Scene di vita quotidiana in Tarallolandia

L’alba di un nuovo giorno trovò il Direttore del Fogliaccio Ognissanti Frangiflutti ed il Preposito Provinciale della Compagnia di Gesù, Mons. Benigno Bertoni, che si risvegliavano nel medesimo luogo, in simili e disagiate condizioni psicologiche.
Entrambi impegnati coattivamente, per ordine dei rispettivi superiori, in un periodo di tre mesi di duri esercizi sprirituali, erano alloggiati a Tashkent, in Uzbekistan, in una struttura dall’aria cupa, diroccata e grigia.
Si trattava infatti di una ex colonia penale per dissidenti politici, per oppositori calcistici (l’unica squadra uzbeka era la Dinamo Tashkent, una propagine sportiva del governo, tanto che il suo terzino destro titolare era anche Ministro degli Interni) e per daltonici.

Padre Benigno Bertoni

Era un posto che quattro quadretti appesi, che rappresentavano incongruamente scene di caccia all’ornitorinco in Baden Wurtemberg, avrebbero avuto la pretesa di ingentilire, tramutandolo da carcere duro a resort.

Nella realtà, le dimensioni delle stanze, un tempo le si sarebbe dette celle, erano miserabili e i letti somigliavano più a dei giacigli di fortuna.
Stretti e corti, avevano materassi imbottiti con frasche di Bombardina Infelix, una pianta locale infestante: moderatamente spinosa, da migliaia di anni intristiva con effetti speciali cutanei tutti gli allergici che vi entravano in contatto.

Cespuglio di Bombardina Infelix

Pareti discretamente sporche ospitavano calendari di dieci anni prima, affollati di gattini un tempo vezzosi ma ora dall’aspetto triste e malaticcio, e orrende reclames scolorite di una marca uzbeka di brodo di pollo.
Monsignor Bertoni già da una mezz’ora si agitava nel suo sonno declinante: si girava e si rigirava esausto sul suo giaciglio, angariato dalla  scomodità e dai pungiglioni del materasso alla Bombardina, e biascicava parole sconnesse. Sembravano già lontanissimi i pur vicini giorni della sua orgiastica felicità, quelli nei quali, grazie alla poltrona magica, trascorreva notti di fuoco con Marilyn che lo chiamava “ciccetto” o ballava con la Hayworth che gli si avvinghiava addosso, strofinandogli sotto il naso i lunghissimi guanti neri e profumati.
E mentre a Roma, nella sede della Compagnia di Gesù, il vischioso Monsignor Luis Verafé, attuale fruitore della Onyric, avendo superato con la consueta disinvoltura scrupoli morali puramente strumentali, viveva una torrida relazione notturna con Ava Gardner, per il precedente utilizzatore di quella meraviglia tecnologica, il livello dei sogni era sceso fino al punto di renderli tormentosi.

Mons. Luis Verafé

Quel mattino infatti il povero Bertoni, religioso caduto in disgrazia, stava sognando di filarsela di corsa dal Circolo Provinciale delle Ottuagenarie Nudiste, lungo un sentiero sassoso ed impervio, inseguito da un folto gruppo di iscritte a quel club, anziane signore, nudissime e sempre ardenti. Nell’incubo, queste canute erinni lo tallonavano urlando come le fans di una boyband, mostrando tutte un’insospettabile resistenza alla fatica.
Essendo dotate di lazos da acchiappo, lo usavano con la stessa perizia dei cowboys texani.

Nudiste a Tashkent

Il Bertoni piè fuggente, di tanto in tanto cadeva, arpionato dal lancio preciso del lazo di una delle vecchie. Si liberava in fretta e col cuore in gola ricominciava a battersela, presentendo con orrore quello che sarebbe stato il suo destino nel caso che le sue inseguitrici fossero riuscite ad artigliarlo.
Da quando era arrivato in Uzbekistan il monsignore era divenuto preda di incubi provocati dalla durezza imprevista degli esercizi spirituali ai quali era costretto, o forse dal cibo che gli veniva rifilato.
In realtà la pietanza che veniva servita era una sola, e sempre quella, eternamente: il plov.

Il plov

Fu Alessandro Magno, dopo la conquista della region,e uno dei primi stranieri a doversela vedere con la tipica pietanza uzbeka: dopo averla assaggiata, le intemperanze gastrointestinali conseguenti all’ingerimento del plov, quasi più temibili dei nemici appena sconfitti, lo tennero  desto per tutta la notte, impegnato in battaglie tutt’altro che eroiche.
Nel preparare il piatto, il riso viene cotto in un intingolo a base di carne e verdure, il micidiale zirvak, finché non ha assorbito tutto il liquido.
Ad appesantire una massa già così ingrassata e maldisposta, vengono piazzati altri ingredienti, non esattamente leggerissimi, quali la carne di capra o di montone, carote e cipollone ultraodorose.
Non inusuale è poi la presenza, come naturalmente accadeva nel caso del plov che veniva cucinato nel falso resort, di peperoncini dai pesanti trascorsi giudiziari per piccantezza letale.

Distribuzione intensivo di plov nel falso resort di Tashkent

Quando, in seguito alla fase terminale del suo incubo Monsignor Bertoni si risvegliò, fu un occhio sbarrato dal terrore quello che, aprendosi, prese contatto col mondo.
La prima cosa che il gesuita vide fu il calendario del 2009, incontrando lo sguardo, un tempo tenero, ora maligno, di un gattino scolorito.
Una lacrima, prima esitante, poi decisa e svelta, scese lungo la guancia monsignoresca, irrorandola.
Bertoni richiuse gli occhi cercando ancora un oblio esente da incubi. 

Tre stanze più avanti, il Direttore “sospeso a divinis”, Ognissanti Frangiflutti era ancora alle prese col suo di incubo, così realistico e suggestivo da farlo parlare spesso nel sonno.
Redattore de “ Il rombo del Miracolo”, un giornaletto confessionale del bergamasco che si occupava di fatti sensazionali a sfondo mistico, in sogno veniva spedito a Scanzocosciate per raccogliere notizie su un evento soprannaturale che vi si era verificato.

Alla guida di una vecchia Uno grigio metallizzata, un modello di antiquariato che montava il famoso clackson col muggito di bue,  aveva raggiunto avventurosamente il paese, ma prima ancora di poter raggiungere la Piazza principale era stato bloccato da due tizi barbuti e poco cordiali, vestiti da armigeri medioevali, con tanto di elmo e alabarde.
I due, loquacissimi, parlavano però una lingua improbabile, del tutto incomprensibile.
Uno dei due, quello più rubizzo in faccia, scoraggiato perché Frangiflutti mostrava di non aver capito un accidente di tutto il fiume di parole che gli avevano riversato addosso, guardandolo con commiserazione, gli disse: “A’ a ca che tè facc o l’azen!”, che più o meno voleva dire: “Vattene a casa, và, che a te ti ha partorito un asino!”

Frangiflutti, sempre più interdetto, si chiese dapprima se fosse Carnevale, poi rammentò che essendo aprile erano da escludersi tarde manifestazioni carnascialesche.
Seppe ben presto di essere capitato a Scanzocosciate nel pieno della Festa del Mosto, la principale e sentitissima celebrazione locale.
Gli toccò così piazzare l’auto in un parcheggio a pagamento e avviarsi per le strade del paese, intasatissime di gente alticcia.
Alcuni si erano messi in costume, altri, in preda all’ebbrezza etilica, si erano tolti di dosso quasi tutti gli indumenti e tutti facevano gazzarra.
Frangiflutti comprese immediatamente quanto sarebbe stato arduo trovare un testimone del fatto miracoloso sul quale avrebbe dovuto scrivere il suo pezzo: sua Maestà l’Alcolismo, infatti, in quei giorni di festa si era fatto padrone e signore del luogo, regnando benevolo su paesani divenuti tutti suoi devotissimi sudditi.
Dopo aver bussato a mille porte e dopo aver invano consultato i maggiorenti del paese che si erano asserragliati nel classicissimo Bar del Corso, prosciugandolo del tutto, incontrò infine una vecchia che sembrava grosso modo sobria.

Dovette strillare come Placido Domingo per farsi comprendere perché la signora, che tra l’altro somigliava moltissimo al pittore Ligabue, era piuttosto dura d’orecchio.
Dopo sforzi disumani per venire a capo di quella complicata situazione, riuscì infine a farsi raccontare da lei il cosiddetto “Miracolo di Scanzocosciate”.
In sostanza le cose erano andate così: la mattina di due giorni prima, nella mezza tenebra che precede l’alba, per la prima volta nella storia dell’umanità e in quella della fede, ad una statua della Madonna collocata in una scuola dell’infanzia, era all’improvviso apparso dinanzi un pastorello circonfuso di luce.
L’insolita visione, scandendo le parole come in una recita tra attori dilettanti, le aveva rivelato solennemente il corretto procedimento per ottenere un buon formaggio di fossa.
Era stato il custode dell’asilo, Donato Cavallo, a riferire concitatamente l’accaduto a chiunque gli capitasse di incontrare: un pastorello era apparso alla Madonna!

La voce del miracolo si sparse veloce come le stecche in un brano di Jovanotti e, in men che non si dica il pastorello era stato rintracciato e bloccato dai paesani mentre stava per acquistare da Fermo, il tabaccaio, una confezione di tabacco da fiuto “Felice frogia”, per farsene una presa.
Nonostante le sue vivaci proteste, il pastorello era stato catturato e piazzato all’interno di una edicola votiva che era stata successivamente posta sul ciglio di una strada parallela al corso principale del paese.
Fiori di campo vennero deposti ai piedi del miracoloso lavoratore del settore zootecnico, che si era rivelato però un soggetto fortemente allergico: una salva di sternuti aveva ridimensionato di parecchio la sacralità della messinscena.
A questo punto l’incubo di Frangiflutti, che mentre dormiva parlava ormai bergamasco, aveva fatto un salto in avanti.
Abbandonando il pastorello al suo destino e col taccuino pieno di appunti, il redattore onirico era rientrato nella sede del giornale e aveva in fretta elaborato un articolo sullo stranissimo prodigio.

Non vedeva l’ora di mostrarlo al Direttore, una figura misteriosa che non aveva mai avuto la possibilità di incontrare di persona.
Chiese dunque udienza. Un tizio scuro di pelle, un arabo forse, gli fece fare anticamera mentre, ignorandolo ostentatamente, controllava il listino di Borsa.
Ad un tratto entrò un signore di una certa età dall’aspetto distinto, con eleganti occhialini e un bel papillon al posto della cravatta.
Senza dire una sola parola l’uomo misurò il cranio di Frangiflutti con un curioso atttrezzo metallico e uscì.

Misuratore di cranio

Quando il redattore ormai friggeva di imbarazzo ed impazienza, finalmente gli fu concessa udienza.
Nel sogno si vide avanzare con passo esitante verso la grande porta della direzione, che rispose alla sua spinta discreta con un cigolio che pareva il brontolio di un giaguaro irritato. Entrò.
Da una scrivania altissima il Direttore del Rombo del Miracolo, piegandosi verso il basso, chinò lo sguardo severo su di lui: “Ebbene?”, disse. 

Frangiflutti, sbalordito, cadde in ginocchio dinanzi ad uno statuario e carismatico Lallo Tarallo, incombente su di lui.

“Ebbene?” ripetè Lallo, guardandolo ancora più accigliato. 

Frangiflutti, attraverso un velo di lacrime, notò fuggevolmente che il suo ex dipendente si era fatto crescere la barba.
Tremò nel sonno, scosso da forti sussulti…
E poi, prima lontana e indistinta, poi sempre più alta e perentoria, udì una voce: 

“SVEGLIA GENTE!! SONO GIA’ LE CINQUE DEL MATTINO E I VOSTRI ESERCIZI SPIRITUALI VI ATTENDONO! SU, AVANTI PIGRONI: VOGLIAMO RIEMPIRVI DI MUSCOLI L’ANIMA!”

Così strillarono i camerieri–secondini, liberando bruscamente Bertoni e Frangiflutti dai loro fantasmi.

Una nuova impegnativa giornata piombava così su Tashkent e sui suoi abitanti, stabili o transitori che fossero.  

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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