Il Direttore Frangiflutti, procedendo col curioso passo di danza cui era stato costretto dal terrore di essere braccato da sicari della mafia su mandato della Loggia P2, arrivò dunque in pessime condizioni nella sede del Fogliaccio.
Aveva ancora negli occhi il largo e beffardo sorriso di Sal Marranzana, il ghigno di un gattone che sta per balzare sul topo per finirlo, dopo averci giocherellato per un po’.
Figurarsi quale sarebbe stata la sua reazione se avesse saputo che l’ex vicedirettore del Dipartimento Attentati Dissuasivi della zona est di Chicago, nel frattempo si era incamminato con calma nella sua stessa direzione, planando su una sedia impagliata del bar che occupava parte dei portici sotto la redazione del quotidiano.
Una volta sistemato e rifornito del “cappuccino piccante assai” che aveva ordinato e che tanta sorpresa aveva sollevato tra il personale del locale, si era impegnato in una accanita discussione con quello che da sempre era il più inamovibile cliente del bar, il pensionato delle poste Otello Girarrosto, un quieto nazirazzista col quale ebbe un colloquio quasi surreale a proposito dell’invasione russa in Ukraina.
“Putino non è un pappamolloso come ‘sti nostri politichi: se se sveglia ‘na mattina che gli sta sui coglioni qualcuno, se alza e lo schiaccia come le patane pe fa il purè! Dovremmo chiamarlo noialtri pe sistemà ‘sti negri dalle parti nostre…”, disse il pensionato attingendo a piene mani dal serbatoio della sua moderazione.
“Mi creda guagliò, passi pe qualche “contratto”, è solo lavoro, ma ‘na stragge è robba brutta assai, non è ‘nu gruoss divertiment come da noi quando facimmo ‘a festa ‘e Santa Bombarda, ca ce stanno tanti di quei botti da risvegliare i muort e falli rimorì de paura! Una meraviglia, un wonderful cataclisma! Pe la Santa facimmo tant’e quel casino che i russi se squaglierebbero come candele!”
Di questa garbata conversazione di politica internazionale il Direttore Frangiflutti non sapeva nulla e probabilmente questo era un bene per lui, ancora terrorizzato dal tris di denti d’oro che luccicavano al centro del sorriso del boss.
L’agitazione, che lo faceva vibrare come la nota di un cantante neomelodico napoletano in preda a nausee romantiche, si era fusa col riscaldamento esagerato che aveva trovato nei locali del giornale, un ribollire d’aria che faceva somigliare l’ambiente della redazione ad una bolgia infernale.
In preda a visioni demoniache, il Direttore in pochi secondi si ricoprì di sudore, mentre le sue ascelle, sempre immacolate, si allagavano come quelle, a buon diritto famosissime, di Lello Rapallo.
Ebbe schifo e pena di se stesso e, gettatosi pesantemente sulla vasta poltrona del suo ufficio, per svariati minuti si dedicò ad un’autocommiserazione dolceamara, così acuta da condurlo oltre la soglia di un pianto liberatorio.
Il redattore Gastrolazzi ed il vicedirettore Levalorto, che nonostante Frangiflutti fosse entrato roteando come un derviscio turco, non si erano nemmeno accorti del suo arrivo, e in quel momento erano impegnati a mostrare ai due nuovi redattori come si stila un articolo sbilanciato politicamente senza troppo darlo a vedere.
In particolare i due stavano battendo molto sull’importanza dei “si dice che” e dei “a detta di ambienti molto vicini a.. pare certo che…”, preliminari indispensabili di ogni bugia intenzionale, e non lesinavano scapaccioni ai due cervellini che recalcitravano nell’apprendere quei segreti di base del mestiere.
E mentre, scoraggiati, stavano dedicando pensieri più che irrispettosi a quel dannato Monsignor Verafé che aveva raccomandato i neoassunti Flosci e De Sordis, di botto sentirono diffondersi nell’ambiente suoni terrificanti, alti e profondi come i barriti di un elefante quando scopre che il suo arbusto favorito è stato ricoperto di decorazioni natalizie.
A tutti e quattro i redattori quel rumore improvviso e tremendo fece rizzare ogni pelo e ogni poro, tanto che, terrorizzati, istintivamente si abbracciarono tutti, tremando di orrore e strillando come chi viene costretto ad ascoltare “Brividi”.
Ci misero un po’ ad accorgersi che quei barriti provenivano da una gola umana e ancora qualche minuto per capire che la gola in questione era quella del loro Direttore, rientrato in sede senza che se ne accorgessero, e apparentemente turbato da qualcosa.
Si placarono infine, smisero di gemere e timidamente, fecero capolino nell’ufficio del capo, sorprendendolo che buttava acqua come una cascata amazzonica.
Ad alta voce, scuotendo disperato la testina, Frangiflutti, piangendo, mormorava: “Una così brava persona! … Un lavoratore affidabile e devoto: possibile che debba toccare solo ai migliori? Che accadrà ora? Che tragica storia…”
Totonno Levalorto, il fido vicedirettore, non sospettando minimamente che l’uomo si riferisse a se medesimo, credette allora di capire tutt’altro e, avvicinandosi cautamente alla scrivania, seguito dagli altri che si nascondevano dietro di lui, con la maggior delicatezza possibile, gli chiese:
“Direttore, chi è mor.. venuto a mancare? E’ forse un suo parente? Un caro amico? In tal caso le porgo le mie più sentite condoglian…”
Non fece in tempo a terminare la frase che il solitamente composto Ognissanti Frangiflutti gli si rivoltò furiosamente contro, urlando come un tenore georgiano e, ostentando entrambe le mani che facevano le corna, replicò:
“Ma crepa tu, razza di portasfiga!! Tiè, tiè! Sparite tutti, andate a guadagnarvi lo stipendio: Sciò menagrami! Fuoriiiii!!”.
Questi dunque erano gli eventi che si consumavano nella sede del vecchio quotidiano conservatore Il Fogliaccio.
Abbastanza lontano da quel luogo di tormenti, cioè nel palazzo che avrebbe ospitato “Il Disturbatore Quotidiano”, i futuri redattori proseguivano il loro tirocinio, un lavoro che in non molto tempo avrebbe condotto all’uscita a sorpresa del numero zero del nuovo giornale, in quei giorni ancora segretissima.
Tarallo, il Direttore nominato della nuova testata, in quello stesso momento stava controllando le pagine della cultura: parevano già ben impostate e sistemate, con il resoconto, curato dalla splendida Consuelo, della mostra “Metà – Bolismi” del fotografo lituano Abraomas Vasiliauskas e con la recensione, a sua firma, di “Alla prossima che fai/ te tocca”, un libro di poesie militanti del suo vecchio amico e companero Padre Cienfuegos, appena uscito nelle librerie (una sola, a dire il vero) del circuito Mundo Nuevo.
A Marzio Taruffi era stato affidato l’editoriale di politica estera, una promozione professionale importante per uno che si era sempre occupato della minuta cronaca provinciale.
Preoccupato per la situazione in Ukraina, il neo vicedirettore era sempre più agitato e inquieto e, se possibile, più sporco del solito: a vederlo si sarebbe detto che avesse addirittura smesso di bere per limitare ancora di più il contatto con l’acqua.
Lallo era fermamente deciso a dare una forte scossa al giornalismo locale, toccando con coraggio e assoluta indipendenza temi locali sempre evitati dal Fogliaccio, trattando i problemi cittadini senza la consueta parzialità di Frangiflutti & Co., e non solo quelli, e infine svecchiando decisamente un linguaggio, da sempre intriso del solforoso perbenismo provinciale.
Così non avrebbe destato troppo stupore il fatto che Taruffi avesse intitolato il suo pezzo di analisi politica internazionale: “Mi sto, ci stiamo, cagando addosso!”, nel quale riversava tutta la sua angoscia per il presente e la sua acuta preoccupazione per il futuro dell’Europa.
Tra i fiori all’occhiello del nuovo quotidiano uno dei più profumati sarebbe stata la rubrica di Affari e Finanza curata dal superspecialista Abdhulafiah, che improvvisamente oberato di lavoro per via delle conseguenze economiche dell’aggressione russa all’Ukraina, aveva preparato già un primo, incisivo articolo, “Con le pezze al retro dei pantaloni”, in cui sviscerava minutamente alcuni retroscena della crisi energetica di derivazione bellica.
In uno dei più allarmanti stralci del suo pezzo scriveva:
“Il fatto che perfino la Cassa di Risparmio di Sanbenedetto in Perillis (Aq) abbia alzato i toni con la Banca Centrale di Russia, provocando la reazione irritata di Gazprom (“Siamo meravigliati, e dire che avevamo ottimi rapporti col Sindaco Trombozzi: non daremo più a Sanbenedetto in Perillis un solo mezzo metro cubo di gas”) la dice lunga su quale possa essere il futuro energetico italiano da qui in poi.
Anche l’aver sequestrato a Dimitrij Tirasbilenko, il monarca della Vodka alla betulla, vicinissimo a Putin, il suo Yacht “Oci Ciornie” ancorato a Marina di Trullo, il “paese degli astemi”, non pare aver giovato agli interessi italiani, visto che ha comportato la chiusura del “Mezzo Mozzo”, l’unico bar del porto, che viveva esclusivamente delle micidiali consumazioni di Igor, Vassilij, Anatolij, Afanasij e Alekseij, i membri dell’equipaggio del natante…”.
In tutto questo fervore giornalistico era pressochè pronto anche il fondo di costume di Omar Tressette, che affrontava uno dei problemi che più stava a cuore al miliardario più intollerante del pianeta.
Si poneva infatti un interrogativo rimasto irrisolto fino a quel momento e si intitolava “Cosa mai fa incontrare le Smart e i peggiori guidatori del mondo?”
Tarallo respirava e pareva rassicurato dallo stato dei lavori: presto la bomba Disturbatore sarebbe deflagrata in città.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti