Rapallo torna al lavoro. Prima parte

Al suo rientro in redazione dal suo periodo di ferie, tutti notarono qualcosa di profondamente cambiato nel condirettore del Fogliaccio, l’umidissimo Lello Rapallo.
Nessuno a prima vista avrebbe saputo dire cosa non quadrasse in lui, ma tutti, osservandolo, sentivano che il conto non tornava.
Innanzitutto colpiva il fatto che quell’uomo dalle diffuse rotondità, di solito ridente e rilassato come Buddha dopo cena, quando si faceva un bicchierino di Pernod, desse ora l’impressione di sentirsi molto più stanco di quando stava per staccare.

Con l’eccezione di Amedeo Ruggine, il responsabile della rubrica di sudoku, sempre nervoso, distratto e pieno di tic, che come d’abitudine non fece caso a nulla, tutti i redattori sgomentarono alla vista della carnagione giallastra del mezzocapo e delle occhiaie che con un tratto nerastro intorbidivano, appesantendolo, il suo sguardo, solitamente gioviale.
L’estate ancora ruggiva il giorno in cui il condirettore varcò con passo esitante la soglia della redazione, e il caldo non si era affatto persuaso a sloggiare:
Stranamente Rapallo non urlò, ridendosi addosso come sempre, nessuna delle sue solite, banalissime cordialità.

Alzò appena un braccio a mo’ di saluto, poi, con gli occhi accesi del febbricitante, cercò e trovò a stento la porta del suo ufficio.
Entrò.
Si lasciò andare con un muggito sulla anonima poltroncina a rotelle e stette ad osservare per un mucchio di tempo le screpolature nel soffitto, senza sapere che quello era uno dei passatempi abituali del suo detestato collega, l’altro direttore, Ognissanti Frangiflutti.
Rapallo, che sembrava non rendersi conto di trovarsi nel suo posto di lavoro, non si curò di nulla e si concentrò piuttosto su una delle tante screpolature che lo sovrastavano.
Aguzzò ferocemente la vista.
Si trattava di una delle corrugazioni più intriganti dell’intera volta del soffitto, istoriata di crepe e annerita dagli anni, così il condirettore stette per un pezzo a scrutarla, ad analizzarla minuziosamente per decidere cosa gli ricordasse quel disegno, a cosa si potesse paragonare.
Un gioco altamente intellettuale, insomma.

Fuori dalla stanza giungevano i rumori concitati di una redazione di giornale in piena attività; i giornalisti cianciavano sorpresi di lui, ma Rapallo, perso nel suo passatempo surreale, neanche li sentiva.
Lui continuava invece a cercare una risposta: a cosa somigliava quella sbrecciatura nel soffitto?
Scartate decine di possibilità, concluse che solo due erano le ipotesi verosimili.
Con la prima, forse la più comprensibile, il giornalista paragonava la screpolatura all’intestino crasso di un koala, un’immagine che tutti conoscono; la seconda ipotesi vedeva quello strano graffio somigliare semmai alla parrucca indossata dalla Principessa palatina Liselotte von der Pfalz, cognata del Re Sole, alla prima dell’opera grottesca “Sua Eccellenza se la tira troppo”.

“Sì – si disse Rapallo, convincendosene del tutto – la crepa ricalca in pieno la forma di quella parrucca!”.
Detto questo si addormentò di schianto.
Lallo Tarallo che in quei giorni era così sconsolato per essere stato dislocato alla rubrica della posta da illudersi addirittura di poter contare sull’aiuto del condirettore, verso la metà della mattinata bussò alla sua porta per potergli spiegare le sue perplessità.
Rapallo era riverso sulla poltrona, con la testa rovesciata all’indietro come se ancora scrutasse il soffitto, e dalla bocca gli partivano i sibili ed i crepitii tipici di un russare nervoso.
Lallo, sorpreso, fece per tossicchiare, discretissimamente.
L’effetto sul dormiente fu lo stesso provocato da un pezzo di Sfera Ebbasta su un orecchio viziato da troppa buona musica: il condirettore fece un balzo, gli arti mulinarono in un ballo incontrollato mentre un fiotto di materia acidula gli incendiava gola e palato.

Chi è lei? – strillò mezzo strozzato Rapallo ad uno stupefatto Tarallo – Cosa vuole? Ciccetta non guardare, questo signore: è un importuno e sta per andarsene. Non compreremo alcuna cassa di Merlot algerino caro signore, vada via immediatamente! Sciò!!”.
Continuò a conversare con l’immaginaria donna, gesticolando convulsamente.
Lallo si accorse sgomento che le ascelle del condirettore, di solito più gonfie d’acqua del lago Titicaca, erano perfettamente asciutte!

Battè in ritirata domandandosi quanto pesasse il pezzo di cornicione che, staccandosi fragorosamente da un palazzo, doveva aver colpito la testa di Rapallo.
Poi Tarallo sbrigliò la sua grassa fantasia e gli vennero subito in mente mille complotti come probabile causa del vistoso rincoglionimento rapalliano.
Forse nei palazzi che contavano era tornata in auge la fazione frangifluttiana, desiderosa di rimettere in sella l’amato Ognissanti, solo al comando? Bah, forse.
Qualche alto prelato, magari mosso all’azione da un redivivo Monsignor Bertoni, aveva forse consultato un killer bulgaro?
Forse, chissà!
Magari era uno di quelli strappati ad un blocco di granito e capaci di seminare guai con la punta di un ombrello, dando una morte raccapricciante alla vittima designata, oppure in grado con una punturina di indurre un uomo robusto e di buone letture a comprarsi una Smart, o, peggio ancora, a sorbirsi come fossero carezze i romanzi di Fabio Volo. Stordito da queste congetture, e oppresso dall’aria lugubre e malsana della redazione Lallo sentì il bisogno di prendere aria, di respirare solo delle oneste e più salutari polveri sottili.
Uscì dunque in strada, pensieroso.
Aveva bisogno di un investigatore, di qualcuno tostissimo che stesse attaccato al mistero del rimbambimento di Rapallo come un masochista si abbarbica ad una trasmissione della De Filippi.

L’unico investigatore che Tarallo conoscesse, Sal Bronco, era già avanti negli anni e dopo decenni di indagini sulle corna, che lo avevano arricchito solo di schiaffi presi da coniugi infuriati, aveva tirato i remi in barca: ora accettava solo casi di furti di merendine che si registravano spesso nelle scuole dell’infanzia.

Sal Bronco, investigatore privato

Ma più pensava allo sguardo vuoto e febbrile del condirettore, al suo colloquio con “Ciccetta”, un’entità ectoplasmatica femminile, e più Lallo si convinceva che fosse indispensabile saperne di più su quella faccenda.
Si ruppe la testa finché un’idea lo fulminò, bella ed efficace: avrebbe affidato l’inchiesta ad Abdhulafiah e ad Afid, una coppia micidiale di ficcanaso, tipi avvezzi a far cantare la gente come la compianta Mariele Ventre, direttrice del Coro dell’Antoniano, riusciva a far fare a bimbi piccolissimi e talvolta anche a dei feti poco intonati.

La compianta Mariele Ventre

Quella donna tutta magrezza e occhiaie, era una figura epica dello “Zecchino d’Oro”, la trasmissione che gli era rimasta nel cuore.
Se non fossero bastati quei tipi svegli dei suoi amici, sarebbe stata impiegata anche Consuelo per illuminare la verità; questo però solo come ultima carta da giocarsi, nell’improbabile caso di un fallimento della coppia di amici musulmani. Sicuro della decisione presa, Tarallo partì rapido in direzione del supermercato, nel parcheggio del quale Abdhulafuah svolgeva la sua attività di consigliere finanziario abusivo.

continua

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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