Il primo amore non si scorda mai?

Il primo amore non si scorda mai,

recita un vecchio detto, o forse una canzone. E anche  il poeta romano Trilussa, nei suoi versi ne ha celebrato l’immortalità:

“Ne la malinconia de li ricordi / naturarmente resta er primo amore… / Come diavolo vôi che me ne scordi?”  (Trilussa, Er primo amore, Poesie, 1951)

Ma sarà proprio così?

Trilussa

Certo è che tutti veniamo rapiti e segnati irrimediabilmente dalla scoperta dell’amore, la prima volta che lo incontriamo, quando siamo totalmente inconsapevoli e innocenti.

La prima scoperta dell’amore ci colpisce come una folgorazione, del tutto paragonabile ad un imprinting dalla forza irresistibile e inspiegabile, del genere di quello dell’ochetta Martina per l’etologo Konrad Lorenz.

Lorenz, è cosa nota,  scoprì per primo, a sue spese, che gli uccelli, appena schiusi alla vita, subito dopo aver rotto il guscio dell’uovo che li ha protetti, si innamorano perdutamente del primo essere vivente che gli si presenta davanti e lo identificano addirittura con la propria madre. La non conoscenza di sé, così come pure la non conoscenza dell’altro, genera questo amore incondizionato, senza che si possa escludere però un’alta probabilità di commettere un errore, proprio perché questo fenomeno si manifesta in una condizione di totale inesperienza.

Konrad Lorenz con l’ochetta Martina ormai adulta

Questo è il caso dell’ochetta Martina che, appena nata, prende subito il suo primo fatale abbaglio, o la prima “cantonata” della sua vita, quando per l’appunto scambia per mamma oca l’etologo Lorenz, un uomo dall’aspetto simpatico con la barba canuta, tutt’altro che simile a un pennuto, il quale da bravo scienziato, traendo tutte le conseguenze dalla singolare situazione, si assume la responsabilità di accudire e insegnare alla piccolina ad essere un’oca come tutti i suoi simili.

Potrete bene immaginare che impresa possa essere, per un esemplare della specie umana, insegnare ad un’ochetta a diventare un’oca.

Konrad Lorenz

“A lungo, molto a lungo, mi fissò l’ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e mi salutò: col collo ben teso e la nuca appiattita pronunciò rapidamente il fervido pigolio. (…) era il primo saluto della sua vita. E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subito l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia del saluto” (K. Lorenz, L’anello di Re Salomone, Adelphi, Milano, 1967).

Non so dire se il primo amore sia più leggenda che realtà, se appartenga alla sfera dei sogni o se, statisticamente parlando, il primo amore sia proprio quello più dolce, coinvolgente, meravigliosamente puro, la cui luce continua a risplendere sul nostro cammino sino al tramonto. E in fondo non so neanche quanto conti avere questa certezza.

Benché possa essere un errore, nato da un terribile malinteso, benché la nostra totale inesperienza e incapacità di discernimento ci abbiano fatto intravedere mamma oca dove era soltanto un umano qualsiasi, simpatico sì, ma neanche particolarmente avvenente se paragonato a un’oca, succede che questo amore immaturo, incosciente e irragionevolmente trascinante, riesca a segnarci la memoria e a restarci impresso proprio come accade con l’imprinting.

Scrive Kahlil Gibran, ad ulteriore riprova di quanto sino qui asserito: “Ogni giovane ha memoria del suo primo amore e tenta di ricatturare quello strano momento, il cui ricordo muta i suoi sentimenti più profondi e lo rende tanto felice, malgrado tutta l’amarezza del suo mistero”, in poche parole ciascuno continuerà a cercare la sua mamma oca per come l’ha identificata, di qualsiasi specie essa sia.

Kahlil Gibran

Chissà che non sia questa la ragione delle tante cantonate, dei “non imparerò mai la lezione”, di quel perseverare nell’errore, nonostante si dica sia diabolico: il  tentativo di ricatturare e rivivere quell’imprinting che invece non potrà più essere, giacché ci siamo schiusi alla vita, rompendo il guscio dell’uovo nel quale non potremo più tornare per ricominciare tutto da capo.

Sarà per questo allora che coltiviamo il ricordo del nostro primo amore pieni di nostalgia, come lascia intuire la testimonianza che ci ha lasciato un altro famoso filosofo, Søren Kierkegaard:

“Mi viene in mente la mia giovinezza e il mio primo amore, quando ero pieno di nostalgia e ora ho soltanto nostalgia della mia prima nostalgia. Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto del sogno”.

Søren Kierkegaard

Dunque noi attribuiamo al nostro primo amore l’idea stessa di giovinezza, periodo fantastico e immaginifico della vita nel quale riuscivamo a vivere un sogno.

E allora, il primo amore appartiene davvero alla sfera onirica della specie umana?

L’amore, il nostro primo amore, probabilmente identifica l’idea che ci siamo fatti dell’Amore. Se poi davvero l’amore vi corrisponda poco importa poiché certamente il sogno si spinge fin là dove regnano la nostalgia della nostra prima nostalgia e il desiderio del nostro primo desiderio…  Che poi questo si chiami davvero Amore, se sia stato tale o sia stato soltanto la sua affascinante idea, il nostro imprinting, per noi non potrà fare  più alcuna differenza.
Resterà per sempre il nostro primo amore.
Ovunque egli sia.
Anche se non é mai stato l’oca che credevamo.

Forse.

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