La manovra finanziaria è ormai legge e alcune delle principali promesse contenute nel contratto di Governo pare abbiano trovato, almeno in parte, le necessarie coperture.
Dopo aver perso oltre tre mesi in diatribe parolaie e propagandistiche con l’Unione Europea, che hanno comunque avuto un costo ingente sia sui conti pubblici sia sull’economia reale, si è giunti finalmente a un compromesso che ha consentito di licenziare la manovra senza le paventate sanzioni.
I maggiori costi per la remunerazione del debito però rimangono: recenti stime parlano di oltre un miliardo e mezzo per il 2018 e ancora di più per il 2019 e seguenti. Inoltre lo spread rimane comunque tra i 250 e i 300 punti base, contribuendo ad aumentare queste stime.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali, le sanzioni sono state evitate grazie principalmente a due fattori:
- (i) i passi indietro su flat tax, pensioni e reddito di cittadinanza, con il rinvio, con la riduzione nelle stime della platea interessata e con il differimento dell’entrata in vigore e conseguente riduzione dei costi (infatti la previsione di deficit sul PIL si è ridotta dal 2,4% al 2,04%, con l’aggiunta di uno zero per niente neutrale); e
- (ii) con nuove clausole di salvaguardia più onerose.
Questo secondo aspetto mi sembra sia stato poco approfondito, sicuramente con qualche interesse da parte del Governo, più inspiegabilmente da parte delle opposizioni. Vero è che la pratica delle clausole di salvaguardia non è nuova, ma in questo caso è il peso di una eventuale applicazione delle stesse che preoccupa.
Vediamo prima di tutto di cosa si tratta. Sono provvedimenti che dovrebbero scattare in modo automatico qualora il deficit superasse le previsioni. Questo tipo di clausole sono state già attivate da governi precedenti, portando l’Iva al 22%. La clausola di salvaguardia in vigore prima di questa manovra prevedeva l’aumento dell’Iva di due punti percentuali (portandola al 24%) qualora non si fossero reperite sufficienti risorse finanziarie da impiegare nella riduzione del debito. Questa manovra ne sterilizza l’attivazione per il 2019 (che presentarsi alle europee con un inasprimento dell’Iva di due punti, come sarebbe dovuto essere, non fa buona propaganda) ma ipoteca pesantemente il futuro.
Si tratta di trovare 23 miliardi nel 2020 e 29 miliardi nel 2021, con maggiori entrate o minori uscite, altrimenti le aliquote Iva subiranno i seguenti aumenti: l’aliquota ridotta passerà al 13% nel 2020 e quella ordinaria al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021.
Questo slittamento “elettorale” non è pertanto indolore, soprattutto se aggiunto ad un’altra misura che pure andrebbe attivata: l’aumento delle accise sui carburanti (alla faccia della riduzione promessa).
Le clausole di salvaguardia sono una sorta di garanzia che l’Europa richiede a fronte delle previsioni che un Governo fa sull’andamento economico futuro, sia in termini di crescita (già oggi sappiamo essere largamente sovrastimate, col rischio di una nuova recessione alle porte) sia – in parte conseguenti – di maggiori entrate (pensiamo solo alle mirabolanti previsioni di entrata derivanti dalla presunta vendita dei gioielli di famiglia). Qualora quelle previsioni non dovessero avverarsi ecco che scatta la clausola, e ciò potrebbe accadere in qualche misura anche prima della fine dell’anno, quando sarà chiaro che tutte le chiacchiere ottimistiche propagandate sono prive di fondamento economico.
L’importante, per i gialloverdi, è che si scavalli l’appuntamento primaverile con le elezioni europee, poi si vedrà.
Di fatto con queste clausole l’UE ci mette sotto tutela, ma per salvare in qualche modo noi stessi e il nostro futuro, oltre ad evitare il possibile contagio con gli altri Paesi.
Il trucco di scaricare sul futuro i costi della nostra insipienza presente non è nuovo, ma in questo caso si supera ogni limite, facendo pagare a caro prezzo a tutti i cittadini un costo molto maggiore solo per passare indenni il prossimo appuntamento elettorale.
Del resto le previsioni di crescita (con addirittura l’annuncio di un nuovo boom economico alle porte), come pure altri fantasiosi obiettivi sbandierati come cosa fatta dalle narrazioni governative, si reggono esclusivamente su dichiarazioni e buoni propositi non sorretti da alcuna analisi macroeconomica o semplicemente fattuale.
Con la manovra sono stati ridotti i fondi per gli investimenti pubblici, sono state aumentate tasse e imposte, aumentano anche le tariffe di gas, luce e pubblici servizi, non si vede proprio da dove questa tanto declamata crescita possa venir fuori.
E così, tra povertà sconfitta e Fornero rottamata, tra italiani per primi e migranti a casa loro, tra sicurezza insicura e manovra del popolo,
l’unica realtà realmente in crescita è quella delle frasi fatte,
delle dichiarazioni avventurose seguite da rocambolesche retromarce, delle “manine” tecniche che scrivono provvedimenti all’insaputa, dell’inadeguatezza al potere senza vergogna.
Alla fine il cerino verrà passato a qualcun altro, perché il futuro (non solo lato economia) è malamente compromesso e non vedo con quali argomenti, tra meno di un anno, questi signori potranno tentare di arrampicarsi sugli specchi per affrontare le conseguenze di quanto seminato oggi.
Amedeo Contifatti – dietro questo nom de plume si cela un arido ragioniere con un’insana fede per i fatti e loro interazioni; un vetero-illuminista fuori tempo e fuori luogo.