Del perché ho detto basta nel video della Murgia

di Teresa Faticoni

Quando sono tornata al lavoro dopo una gravidanza non trovai più il mio pc. Lavoro sui siti web, quindi non fu un problema, ricostruii facilmente tutto quanto avevo perso.

Ma mi resi conto per la prima volta, e fu la prima di tantissime, che non potevo essere come i miei colleghi maschi.
E a niente serviva impegnarsi.

Diciamo, dunque, come premessa fondante, che la consapevolezza di quanto fosse difficile essere donna e mamma nel mondo l’ho avuta attraverso le mie figlie. Perché prima libertà e strafottenza non mi lasciavano vedere quel muro che la società mette davanti alle donne che vogliono lavorare, contribuire alla crescita collettiva, dare il proprio sostegno al miglioramento della società.
Forte di questa convinzione l’11 febbraio ho risposto alla call to action della scrittrice Michela Murgia che su Instagram chiedeva alle donne di raccontare le parole che non vogliono sentirsi più dire e perché.

Una data simbolica, l’11 febbraio, perché è la giornata internazionale delle donne nella scienza.
L’ho trovata una coincidenza memorabile.

In quella giornata, nella pausa pranzo, senza trucco e con la faccia sfatta da ore passate davanti allo schermo del pc ho registrato un brevissimo video dal mio cellulare. E ho detto:

non voglio sentire mai più che un bambino dica alle mie figlie di cinque anni ‘TU NO perché SEI FEMMINA’.

Come se essere ‘femmine’ significasse naturalmente qualcosa di meno, come fosse ovvia la limitazione perché intimamente correlata al genere, come se femmina uguale scemotta fosse una cosa normale.
Le mie bambine mi hanno riportato questa frase con stupore, io invece ne sono stata indignata.
Perché nasconde un sacco di cose: famiglie con uno strisciante sessismo a far da moderatore dei rapporti; papà che pompano l’ego dei figli maschi eredi del cognome e della tradizione; mamme che non lasciano crescere quei principini e li imboccano pure quando cominciano a farsi la barba; stati che tassano al 22% gli assorbenti; aziende che pagano di meno le dottoresse e più i dottori; linguaggi che corroborano queste convinzioni, con il maschile che è un complimento e il femminile che è un insulto (toro è un maschione da riproduzione, vacca è una zoccola).
Le parole sono importanti, e dobbiamo usarle per bene.

Perché quando a una donna che fa una cosa che non ti piace, ti rivolgi chiamandola ‘troia’, come dice una ragazza nel video della Murgia, lo fai per sminuirla.
E questo è sessismo, è esclusione.

E l’esclusione è il prodomo della discriminazione, che passa per atti come la minimizzazione, la denigrazione, il silenzio o il disinteresse.
Per questo ho rivolto il mio appello alle mamme: da noi parte l’onda del cambiamento.
Il video della Murgia è stato pensato in vista dell’8 marzo, la giornata internazionale dei diritti della donna.

Serve altro che l’8 marzo, tutto l’anno. Serve un momento per fare il punto sui diritti delle donne, e sui diritti negati alle donne.

Io, personalmente, non capisco lo sciopero femminista e transfemminista che si organizza ormai da qualche anno. Essere donna è una condizione da cui non ci si può assentare per un paio di ore, quelle dello sciopero. A volte si rischia di fare peggio, di sviare il discorso dall’obiettivo, di concentrarci sulla a di avvocata e non sul fatto – a cui ho personalmente assistito durante un corso di formazione professionale per giornalisti dedicato al codice rosso – che l’avvocato uomo viene chiamato avvocato e poi il cognome, l’avvocato donna viene chiamata per nome.
Quando le mie figlie mi hanno chiesto perché la mia faccia comparisse su quel video ho dovuto trovare un modo semplice per rispondere: perché nella vita mi voglio impegnare, e fare le cose perché sono brava. E nessuno deve dirmi che siccome sono femmina non posso fare qualcosa. Noi possiamo fare tutto

Come lo spieghi senza parolacce a due bambine di cinque anni cosa è il sessismo?

Teresa Faticoni: Giornalista pubblicista dal 2008, nella vita mi sono sempre occupata di comunicazione. Ho cominciato a scrivere nelle riviste e nei quotidiani locali. Sono stata per anni redattrice del quotidiano Il Territorio e della televisione Tele Etere, e ho collaborato per un decennio con il settimanale Il Caffè. Sono direttrice della rivista online Pomezianews. Oggi lavoro al Comune di Latina. Sono impiegata nell’ufficio internet e mi occupo di partecipazione. Sono mamma di due gemelline, sposata con Marco e vivo da sempre a Latina. Sono di sinistra, avanti.

Pensieri per la Città – Un’Agorà per Latina è la nuova rubrica-contenitore della nostra rivista blog, LatinaCittà Aperta.
Abbiamo, infatti, voluto affiancare al nostro settimanale, che come sapete tratta di argomenti che potremmo un po’ pomposamente definire di “cultura generale”, uno spazio, un’agorà di riflessione e di approfondimento intergenerazionale su temi della città che ci ospita, Latina, non limitandoci ad essa.
Ci si propone di istituire qualcosa di vivo, un luogo di confronto e di approfondimento, gestito da giovani, donne e uomini, forze fresche e consolidate intelligenze, persuase che la partecipazione e il confronto siano i cardini della buona politica.

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