Scene dalla città pazza – Prima parte: La caduta di Verafè

                           

“Ti dispiace raccattare il mio accappatoio dal tappeto Luis caro?
Dovevo assolutamente fare la doccia e anche se avevo indosso solo quello, mi sembrava anche troppo: non ho resistito un minuto di più, l’ho gettato in terra e dal salotto sono scappata via in bagno, nuda come mamma mi ha fatta.
Me lo porteresti tesoruccio?”.
Monsignor Verafè sentì un brivido caldo percorrergli la schiena fino a raggiungere la nuca.

Monsignor Verafé
Monsignor Verafé

Da quel punto in su, i suoi capelli, sotto la spinta di quella torrida sensazione, si rizzarono uno dopo l’altro, in progressione, come tanti alberi di una collinetta sollevata da un terremoto.
Vide l’accappatoio, rosa e vaporoso, e lo raccolse.
Era morbidissimo, profumato al punto che istintivamente se lo portò alle narici, sbiancando per l’intensità forte e gentile dell’odore che se ne sprigionò: i neurorecettori gli si accesero tutti insieme, come le lucine di un albero di Natale.
Percorse ancora stordito il lungo corridoio, una specie di galleria fotografica che ripercorreva i successi mondiali della padrona di casa, e si accostò alla porta del bagno, che al suo avvicinarsi si aprì, lasciando uscire un fiotto di vapori odorosi che lo avvolsero come una coperta fatta di nuvole.
Stava per nitrire come un cavallo quando incontra un membro della famiglia reale inglese, ma qualcosa ancora doveva sfidare i suoi sensi, già in spasmodica tensione.
Dalla porta del bagno vide spuntare dapprima una gamba femminile nuda, perfetta, e deliziosamente decorata con minuscole goccioline d’acqua.
Gli sembrava di vivere una scena di sapore orientale, di essere una spia in un hammam femminile e barcollò, sferzato dalla insopportabile sensualità di quella vista.

Un braccio splendidamente modellato sporse a sua volta dalla stessa porta, precedendo di poco la comparsa del volto aristocratico di Greta Garbo.
La diva strizzò maliziosamente un occhio al gesuita e in un lampo gli strappò l’accappatoio dalle mani tremanti: “Sono così brutta da provocarti quell’espressione da branzino cocainomane, Luis?” – disse scherzando, guardandolo ad occhi socchiusi, conscia del potere del suo fascino – bene, allora posso ritenermi così al sicuro da te da chiederti di aiutarmi ad infilare questo accappatoio: te la senti?”.
Monsignor Verafè, che per Capodanno aveva programmato un sogno superlativo: “Una notte con Greta Garbo”, continuò a sognare: era dalla sera precedente che se ne stava comodamente spalmato sulla sua poltrona Onyric, ad occhi chiusi e con un sorriso sterminato stampato fisso sulla faccia.

Non lo avevano destato nemmeno i botti a scroscio che avevano celebrato l’arrivo del nuovo anno.
Provocato così maliziosamente nel sogno dalla diva, strinse le palpebre e cominciò ad uggiolare come un pechinese che intuisca l’arrivo della sua scatoletta con pollo, carote e manzo.

Del resto le cose incalzavano, seppure oniricamente.
Ormai il religioso, in smoking e farfallino, era a tiro della divina.
Gli spiegò alle spalle l’indumento per aiutarla ad indossarlo, fingendo di non guardarla, e quando la Garbo, fasciata di rosa, si girò verso di lui, sorridendo abbacinante, gli si piegarono le ginocchia.
Greta lo guardava ad occhi socchiusi, invitante

Verafè, totalmente risucchiato dalle piacevolezze estreme di quel sogno così realistico, non poteva certo accorgersi di ciò che nel frattempo stava avvenendo nella vita reale: qualcuno lo aveva chiamato, bussando più volte alla porta del suo appartamento e, non avendo ricevuto risposta, era entrato in preda ad una certa apprensione nella stanza in cui lui faceva i suoi viaggi onirici sulla poltrona magica.
Si trattava della religiosa che si occupava quotinianamente delle necessità materiali del monsignore, dal cibo alla pulizia dei locali, Suor Manfreda Carnera, dileggiata dalle consorelle come “Suor Tricheca”, per via dei rigogliosi mustacchioni che le sovrastavano la bocca.

Suor Manfreda Carnera

La monaca, entrando nella stanza di Monsignor Luis Verafè, vide il riservatissimo gesuita che dormiva sprofondato in una poltrona enorme, che sembrava quella del Capitano Kirk nella plancia dell’Enterprise.
Il suo tuttavia non pareva un sonno sereno: il potente religioso, agitatissimo, alternava uggiolii canini a mugugni soffocati, sorrisi ebeti ad espressioni sbigottite, mentre frequentemente tendeva e ritraeva le gambe, come un ciclista che si sia beccato un crampo.
Suor Tricheca non lo aveva mai visto in quelle condizioni e, allarmatissima, subito si diede da fare per cercare di svegliarlo.
Gli si avvicinò, accostando la faccia alla sua, e cominciando a fare dei piccoli suoni per svegliarlo, come quando si cerca di dirottare un russatore animalesco in pieno concerto, portandolo verso territori più silenziosi .
“Zzzz, Zzzz, Zzzz; Tch Tch Tch; Tloch, Tloch, Tloch…”.
Niente da fare, Verafè continuava ad uggiolare, uggiolare, uggiolare.
Alla monaca venne da pensare a Sprizzy, la stucchevole cagnetta di sua cugina Alfreda, ritta sulle zampette fino al bordo della tavola in cui mangiavano i suoi padroni, a reclamare ossessiva, con versi identici a quelli, qualche boccone di ossobuco coi piselli.

Suor Manfreda Carnera, vista la perdurante incoscienza del gesuita di sua pertinenza, non si scoraggiò, anzi, gli si accostò di più: ormai sfiorava il viso del dormiente.
Aumentò così, di un bel po’, il volume dei suoi richiami.
Monsignor Verafè, alias Luis il seduttore onirico, giunto ad un punto decisivo del suo sogno e conscio di quella vicinanza ultraerotica, era certo ormai che Greta Garbo non attendesse che quello, così la abbrancò, deciso, per baciarla.
Fece scattare in avanti le braccia e la schiacciò contro il suo corpo bramante.
La sbalordita Suor Tricheca si vide di colpo afferrare senza alcun preavviso, fino a cadere nella ferrea morsa delle braccia del gesuita.
Prima che potesse organizzare una minima reazione, fu da lui baciata con passione.

Mai la monaca aveva provato nulla di lontanamente simile: spavento, stupore e mollezza la paralizzavano.

Trasportata in un mondo totalmente sconosciuto, non riusciva né a ribellarsi né ad acquietarsi domata.
All’interno del suo sogno, nel frattempo, il monsignore sentiva che qualcosa non funzionava.
La Garbo non rispondeva al suo bacio, sembrava materia inerte e date le torride premesse, si aspettava qualcosa di ben diverso.
Aveva immaginato di provare sensazioni così esagerate da farlo sentire come un frisbee incandescente, lanciato nel paradiso delle voluttà.
E invece, non solo la diva pareva molle e passiva al contatto delle loro labbra, ma lui cominciava pure a sentire sulle sue una inopportuna sensazione di pizzicore.
Più incrementava il suo ardore e più si sentiva pizzicare il labbro superiore: la delusione ed il fastidio crescevano di secondo in secondo.
Possibile mai che quella donna di sogno, pensava veloce e vago, fosse passiva come la coscienza di uno spacciatore di neomelodici, e che gli procurasse solo uno sciame di mille punzecchiature?

Ormai la possibilità che baciare Greta Garbo gli potesse procurare anche un remoto istante di piacere, gli pareva tramontata per sempre.
Ma intanto quel raspare pizzicoso sulla bocca perdurava e  gli divenne in breve tempo così insopportabile che si sentì strappare dal suo sogno a frenetica velocità e riportare vorticosamente verso uno stato cosciente.
Si svegliò infatti, e, pur confuso, si accorse in un lampo di essere davvero impegnato a baciare qualcuno.
Ma chi?
Associando velocissimo il pizzicore al pensiero si chiese angosciato: “Oddio, sto forse baciando un uomo baffuto?”
Tutto, di conseguenza, avvenne in un istante
Verafè staccò le labbra da quel contatto doloroso e aprì gli occhi: vicinissimi ai suoi gli si presentavano quelli, acquosi e sbarrati dalla sorpresa, di… di… di SUOR TRICHECA!!??

Se si fosse trovato a baciare un cammello in età avanzata, il religioso avrebbe provato meno repulsione: quella monaca gliela aveva appioppata il Superiore dei Superiori credendo di dargli un aiuto, ma lui non l’aveva mai sopportata: era buona quanto ottusa, e irsuta come Lucy, l’anello di congiunzione, ma che doveva fare? Era protetta dalle alte sfere: poteva mai lui imporgli di radersi e prestargli i suoi rasoi?
Il monsignore, portato in un nanosecondo dall’orrore alla piena coscienza, diede un urlo strozzato e quasi in volo balzò fuori dalla poltrona Onyric, rovesciando a terra la monacona, mentre gli auricolari gli si staccavano dalle orecchie.
Per lunghissimi momenti la suora rimase immobile sul pavimento, stordita, costretta dalla caduta ad una posa scomposta.
Il gesuita, lontano dall’abituale atteggiamento di falsa mansuetudine e umiltà, rosso paonazzo in volto, ringhiò rabbioso alla suora: ”Ma che voleva fare, orrida bruttona stupratrice? Baciarmi mentre dormivo, eh? Ma pensa che io mi faccia violentare da un pinnipede baffuto come lei?”

“E’ stato lei ad afferrarmi e a baciarmi Monsignore, perché mi dice queste brutte cose?”, rispose Suor Tricheca quasi piangendo.
Dalla poltrona nel frattempo continuava ad arrivare il sonoro del sogno programmato.
La voce perfettamente riconoscibile di Greta Garbo stava dicendo: “Accidenti Luis, dove ti sei rintanato? Che fai, mi togli l’accappatoio e poi scappi? Non posso crederci: sei un figlio di puttana, nessuno può trattare così Greta Garbo, figurarsi una mezza cartuccia come te!”
Verafè si gettò sulla poltrona cominciando a spingere concitato tutti i tasti per far tacere la diva, ma quella proseguiva inesorabile: ”Hai capito razza di bastardo? Tu con quella faccia da besciamella guasta, non ti dovevi azzardare a mancarmi di rispetto: sei finito Luis, ti sguinzaglierò i miei avvocati addosso e se c’è stata anche una sola macchiolina nella tua vita, loro la scopriranno. Ti farò marcire ad Alcatraz!”…

Suor Tricheca intanto si era rialzata e seppure ancora malferma di gambe e di voce, ribadì ostinata: “E’ stato lei a baciarmi Monsignore, io pensavo solo che avesse gli incubi e volevo aiutarla ad uscirne”.

“Altro che incubo, baffona! Lei non immagina nemmeno lontanamente a chi mi ha strappato baciandomi e pungendomi con i suoi obbrobriosi mustacchi, a quali delizie mi ha fatto rinunciare…”.
Alle spalle di Verafè, improvvisa ed inaspettata, una voce che suonava severa ed autorevole , confermò: “Sta dicendo la verità!”.
Poi, dopo un secondo di silenzio pesantissimo, chi aveva parlato riprese: “Io stavo venendo a parlarle di una questione seria Monsignore, un fatto sul quale mi occorreva il suo parere.
Ho trovato aperta la porta del suo appartamento e sono entrato proprio mentre lei afferrava Suor Manfreda baciandola. Non le sto a dire con quale pena e disgusto io abbia assistito a questa spiacevolissima scena. Stia certo che ne riparleremo”.
La Garbo frattanto proseguiva inviperita a snocciolare minacce: “Ad Alcatraz, figlio di puttana. E siccome ho delle conoscenze in quell’inferno, ti farò mettere nel braccio degli stupratori di elefantesse!”
Monsignor Luis, stordito dall’ulteriore colpo di teatro, si girò per capire chi si fosse intromesso tra lui e la monaca trichechiforme.
Ogni goccia di sangue fuggì dal suo viso: dinanzi a lui, scurissimo in faccia come una promessa di tempesta, stava il Preposito Generale della Compagnia, suo diretto superiore e superiore di tutti i gesuiti del pianeta.
Era il vertice supremo dell’Ordine, il cosiddetto Papa nero.

Continua…

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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