Il parco “Falcone e Borsellino”: non marmo, ma tessuto sociale

di Anna Eugenia Morini

Il mio pensiero sulla città oggi trova uno spazio fisico e un nome: Parco Falcone e Borsellino. Un luogo centrale nella pianta urbana e nella nostra memoria collettiva.
L’area del parco è molto vasta, più di cinque ettari; è circondato da una bassa recinzione e con otto punti di ingresso che conducono a un centro, dove si erge ambizioso il monumento ai caduti di Oriolo Frezzotti, inaugurato il 18 Dicembre 1965, ma pienamente dialogante con la circostante architettura del regime. Un luogo da visitare o comunque da attraversare per chiunque voglia farsi un’idea del carattere della città.

Per curiosità sono andata a leggere le cinquantacinque recensioni del Parco presenti su Tripadvisor. La più distante nel tempo è del 2011, e vi si denuncia lo stato di abbandono; un’altra del 2014 recita:

Il parco non brilla certo per qualità, ma il fatto che esista un parco di una certa estensione nel centro di una città italiana di medie dimensioni non è poi così ovvio e va notato.

Altre recensioni rilevano la mancanza di panchine, altre lo considerano un luogo ideale in cui passeggiare; ci sono poi recensioni dai tratti nostalgici, che rivendicano il vecchio nome (continuerò a chiamarlo Parco Mussolini perché LUI lo ha fatto), e altre ancora che lodano il luogo come polmone verde.
Comprendo che Tripadvisor non possa ritenersi fonte autorevole, anche per il numero limitato delle testimonianze,

tuttavia può essere utile osservare il luogo con un certo distacco, magari per scoprire che al centro della città c’è un parco verde, ampio, che in alcuni periodi è stato trascurato, ma che è sicuramente una risorsa preziosa.

Così da qualche giorno sono tornata a riflettere sull’area del parco, immaginandola popolata da persone di ogni età, e ho notato che l’ansia di attività all’aperto, dettata dall’emergenza Covid, ha contribuito a rendere il vicino Parco San Marco un luogo pieno di vita. E allora come mai nell’area del Parco Falcone e Borsellino non riscontriamo la medesima vitalità? Perché l’attraversamento di quel luogo monumentale e decadente ci fa sentire isolati e vulnerabili al punto da evitarlo o dedicargli solo un rapido passaggio?
In questi giorni pandemici ho desiderato di vederlo nuovamente abitato.

Era il  luogo delle riunioni spontanee dei collettivi attivi tra gli anni Settanta e Ottanta, delle ricreazioni estive, delle partite di calcio, del pattinaggio e delle biciclette.

Oggi risulta meno aggregante, tanto grande da favorire occultamento, spesso rifugio di esistenze marginali, il simbolo di una periferia esistenziale nel cuore della città.

La sua fisionomia è cambiata progressivamente con il mutare della città stessa, ed esso è divenuto un relitto sospeso tra antica memoria monumentale e incertezza del presente: il danno e la beffa per quell’oasi verde, inconsapevole del carico di retorica che ha dovuto sopportare, anche in tempi recentissimi, quando è stato inaugurato con il nuovo nome “Falcone e Borsellino” in sostituzione di “Arnaldo Mussolini”, rispolverato negli anni Novanta nell’ambito di un programma di toponomastica basato su un orgoglio fascista.
Fatico ancora un po’, confesso, a chiamare il Parco con il nome che ha ora. Difficile il doppio nome: richiede uno sforzo preceduto da un pensiero, ma soprattutto un’intenzione. Nomino un luogo se lo vivo, lo attraverso e contribuisco attivamente a modificarlo potendolo considerare anche mio. Oggi purtroppo il nome “Falcone e Borsellino”, assegnato all’area del Parco il 20 Luglio del 2017, viene vissuto da alcuni come un oltraggio alla memoria, perché il passaggio di nomenclatura, organizzato con la modalità di una propaganda divisiva, ha mortificato una parte della comunità che sarebbe riduttivo classificare come politicamente retrograda e che, soprattutto, non ha compreso perché l’Amministrazione di tutte e tutti abbia ingaggiato una battaglia del “Noi contro Voi”. Tale crepa, poi, si è ulteriormente ampliata quando, nel tentativo di dare nuova veste al Parco, simbolo di Legalità, l’Amministrazione ha messo i sigilli e fatto rimuovere le strutture per i bambini che venivano gestite senza gli opportuni permessi, non prevedendo, però, un’adeguata sostituzione di una funzione ludica che per più di qualche decennio aveva rappresentato un punto di convergenza delle famiglie, che anche in questa circostanza, purtroppo, non hanno compreso.
Il luogo allora ha assunto oggi i connotati di parco della discordia, proprio quel luogo che, con l’Associazione di cui faccio parte, il Centro Studi Angelo Tomassini, insieme alla Casa dell’Architettura, avevamo immaginato, in un progetto realizzato nel 2014 con le scuole secondarie, come spazio dedicato “ai costruttori e costruttrici di pace”.

A poco serve restaurare le fontane, tagliare l’erba per rispondere alle strumentali e malevole accuse di “degrado”; il parco, per essere vivo, deve essere abitato e compito nostro è quello di ricreare un habitat attraverso un cantiere cittadino realmente condiviso.

Riporto alla luce la recentissima storia del Parco “Falcone-Borsellino”, non con intento recriminatorio, ma guidata da una certa propensione ad ascoltare chi ancora rigurgita rabbia, perché la vicenda del nome del parco (Ahinoi!) è ferita dolorosa, che poco ha a che fare con la diatriba fascismo/antifascismo, ma rischia di catalizzare in  questa sterile dialettica il rancore di chi non ha compreso i tentativi dell’attuale Amministrazione, probabilmente poco efficienti quanto nobili, di trasformare il linguaggio e lo sguardo sulla città a vantaggio di tutta la comunità. Alla luce di ciò sono convinta che, proprio in un momento in cui le aree verdi offrono preziose possibilità di aggregazione, una prospettiva concreta di riconciliazione delle diverse anime della città debba ripartire da questo parco. E ritengo anche che i soggetti attivi possano essere gli studenti e le studentesse delle scuole superiori, i giovani universitari, sicuramente guidati e supportati da chi amministra la città. Verrebbe così garantita una trasversalità  necessaria ad allontanare pregiudizi e interessi di singole parti. Questi soggetti, inoltre, avrebbero l’opportunità di realizzare in uno spazio geografico concreto, delle reali esperienze di cittadinanza attiva. Prima delle elezioni amministrative del 2016 gli studenti e le studentesse chiedevano poche semplici cose: verde attrezzato, sicurezza, mobilità pubblica potenziata. Credo che oggi queste tre esigenze continuerebbero a emergere tra le loro richieste. E allora perché non consentire loro, attraverso un progetto organico, di attrezzare il parco cittadino per creare angoli di convivialità, discussione, incontro? Costruire delle aree tematiche destinate alla musica, al teatro, ai laboratori per bambini, un ambito destinato alla solidarietà, come pranzi sociali e scambio di beni di prima necessità. Magari un mercatino dell’usato dedicato ai bambini, una sorta di mercato della memoria per i più piccoli, in cui trovare abiti, giocattoli, libri per l’infanzia.

E ancora uno spazio per gli animali e uno per l’attività sportiva (come è stato fatto nel parco San Marco e si prevede di fare con la prossima realizzazione di un Skatepark). Una prospettiva confortante anche in vista di una graduale riapertura degli spazi di socializzazione, in cui proprio i luoghi aperti costituiranno il terreno comune per un’azione di rinascita collettiva, che il divario economico e il disagio psicologico cresciuti in questo ultimo anno apocalittico, rendono urgente e necessaria.

Anna Eugenia Morini è docente di Lettere in un Liceo di Latina. Alla sua professione di insegnante affianca una costante attività di volontariato culturale collaborando con diverse associazioni culturali e manifestando un particolare interesse per la fotografia e il cinema, discipline che fa confluire in un più generale ambito di antropologia visuale. Ha svolto attività di traduttrice dal greco antico per il teatro e di formatrice di didattica audiovisiva, per i docenti e gli studenti della Scuola Secondaria. Partecipa attivamente, in qualità di relatrice e di moderatrice, a giornate di studio e conferenze dedicate alla letteratura, al cinema e all’arte. Nel 2010 è cofondatrice dell’Associazione Corde, uno spazio performativo-sperimentale che, nell’ottica della necessità di formazione del pubblico, dà vita a occasioni di interazione con artisti del panorama nazionale. L’attività iniziata con Corde prosegue oggi nel progetto Effetti Collaterali, laboratorio di formazione del pubblico realizzato in collaborazione con il Teatro Fellini di Pontinia e il Centro di formazione Clap. Da due anni, in qualità di socia del Consiglio Direttivo del Centro Studi Angelo Tomassini, ha contribuito a dar vita al Seminario annuale di studi gramsciani, attività correlata al Premio Internazionale “Alberto Cardosi” e portata avanti in sinergia con l’Associazione Alberto Cardosi e la Fondazione Gramsci di Roma.

Pensieri per la Città – Un’Agorà per Latina è la nuova rubrica-contenitore della nostra rivista blog, LatinaCittà Aperta.
Abbiamo, infatti, voluto affiancare al nostro settimanale, che come sapete tratta di argomenti che potremmo un po’ pomposamente definire di “cultura generale”, uno spazio, un’agorà di riflessione e di approfondimento intergenerazionale su temi della città che ci ospita, Latina, non limitandoci ad essa.
Ci si propone di istituire qualcosa di vivo, un luogo di confronto e di approfondimento, gestito da giovani, donne e uomini, forze fresche e consolidate intelligenze, persuase che la partecipazione e il confronto siano i cardini della buona politica.

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