Il gioco delle tre carte


Prima di avventurarmi sui sentieri accidentati dell’economia ho voluto confrontarmi con l’amico Amedeo Contifatti, impegnato attualmente nello studio della nuova riforma fiscale nelle Isole Tonga. Ormai è partito da parecchio e comincio a nutrire qualche dubbio sulla sua volontà di tornare indietro. Fortunatamente le comunicazioni funzionano, pur con le limitazioni del fuso orario, per cui è riuscito ugualmente a travasarmi qualche goccia del suo immenso sapere, spero sufficiente ad azzardare questa analisi.

Cartolina di Amedeo Contifatti dalle isole Tonga

Il risultato delle elezioni europee non poteva lasciare tutto come prima.
A fronte del successo dell’azionista di minoranza del Governo si inserisce il tentativo di riposizionamento politico del socio formalmente ancora di maggioranza, uscito dalla competizione elettorale con le ossa rotte.
Difficile però non notare che il rinnovato attivismo del Vicepremier con delega a Odio e Paura porti da un lato ad oscurare quello che, almeno di diritto, sarebbe ancora il Primo Ministro, e dall’altro a continuare ad alzare l’asticella del confronto (con l’altro socio e con l’Unione Europea), forse alla ricerca di un casus belli per far saltare il banco, con la prospettiva di andare all’incasso di un potenziale risultato elettorale tanto generoso quanto effimero.

Insistere con slogan e iniziative, a partire dalla flat tax, senza dare la minima indicazione sulle necessarie coperture finanziarie (che gli extra dividendi di CDP e Banca d’Italia sono pannicelli caldi, ancorché formalmente pericolosi) potrebbe infatti nascondere le vere intenzioni: andare ad elezioni anticipate dando la colpa a qualcun altro, preferibilmente la perfida Europa. Evidentemente gli strateghi di Trump stanno facendo un buon lavoro (fomentare e sostenere i picconatori dell’Europa) e del resto nel nostro Paese i boccaloni non sono mai mancati.

Boccalone nostrano

Tra le varie fantasiose proposte che vengono partorite quotidianamente da quel vulcano d’uomo, una sembra essere già prossima al capolinea, impallinata dal suo stratega e consigliere più ascoltato: il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti.
Si tratta dei Mini-Bot, un’uscita che all’inizio pareva uno scherzo (i soldi del Monopoli) ma che poi, grazie all’impegno in prima persona dell’esterofilo Ministro dell’Interno viaggiante, è finita sull’agenda di Governo.

In pratica, invece di pagare i propri creditori in contanti, lo Stato salderebbe i propri debiti mediante questo singolare strumento. Una dilazione nei pagamenti formalizzata con un titolo di stato di piccolo taglio. I dubbi sulla percorribilità di questa soluzione sono stati molteplici fin dall’inizio; il primo a mostrarsi contrario (e contrariato) è stato il Ministro dell’Economia, in uno dei rari casi in cui si è ricordato di essere un economista e ha tentato di rivendicare una sua autonomia, se non altro di pensiero.

Come spesso accade con queste boutade, non si è arrivati ad un grado di approfondimento sufficiente a capire la natura del titolo e quindi le possibili conseguenze di una sua eventuale adozione.
Se si trattasse di uno strumento “imperativo” per il ricevente, ma poi negoziabile solo facoltativamente dagli altri soggetti, si tratterebbe di un travaso di debito e di una tassa impropria sui creditori della PA: se avessero bisogno di contanti (e in genere i fornitori dello Stato hanno l’obbligo di pagare il proprio personale e i propri costi senza dilazioni), tali soggetti dovrebbero cedere il titolo al sistema bancario, pagando un tasso di sconto di mercato, tanto più alto quanto più l’operazione fosse ritenuta rischiosa.

Se invece l’accettazione di questi Mini-Bot venisse imposta per legge su tutti, allora si tratterebbe di una sorta di moneta parallela coniata autonomamente da un Paese dell’Unione Europea, secondo qualcuno un allenamento per l’uscita dall’euro.
È su questa ipotesi che il Ministro Tria ha parlato di strumento illegittimo.
Sia come sia, un gioco delle tre carte dove vince sempre il banco.
Per questo il primo furbo del Paese se n’era innamorato al punto da indicarlo come parte del contratto di governo coi pentastellati. Salvo poi accennare al fatto che il contratto parla di onorare i debiti pubblici verso gli operatori privati, senza specificare come (tanto per cambiare).

Ora la disfida tra Borghi (primo ideatore di questa trovata) e Giorgetti, entrambi leghisti, sembra dare una frenata anche solo all’approfondimento tecnico. Quanto ciò sia dettato dalla consapevolezza che si tratti di uno strumento impraticabile e quanto da gelosie interne a un partito in fase di espansione non è dato sapere. L’importante è che ci si eviti anche lo sberleffo dell’intero continente, già pronto a non far passare indenni le generiche rassicurazioni su un improbabilmente roseo futuro dei nostri conti pubblici.

Fino ad oggi tutte le previsioni di questo Governo sono state riviste al ribasso, incluse fortunatamente quelle relative alle domande per il reddito di cittadinanza e per il pensionamento con quota 100.
Ciascuno si sarà fatto la propria idea sulle capacità divinatorie di questi apprendisti stregoni: ci avevano spiegato che, con l’inizio dell’anno, i provvedimenti approvati nella legge di bilancio avrebbero rilanciato l’economia e l’occupazione, facendo volare il PIL e quindi riducendo automaticamente il parametro del deficit, che invece marcia spedito e senza controllo verso il superamento del 3% (quando si sarebbe dovuto fermare al 2,1%). Andare allora allo scontro con gli euroburocrati al grido “voi non sapete fare i conti, fidatevi di noi” somiglia molto a una tattica suicida. Che non sia proprio questo l’obiettivo?

Fidatevi di noi!

Magari, più che alle elezioni, si potrebbe puntare a un governo tecnico che tolga le castagne dal fuoco con una manovra di fine anno lacrime e sangue. Sarà facile poi far digerire al popolo smemorato lo scaricabarile di tutti i sacrifici su chi ha rimesso a posto i conti; conti fatti saltare proprio dai demagoghi che si vorranno poi presentare candidamente alle elezioni come amici del popolo. La sensazione è che non si sia ancora toccato il fondo e che vivremo un autunno torrido.

Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.

Erasmo dal Kurdistan è persona mutevole, con una spiccata tendenza alla tuttologia.
Vorrebbe affrontare la vita con leggerezza e ironia, ma raramente riesce a mantener fede a un impegno così arduo.
Scioccamente convinto di avere qualche dote letteraria (molto) nascosta, si prodiga nel vano tentativo di esternarla, con evidente scarsa fortuna.
Maniaco dell’editing e dell’interpunzione, segue un insano culto del punto e virgola (per tacere delle parentesi e delle amate virgole).
Tenta di tenere a bada una innata tendenza didascalica e quasi pedagogica pigiando sul pedale della satira di costume, ottenendo di comico solo il suo pio tentativo.
Il più delle volte si limita ad imbastire dimenticabili pipponi infarciti di luoghi comuni.

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