Nestore Faria, dopo quell’avvertimento tacque, forse per riprender fiato, o per concentrarsi di nuovo sui suoi abituali tormenti trippistici, com’era dovere di un buon gastritico.
Ma intanto il forte brusio della loro conversazione era arrivato per gradi alle orecchie dei dormienti della camerata, o almeno a quelle, più vispe, di alcuni di essi, perché Tarallo potè notare dei movimenti sottocoperta nei letti degli altri degenti.
Dalle coltri del n°15 sbucò infine la testa rotonda e fortemente stempiata del rappresentante Alfio Stecconi, che ospitava un’espressione stranita e confusa, eredità del sonno profondo al quale era stato strappato.
Il ristoro di quella pausa onirica e senza patimenti, abbandonò in pochi secondi il risvegliato: aggredito dai morsi della sua megagastrite con tendenza ulcerosa, Stecconi cambiò faccia immediatamente, e si contrasse in una smorfia di dolore
“Mannaggiaamme! -urlò- potevo dormì n’artra mezz’ora se voi non vi mettevate a strillà come neomelodici nella pece bollente.
Ora me tocca soffrì pe’ chissà quanto, almeno fino all’arrivo dell’autobotte col Maalox, mannaggiaavvoi!
E poi tu, che chiacchieri col vecchione, chi cazzo sei? Chi t’ha vomitato?”
Lallo, un po’ preso di sorpresa e un po’ offeso, si presentò.
“Ah, sei scribacchino –guaì Stecconi– allora potresti buttar giù qualcosa su questo penitenziario che chiamano ospedale e raccontare come ci trattano.
Di cosa sia questo trattamento, se non te ne sei già reso conto, te ne accorgerai presto, mannaggiaachigliemmuorto!
Scrivi ‘na bella inchiesta, picchia duro e forse salterà fuori qualcuno che ci aiuterà, magari un politico in caccia di voti, e sai perché lo dico? Perchè noi gastritici, qui in Italy, siamo milioni, milioni ribadisco: in ogni casa ne alligna uno. Possiamo quindi fare mooolto, mooolto comodo, mi hai capito?
Beh, allora scrivi Corallo, o come cacchio ti chiami, inventati qualcosa di buono, smentisci la mia impressione di una tua dilagante inutilità!”.
Tarallo colse un’occhiata di Nestore che tacitamente lo dissuadeva dal replicare troppo duramente al discorso di Stecconi, che ad affermazioni sensate e condivisibili, aveva affiancato un tono antipatico e alcune espressioni offensive.
Lallo comprese che pestare verbalmente il rappresentante, che nel frattempo lottava con la truppa di piromani che aveva fatto irruzione nel suo stomaco, sarebbe stato vano e maramaldesco: in fondo veniva già punito.
Gli promise così di buttar giù, prima o poi, un articolo di vibrante denuncia civile.
Quel conversare tra degenti venne interrotto da un forte rumore improvviso: “SBAMMM”.
Dopo un mezzo istante di silenzio assoluto, si udì la voce catarrosa dell’infermiere Boris Karloff esclamare:
“Accidenti che botta Dottore! Mi dispiace: si è fatto male? Sapevo che con la sua vista… Insomma: non ho fatto in tempo ad avvertirla che stava tentando di entrare passando per l’anta chiusa della porta, che lei intanto già ci aveva sbattuto contro!”
“Sono solo inciampato– replicò stizzita una vocetta fessa che Tarallo e gli altri riconobbero per quella del Dottor Frangiflutti- E’ stata una distrazione: io ci vedo benissimo! E’ solo che queste porte dovrebbero essere sempre del tutto spalancate: aria, aria ci vuole!
Questi picchiatelli si devono rinfrescare, ne hanno bisogno perché debbono arieggiare spesso i loro cervelli bacati: dobbiamo evitare che si surriscaldino e che combinino guai, hai capito testa di granito? Hai capito davvero?
Dillo anche a quei tuoi colleghi che chiamano paramedici e dovrebbero piuttosto essere chiamati parameci: da oggi in poi,
porte SPA LAN CA TE !!!”.
Subito dopo quest’ultima affermazione, Tarallo & Co, videro apparire nella stanza la persona del dottore, che teneva una mano premuta sul naso, fortemente arrossato.
Sprizzava stizza da ogni poro.
Boris Karloff lo seguiva con l’aria depressa di chi si è appena buscato una bella cazziata.
Le spessissime lenti di Frangiflutti, a forza di sbuffi di rabbia, si erano appannate, così il dottore, accostandosi al letto n° 20, abbaiò:
” Si tolga dalle coperte, Tarallo, che è ora della visita! Su, Tarallo, tormento e croce di mio cugino, non faccia le storie per cui è famoso: esca fuori dal letto e si lasci visitare!”.
Lallo stava per intervenire per dissolvere l’equivoco nel quale era incappato il Dottor Fondibottiglia, ma si trattenne dal farlo per il gusto di vedere cosa sarebbe accaduto.
Boris Karloff, invece, toccò Frangiflutti per un braccio, con l’intenzione di avvisarlo:
“Dottore… mi scusi.. ma sta prendendo un abbaglio…”
Non fece in tempo a chiudere il discorso che un imbestialito Frangiflutti gli ringhiò contro, interrompendolo:
“Mi stia a sentire Dolcetto (e in questo modo i degenti scoprirono che l’infermiere aveva un cognome agli antipodi del suo aspetto truce) di quale abbaglio parla, povero deneuronizzato? Stia zitto! Lei mi ha già scocciato, mi ha straziato le gonadi: mi lasci fare il mio lavoro e cerchi di fare il suo o la metto, vestito da ispettore della Guardia di Finanza, a lavare i pavimenti nel girone degli evasori con problemi di controllo dell’aggressività!”
L’infermiere chiuse allora il becco, e vedendo che il dottore mezzo guercio stava tirando nervosamente i piedi del misterioso paziente n°20 per costringerlo a venir fuori dalle coperte, si ritirò prudentemente, rifugiandosi nel magazzino della carta igienica.
Frangiflutti nemmeno se ne accorse e afferrati i piedi del paziente che credeva fosse Tarallo, li tirò fortemente, con la stessa passione che un campanaro mette nella sua professione:
“Allora Tarallo, non si muove? Aveva ragione mio cugino, lei è una vera afflizione! Qui però è in casa mia e se non riga dritto le farò vedere l’inferno: alla fine del mio trattamento lei si sentirà come un vegano legato ad un palo e costretto ad assistere alla Sagra della Porchetta!
Venga fuori le dico! Faccia vedere il suo musetto delicato da radical chic! Andiamo: se non salta fuori dalle coperte chiamerò la sicurezza e la visiterò con le corde di contenzione strette a braccia e gambe!”
Mentre Nestore Faria e Lallo, trattenendo le risate, assistevano esilarati a quella scena seduti sui loro letti, il Dottore continuava a scuotere i piedi del paziente del letto n°20 come un suonatore di triccheballacche, e proseguì finchè nella stanza non si sentì propagarsi qualcosa di enorme e mostruoso, un sordo, sordissimo brontolio, proveniente dalle profondità cavernose della coperta da mulo che copriva il degente.
Si trattava di un rumore forte, dal tono così basso e prolungato da far vibrare il pavimento come per una scossa di terremoto.
Alfio Stecconi, sballottato dal tremolìo come una nota nel canto di Jovanotti, sbiancò di terrore, rificcandosi sotto le coperte per non vedere.
Faria e Tarallo, basiti, impallidirono anch’essi, mentre Frangiflutti, sorpreso, cercava vanamente di mettere a fuoco, attraverso i suoi fondi di bottiglia, quel qualcosa che finalmente era venuto fuori dalla coperta.
Una testa, era una testa che avrebbe dovuto essere grosso modo come tutte le altre in circolazione, ma che, al contrario, risultò subito indimenticabile.
Il viso del paziente n°20, antiestetico come un uomo in canottiera, calzoncini e ciavatte, sembrava una mappa idrografica nella quale i fiumi fossero stati sostituiti da cicatrici.
Cuciture, di cui molte eseguite grossolanamente, costellavano il volto, scuro e gelido, di quell’uomo, dandogli un’espressione ancor più minacciosa e dissuasiva.
Guardando dritto le spesse lenti del dottore, mormorò con una voce che pareva venire dall’oltretomba.
“Con chi ce l’hai tu? Che mi vorresti fare, eh?”.
Poche parole, ma pronunciate con un timbro terribile, ancora più basso del suo precedente mugolio, un suono primordiale che fece andare in pezzi i bicchieri per gli spazzolini da denti, che stazionavano sulla mensola del bagnetto.
E non era ancora una scossa di assestamento, perché quello riprese:
“Allora, dimmelo: cosa mi faresti tu?…”
E il pavimento vibrò forte ancora una volta.
Una sua mano, che nel frattempo aveva estratto alla velocità di un ripensamento di Salvini, impugnava un rasoio da barbiere, corroborando così, significativamente, le minacce che baluginavano in quelle poche parole.
Frangiflutti fece un saltello all’indietro, mentre il gelo d’un brivido gli pettinava la schiena: perfino lui, ostacolato da una vista così deficitaria, aveva colto, però, lo scintillìo sinistro della lama ostentata dal presunto Tarallo.
Il sudore gli si gelò addosso: si era reso conto di essere incappato in un malaugurato, malauguratissimo scambio di persona…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti