Tarallisti all’assalto, lo scompiglio generale

                                        

Era un Afid irriconoscibile quello che con qualche esitazione varcò il grande portone del palazzo della Casa Generalizia della Compagnia di Gesù, la bella e prestigiosa costruzione che sorgeva presso Borgo Santo Spirito a Roma.

Casa Generalizia della Compagnia di Gesù, Borgo S. Spirito, Roma

In virtù del vestito prestatogli dal Professor Cervellenstein, un impeccabile spigato blu cui aveva accoppiato una sobria cravatta celeste, grazie ad una vigorosa stiratura dei capelli che l’aveva portato dal livello di increspatura Jimi Hendrix a quello di liscezza Toto Cutugno, e grazie anche alle scarpe di marca che Abdhulafiah aveva avuto in dono da un cliente riconoscente, il falsario non conservava molto del suo aspetto originario, quello stesso che, incontrandolo, induceva immancabilmente le massaie a controllare se possedessero ancora una borsa.

Nella circostanza, invece, avrebbe potuto tranquillamente essere scambiato per un diplomatico dominicano trafficante di cocaina o per un Sottosegretario italiano alla Malversazione, e certamente in quell’ambiente, avvezzo a simili presenze prestigiose, combinato com’era, non sfigurava affatto.
Sfruttando le sue indiscusse doti professionali, per l’occasione aveva voluto esagerare, preparandosi un’intera batteria di documenti, dei falsi di rara perfezione intestati a Don Rodrigo de Bazuca, che andavano dalla Carta di identità rilasciata dal Comune di Malaga fino al Nastro di Cavaliere dell’Ordine di Alcantara, prestigioso riconoscimento monarchico religioso concessogli dalla Corona di Spagna.

L’elegante cartella che si era portato appresso gli scottava in mano: nel plico riposto al suo interno, Lallo Tarallo e la sua truppa di sodali avevano ricostruito minuziosamene l’affaire Bertoni–Frangiflutti, accludendo la testimonianza giurata di Don Vitasnella e una pennetta con la memoria di tutti i sogni programmati e fatti da Don Bertoni tramite la magica poltrona Onyric.
La grande busta contenente quel materiale scottante era indirizzata nientemeno che ad uno degli Assistenti del Preposito Generale della Compagnia, ovvero il potente “Papa nero”, vertice dell’Istituzione.
Mentre attendeva una risposta dal sacerdote dall’aria segaligna e dal parlare scandito che lo aveva accolto appollaiato dietro un severo bancone di legno scuro, volatilizzandosi subito dopo, Afid guardava con una certa soggezione gli alti soffitti di quella prima sala, decorati con stucchi, ori e affreschi con scene bucoliche.
Un denso fruscio di tonache lo avvertì che il suo interlocutore era tornato e che era in compagnia di un altro religioso: si trattava di un  Monsignore dall’aria pericolosamente mite.

Monsignor Pannacotta

“Ecco Don Rodrigo, questo è Monsignor Pannacotta, segretario del Primo Assistente del Preposito Generale, Monsignor Luis Verafé.
Provvederà lui personalmente e senz’altro, a far giungere a destinazione i suoi preziosi incartamenti, stia tranquillo”

“ Le sono obbligato – disse cerimonioso col suo accento esotico, Afid, che aveva visto un mucchio di film in costume, orecchiando i modi dei protagonisti – si tratta di documenti dal contenuto assai delicato”.

Il sorriso, che avrebbe voluto essere rassicurante, di Monsignor Pannacotta, avrebbe fatto rizzare i capelli in testa ad un erpetologo specializzato nel mamba nero, e non mancò quindi di procurare un brivido lungo la schiena anche al buon Afid.
Il falso Don Rodrigo a quel punto, lasciato il plico nelle saponose mani del prete, prese commiato con un piccolo inchino ed uscì.
Il sole di Roma, che lo accolse generoso, lo rassicurò in fretta.
Prese a camminare spedito, pavoneggiandosi in quegli abiti per lui così insoliti, e pensando fuggevolmente che il grosso timbro intestato alla Compagnia di Gesù, che aveva sgraffignato quando era rimasto solo per qualche minuto, avrebbe potuto tornargli utile, chissà, magari prima ancora che si potesse immaginare.

Trascorsero alcuni giorni: la vita scorreva normale per la sonnacchiosa provincia e per i suoi abitanti. I componenti della banda Tarallo si chiedevano che ne fosse stato della loro denuncia.

Lallo intanto lavorava ad un pezzo sulle più spettacolari allergie primaverili di tutti i tempi, una scemenza assurda impostagli dalla direzione del giornale.


Consuelo sviluppava le foto di un matrimonio, un lavoro ben pagato che le era stato affidato e che aveva rischiato di saltare perchè l’aspirante sposo, vedendola, aveva dato in smanie, dimenticandosi completamente della situazione in cui era e chiedendole con insistenza febbrile di scappare insieme a lui in Giamaica.
Solo l’intervento di un medico e di potenti sedativi aveva riportato la cerimonia sui binari previsti, anche se nelle foto si notava che lo sposo aveva gli occhi quasi sempre semichiusi, praticamente dormiva.
Abdhulafiah proseguiva la sua routine di consulente filosofico finanziario presso il parcheggio del grande supermercato Carreconad, dando alla sua clientela dritte redditizie su possibili investimenti.

Afid nel frattempo forniva a vari richiedenti, dietro lauto compenso, lettere di raccomandazione destinate a commissari di concorsi pubblici, missive tanto brevi quanto convincenti vergate su carta intestata alla Compagnia di Gesù, con tanto di timbro di autenticità. 

Il Professor Cervellenstein, invece, era alle prese con una  spettacolare ricaduta del suo cliente più problematico e irrequieto in una delle sue più spiccate intolleranze.

Omar Tressette
Omar Tressette

Omar Tressette, infatti, aveva fatto irruzione nel negozio che vendeva i mostruosi sandaloni tedeschi che lui detestava sommamente, portandovi scompiglio: aveva distribuito ai presenti decine di piccole monografie sul Verrocchio e rifilato terribili pestoni ai clienti che stavano infilando i piedoni nelle sgraziate calzature per provarle.

Il tempo continuava a scorrere.

Un giorno di Aprile, era già passato un mese dalla visita del fasullissimo Don Rodrigo de Bazuca alla sede dei Gesuiti, mentre in cerca di presagi favorevoli scrutava attentamente le macchie che si erano riformate sul soffitto del suo ufficio con la stessa attenzione col quale un aruspice guardava le trippe di una capra, il Direttore del Fogliaccio Quotidiano, Ognissanti Frangiflutti venne riportato di botto alla realtà da uno squillo imperioso del telefono.

Rispose con tono seccato e sbrigativo, ma dopo qualche secondo i suoi redattori, che lo spiavano attraverso la porta lasciata mezza aperta, lo videro ammutolire, afflosciandosi come un soufflè depresso.
La bocca, d’improvviso secca come il deserto del Gobi, lasciava partire quasi esclusivamente dei radi e smorti “Sì”.

“Sì Dottore Illustrissimo…. Sì, ho capito … Oggi stesso? … Sì,mi scusi, dove mi ha detto? Taskent? E’ in Uzbekistan vero? … Uzbekistan quindi, mi conferma … Sì, oggi stesso, sì, d’accordo… COME!!?? L’interim della direzione a Lallo Tarallo?? Ma Dottore non mi sembr … Sì certo, come Lei desidera Dottore. Sì: a risentirci a Luglio”.

Terminata quella conversazione, il cinico Direttore si prese la testa tra le mani. Partì il giorno successivo, quasi senza bagaglio.

Il ciclo di esercizi spirituali che attendeva Frangiflutti in una colonia penale uzbeka mal camuffata da resort, prevedeva una serie di prove durissime, alternate a periodi di quattro ore di meditazione, da farsi in assoluto digiuno. La prima settimana era in programma un massacrante trekking in quota, studiato per permettere ai partecipanti di addomesticare il famoso leopardo delle nevi servendosi solo di una spazzola per capelli e di una scatoletta di cibo per gatti.

Leopardo delle nevi

Partendo per quella pericolosa gita insieme ad altri peccatori e fatti i primi passi sul sentiero che lo avrebbe condotto in montagna, svuotato di forze dalla sconforto e da una notte insonne, Frangiflutti, basito dalla sorpresa, notò in un recinto non troppo ampio e che quindi offriva scarse possibilità di fuga, l’inconfondibile sagoma di Monsignor Bertoni alle prese con le cornate di un superbo esemplare di Antilope Saiga.

Antilope Saiga

L’animale, di dimensioni superiori alla media, sembrava in preda ad un viscerale attacco di anticlericalismo, eruttivo quanto quello di un vecchio anarchico di Massa Carrara.      

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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