La notizia del “viaggio premio” affibbiato a Taruffi portò scompiglio nella stanza dei giornalisti presso lo “Yak Festante”. Mentre il redivivo Claudio Villa, onorato da svariati programmi televisivi nepalesi in sua memoria, diffondeva “Er barcarolo” in tutto il quartiere, Marzio e Tarallo parlamentavano con Ganesh.
“Come può farcela il mio povero amico a sopravvivere a quelle altezze, in territori a lui sconosciuti e pericolosi con la sola scorta di un plotoncino di poveretti trapiantati dall’Africa, e finora messi in condizione solo di farsi cacciare e maltrattare! Io credo, Marzio caro, che dovresti rifiutare. Con cortesia, educazione e tutto il resto, ma ti conviene sparare un cazzatone di scusa, un pretesto qualsiasi, e risparmiare così di far conoscenza col lofoforo e col leopardo delle nevi!
Per non parlare poi….”
Ganesh a quel punto irruppe nella conversazione:
“Questa cosazione non fa possibile di facimento: non si puozza! Paron Spampalon non è conoscioso di rifiutamenti, ma incazzevole se fatto contrasto su di elo, e manderesse comunque Signor Taruffo a fare viaggiamento su Himalaia, con forza, e senza alcunoso cappottone o vestizionamento!”
“Ragiona Ganesh, ci deve essere un modo di evitare questa punizione senza offendere quel gran pezzo di m…manager! Taruffi non è pratico di montagna, non ci si trova: figurarsi che può succedergli sull’Himalaya! Viviamo in una specie di Olanda noialtri, mezzi immersi nel mare, e la cosa più vicina ad una gita in montagna che abbia mai fatto Marzio è stata quando salì su una scala per sostituire una lampadina fulminata nel bagno di casa di sua zia Nives. Al giornale ne parlammo per mesi, anche perché lui per arrivare sino all’ultimo piolo si era messo il maglione con i peli umani e le palle di Natale stampate su, e considera che si era in maggio! Non possiamo mandare un arnese simile a discutere con il leopardo delle nevi!”
“Tu non essere preoccuposo: signore Taruffo è protetto assaissimo da suo grandioso puzzamento: anche suo cugino, leopardo nebuloso, fece evitazione di lui nel viaggiamento da Kathmandù.
E poi, senza far dicitura di questo a Paron Spampalon, voi potete fare affittazione di sherpa per trovare guidamento su alte cimose con grossa sicumerezza. Hari è uno sherpa, anche se fa cantamenti italiani: con vostra datazione di 50 rupie, lui lascia le boviniste a sua moglia Indira e fa tornamento felice sulle sue montagnosità”.
Marzio, comunque, nella sue febbre amorosa, pareva deciso a non partire per non allontanarsi dalla danzatrice che l’aveva provocata.
Lallo, invece, cambiò idea.
Convinto dal ragionamento di Ganesh e rassicurato dalla eventuale partecipazione di uno sherpa alla spedizione, sapeva che in fondo era un fatto ragionevole togliere di torno Taruffi per un po’ di tempo, per il suo stesso bene.
Sull’Himalaia il cronista della provinciale avrebbe evitato altre e più perfide vendette di Spampalon e forse, con un po’ di freschetto, avrebbe visto sbollire i suoi ardori inopportuni.
Tarallo ci mise un’ora buona, tuttavia, per convincere l’amico.
Usò tutti gli argomenti possibili, compresi i più discutibili:
“Ma tu l’hai mai visto un lofoforo, Marzio? E’ un uccello bellissimo, l’ho sbirciato su Internet: è di un magnifico blu con intersezioni arancio e verdi ed una cresta regale sul capo. Sarebbe un regalo magnifico per Aishwarya, pensaci, qualcosa di unico: quante ragazze hai conosciuto in vita tua che abbiano avuto in regalo un lofoforo?”
Alla fine Taruffi si convinse: sarebbe partito l’indomani, mentre Tarallo sarebbe rimasto sul pezzo, cercando di portare avanti l’intervista con l’imprenditore tiranno.
Ganesh avrebbe condotto i poveri schiavi con lo Scassabus, stipato di provviste, fino al loro albergo, poi, senza farlo sapere a Spampalon, Hari sarebbe salito a bordo, e tutti insieme si sarebbero diretti alla volta della regione di Khumbu.
Dopo una buona sosta in un albergo del posto, l’indomani avrebbero raggiunto il campo base dell’Everest per un giretto non troppo impegnativo.
Tempo quattro giorni e sarebbero rientrati tutti a Putalibazar.
Marzio mise da parte la maglietta con Drupi e i calzoncini con Kabir Bedi e preparò alcuni indumenti adatti ad un’escursione di quel livello.
Sulla base dell’esperienza fatta in quota quella famosa volta della lampadina di sua zia Nives, decise che sotto il cappottone in ghisa avrebbe indossato il maglione con le palle di neve; un capo di abbigliamento che a vederlo si presentava con una tale personalità, sporco ed esperto com’era, da dare l’impressione di essere in grado di prendere decisioni autonome.
A quello Marzio aggiunse un singolarissimo paio di calzoni pesanti a placche di velluto, di un colore indecifrabile a causa della esagerata anzianità di servizio.
Taruffi ne raccontò la storia ad un Lallo sbalordito che gliene chiedeva notizie:
“Quei pantaloni da museo sono appartenuti a Telesforo O’Branningham, un amico di mio padre.
Questi, bergamasco di origini irlandesi, era un esploratore estremo, che per quasi cinquant’anni è stato in servizio presso la Guardia di Finanza di Milano.
Tutti sanno che se esistono, ancora oggi, in età contemporanea, dei territori inesplorati e pericolosi, questi sono i bilanci reali di alcune imprese tentacolari che espandono i loro interessi in sterminati ed eterogenei rami di attività.
Sono bilanci-giungla, fiscalmente riparati da una foresta di scudi impenetrabili, fatti di altre società offshore che come in un gioco di specchi si moltiplicano all’infinito, mandando in giro per il mondo senza che ci si possa raccapezzare, colui che decida di avventurarvicisi.
Un esploratore di bilanci poco esperto può facilmente trascorrere anni difficilissimi, sballottato per uffici, tribunali, capitali mondiali e sordidi posti di triviale esotismo, per poi magari essere recuperato dai soccorritori solo, con un pugno di mosche in mano, estenuato, denutrito, disidratato e fuori di testa, nel piazzale di qualche scalcinato hotel di George Town, nelle isole Cayman.
Quando la ricerca del bilancio di qualche gruppo finanziario falliva, ed esso, lungi dall’essere svelato in tutte le sue circonvoluzioni e spire, conduceva alla scomparsa di almeno cinque ispettori, ebbene, solo allora veniva chiamato Telesforo O’Branningham, l’esploratore fiscale risolutivo, una figura mitologica.
Nessuno sapeva quali fossero le sue fonti o le sue entrature: la leggenda voleva che riuscisse ad infiltrare qualcuno o qualcosa in quasi ogni gruppo che contasse, che avesse dimensioni internazionali.
Nessun aggeggio tecnologico di quelli utili alla più capillare pirateria informatica gli era sconosciuto, nessuno.
Se ne serviva spesso per accedere fraudolentemente a conti bancari secretati, li usava per ficcare il naso negli organigrammi segretissimi di più di mille società offshore in oltre cinquanta paesi del mondo, ed era in grado di accedere telematicamente perfino al contenuto del possente frigorifero di casa del Ministro delle Finanze delle Isole Cayman, uomo con una degenerata inclinazione per il filetto di mahi mahi.*
Metà della popolazione del Liechtenstein gli era devota, dicevano ammirati alcuni suoi colleghi, e i migliori hotel di Panama gli riservavano in permanenza una ciotola personale deluxe, col suo pappone preferito (era di gusti rustici) e un bicchiere della più esclusiva gazzosa del mondo.
Quanto a lui, teneva in casa, steso tra tre grandi camere, un lunghissimo corno svizzero, dono più che significativo della potentissima UBS (Unione delle Banche Svizzere).
Pensa Tarà – continuò a raccontare Taruffi, mentre riempiva lo zaino di roba a suo avviso indispensabile in montagna, come ad esempio le nutrientissime merendine “Leopardix” – che una volta il Comando Generale della Guardia di Finanza lo convocò per una indagine disperante.
Si trattava di decifrare il bilancio della Mondialbastard, un colosso della finanza con interessi in tutto il pianeta e centinaia di proprietà immerse nel più fitto mistero. Il gruppo, immagina tu, era sospettato di evadere le tasse per una cifra superiore al numero di stecche totali fatte da Jovanotti nell’intera carriera!!”
“Cavoli!…” scappò detto a Tarallo.
“Sì – riprese Marzio – una somma vertiginosa.
Tutti avevano fallito e le perdite economiche e umane accumulate fino a quel momento, erano state drammatiche: di tre ispettori si ignorava la sorte e un altro, Horatio Clarabelli, era stato recuperato a Lagos in Nigeria, ricoverato, nonostante la bella età, in un orfanatrofio, conficcato in un lettino per bambini di sei anni, con gli arti fuori dalle sbarre a contorcersi come le zampette di una vedova nera.
Telesforo chiese allora di poterci parlare.
Lo trovò smagrito e con gli occhi febbricitanti e spiritati: “Non andare O’ Branningham – gli disse il poveretto, immerso nel sudore, e con un filo di voce – laggiù è tutto un ragioniere, un brulicare di avvocati, uno tsunami di sorrisi e di biglietti aerei… Finisce per girarti la testa, corri via ovunque fino a che le gambe non ti sorreggono più: non andare Telesforo, non andare: se si chiamano Mondialbastard una ragione c’è…”
Dieci giorni dopo questo toccante colloquio, Telesforo O’Branningham si presentò al Comando, vestito da Schuzten tirolese, con questi stessi calzoni che vedi, che poi mi donò, ed una pettorina in cuoio istoriato con immagini mitologiche classiche.
Aveva in mano uno spesso blocco di appunti minutissimi: era il bilancio completo di quel gruppo di finanza criminale, e si era perfino trascinato appresso Louis Fregagent, l’amministratore Delegato Supremo, che frignava come un lattante a secco, dichiarandosi pentito e disposto a collaborare!
Capito Lallo, chi era il proprietario di questi gloriosi pantaloni?”
“Fanno un po’ odore, però” – disse Tarallo, sentendosi del tutto idiota.“
“Ma no, ma no, tutto va bene ora che è svanita la puzza di quel dopobarba di cui non ricordo la provenienza..”
Taruffi aveva appena chiuso lo zaino, quando si sentì il clackson assordante dello Scassabus provocare una specie di tornado nella stanza.
Era arrivata l’ora della partenza.
Tarallo e Taruffi si abbracciarono, poi quest’ultimo salì intrepido sul pericolante mezzo, stipato dai “negher” che, mezzi nudi, sorridevano sulla via dell’Himalaya, come adolescenti in gita scolastica..
*Il Mahi mahi è un pesce caraibico molto usato nella cucina delle Isole Cayman
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti