stare tra gli altri.
La capacità di accettare tale diversità è un problema che riguarda quelle persone neurotipiche che sanno immaginare e vivere solo in un mondo omologato, uniforme, che teme ed esclude la diversità.

FONTI: Prof. Stefano Vicari e Prof. Giovanni Valeri, Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma.

Olga Capirci, Dirigente di Ricerca al CNR, responsabile del Laboratorio LaCAM (Language and Communication Across Modalities) e l’Unità di Ricerca Action, Gesture, and Sign (AG&S).
La maggior parte dei miei studi ad oggi, sono dedicati all’ambito della Psicologia dello Sviluppo e Neuropsicologia, con particolare attenzione allo studio dei processi implicati nella elaborazione, acquisizione e uso della comunicazione e del linguaggio in diverse modalità espressive – con particolare riferimento a quella gestuale – e in bambini con sviluppo tipico e atipico (e.g. sordità, ritardo mentale, autismo).
Le mie ricerche stanno contribuendo a evidenziare la rilevanza di un approccio multimodale alla comunicazione, che considera la continuità dall’azione al linguaggio (parlato e segnato) attraverso il gesto, promuovendo l’interesse verso lo studio dello sviluppo parallelo dei processi comunicativo-linguistici e percettivo-motori in un’ottica teorica che vede l’acquisizione del linguaggio come “guidata semanticamente” e “incorporata”

2 commenti su “Chi ha paura dello SPETTRO Autistico?

  1. Chi ha paura dello spettro autistico?
    Gli insegnanti non formati
    Le mamme incinte
    I papà che non riescono a relazionarsi con i propri figli speciali
    La gente che non conosce la diversità ecc ecc.
    Ecco facciamo prima a parlare di chi non ha paura dello spettro dell’autismo.
    Il discorso é talmente grande che non basta un articolo..ci vorrebbe una sezione dedicata solo a questo problema….per approfondire le varie sfaccettature.
    Grazie

    .

    1. Grazie Monia, torneremo sicuramento sull’argomento. L’importante penso sia divulgare con una corretta informazione

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