Il buio era arrivato.
Tarallo, naturalmente, era al corrente del fatto che quel giorno l’ora solare avrebbe avuto la sua rivincita, ma da sempre pativa il suo ritorno e puntualmente ne veniva sorpreso.
Se ne stupiva pur sapendolo, insomma.
E allora camminava e borbottava, immusonito e innervosito dall’impossibilità di trovare un colpevole per quella faccenda.
Il suo carattere, bellicoso e fragile insieme, lo rendeva più incline alla malinconia che alla tristezza e la restaurazione delle tenebre, tipica delle stagioni fredde, gli permetteva di frequentarla più spesso del dovuto.
Quel pomeriggio l’assaggio di inverno era stato forse più vicino ad un vero e proprio pasto.
Non c’era stato un calo di temperatura, uno strano caldo stagnava anzi nell’aria, fradicia per la continua pioggerella, ma il resto delle classiche coreografie invernali dava già spettacolo nella città spaludata.
Le luci gialle dei lampioni venivano smorzate dal manto bagnato delle strade e i loro riflessi tremolavano tristi e fiochi nelle pozzanghere, mentre un vento poco incline al perdono dipingeva sinusiti sulle fronti sfuggenti dei passanti, resi frettolosi da quel clima ostile.
Camminava veloce Tarallo, diretto alla redazione del fogliaccio quotidiano cittadino, tenendo dietro a pensieri fastidiosi.
Le scarpe si facevano largo tra un alto tappeto di foglie secche e di sterpi caduti dai rami degli alberi, strapazzati da quella specie di bora dei poveri.
Aveva in mente di proporre a Frangiflutti un resoconto della conferenza sulla Cattedrale di Chartres alla quale aveva assistito in compagnia di Consuelo la meravigliosa.
La serata si era rivelata un cocktail di eccitazione, amore represso, vivo interesse e imbarazzo mortale. La sua camicia stracciaocchi coi canguri colorati, soprattutto quella, aveva suscitato più di una perplessità negli astanti.
Ancora si sentiva addosso lo sguardo asciutto e acuminato dei convenuti all’evento, il più ignorante dei quali era un coreano laureato in Discipline Letterarie, Archeologiche e Storico-Artistiche con specializzazione sulla volta a crociera ogivale a pianta rettangolare, la cosiddetta “barlongue” francese.
Lo stesso relatore, il Professor Antimo Colostro, carico di lauree e riconoscimenti quanto Lady Gaga di lustrini, al momento di entrare in sala, avvicinandosi al podio dal quale avrebbe parlato, lo aveva di colpo notato (non si poteva del resto farne a meno), e nel genuino stupore per la sua mise da aspirante danzatore di zumba, era quasi inciampato nei suoi stessi piedi.
Riuscito miracolosamente a non finire naso a terra come un bracco dietro a una lepre, si era ricomposto velocemente.
Per tutta la durata della sua prolusione però, lo aveva tenuto d’occhio, sottolineando alcuni passaggi cruciali della conferenza, soprattutto quello riguardante i gargoyle, le mostruose figure animali in pietra, con sguardi molto penetranti al suo indirizzo, come se si fosse convinto, avendolo davanti, di trovarsi dinanzi ad una loro incarnazione vivente, leggermente più orrida degli originali.
Tarallo, pur scosso, aveva preso appunti e ora si sentiva in grado di tirarne fuori un pezzo, qualcosa di veramente buono che raddrizzasse le pagine inconsistenti che il fogliaccio dedicava alla cultura.
Una folata forte e muggente di vento quasi spinse di peso Lallo e un bouquet volante di frasche e cartacce nell’androne del palazzo con la sede della redazione.
Salì al primo piano, spinse la porta ed entrò.
Tre redattori si attardavano ancora alle scrivanie. Poco distinguibili da muschi verdastri, alla luce malsana dello stanzone, e incalzati dall’avvicinarsi dell’ora di chiusura di quel numero, stavano terminando gli articoli loro assegnati da Ognissanti Frangiflutti, Direttore e Viceré del quotidiano, in rappresentanza di un’occhiuta proprietà ad alto impatto ecologico.
Tarallo passando si chinò a sbirciare in fretta ciascuno degli schermi sui quali lavoravano i colleghi, curioso di capire il tema dei loro articoli. Scoprì che il primo stava scrivendo un pezzo molto critico sull’attuale amministrazione, il secondo aveva sintetizzato in appena sei pagine il contenuto di un’intervista con un entomologo malese molto polemico nei confronti dell’attuale amministrazione, ed il terzo ospitava il parere assai severo di un esperto di moda sul modo di vestirsi dell’attuale sindaco.
Il solito tran tran, insomma,
nulla di insolito.
Lallo gettò un’occhiata verso la scrivania di Rodrigo Dell’Ortaggio, caporedattore e primo vassallo di Frangiflutti, aspettandosi di trarre auspici dalla sua faccia, come un aruspico dalle trippe di un piccione.
L’uomo però sembrava assorto, fuori del contesto in cui si trovava, e l’espressione che gli sostava sul viso, quella di una trota depressa il giorno prima di fare le uova, dava l’idea che il suo corpo spirituale vagasse a chilometri di distanza, magari tra le stanze di un quotidiano vero.
Tarallo gli si piantò davanti e agitò sotto il naso dell’assente presente il suo blocco con gli appunti sulla conferenza.
“Accidenti Tarà, quando la pianterai di fare lo scemo?” sibilò Dell’Ortaggio impermalito per essere stato prelevato a forza dal suo nirvana.
“Dovrei parlare col capo, – disse Lallo prendendo in prestito la maschera impassibile e decisa del Giustiziere della notte – non darmi risposte vacue perché oggi sono già incazzato di mio: sono le cinque ed è già notte, capisci Dell’O’!”
“E allora fattela passare perché Frangiflutti non c’è, sta fuori città”.
“Ma porc… ma possibile che questo stia più in giro che qui in redazione? Dove accidenti è andato ? Torna per caso entro stasera?”.
“Scordatelo” sentenziò il caporedattore.
“Perché? – lo incalzò Tarallo – Dove cavolo è stavolta?”
Dell’Ortaggio si schiacciò sulla scrivania, strisciando poi come un pitone fin ad arrivare a tiro della testa di Lallo. Diede uno sguardo preoccupato alle escrescenze umane che allignavano nei loro rispettivi scranni e, verificato il loro stato di sonnambulismo, sussurrò con un filo di voce:
”Sta a Malagrotta: sta facendo gli esercizi spirituali annuali con gli altri dipendenti di alta fascia. Li fanno sempre nella sede della rivista “Il coraggio del rifiuto”, nell’ex discarica. È tenuto a partecipare, anche se a lui non andrebbe”.
“Allora sei tu che decidi ora, no? – e Tarallo a quel punto andò per le spicce – Io ho un pezzo di grande rilievo per le pagine culturali, parla di quella straordinaria conferenza sulla Cattedrale di Char…”
“Impossibile, – tagliò corto Dell’Ortaggio – lui mi ha lasciato già pronte le pagine culturali: guarda qua!”.
Fece ruotare lo schermo del suo PC in direzione di Lallo, così il giornalista poté leggere l’elenco dei pezzi preparati per tempo.
“Vedo! – commentò sardonico Tarallo – Sagra della salsiccia di pianura; concerto del Coro “ Il Centrolestra”, in favore dei predoni in pensione; Mostra dell’artista Ercole Zamparon nella sezione decrepiti del Centro Anziani e infine nientemeno che l’affollatissimo casting pontino per Pipp Factor: che fantastico programmino!”.
Uscito come una furia dalla redazione, si ritrovò nel mulinello del vento impetuoso senza neanche il conforto di poter sgonfiare le gomme all’auto del caporedattore, quello si muoveva sempre a piedi.
Affrontò così le luci deprimenti di quella prima razione di tenebra, schiacciando mucchi di foglie fradice. Cervellenstein, col quale molte volte aveva parlato della sua depressioncina da ora solare, pensava che dietro questa condizione psicologica infelice si celasse un primigenio “orrore placentare” di Tarallo.
Lallo, secondo l’illustre Psicologo, dal suo concepimento in poi avrebbe evidenziato un problema peculiarissimo: sarebbe stato l’unico feto a non trovarsi bene nel buio caldo e confortante della placenta materna.
Quella, anzi, sarebbe stata la prima e più remota delle sue tante idiosincrasie. La diagnosi non lo aveva certo confortato, non lo aveva sottratto alle sue malinconie autunnali.
Solo Consuelo, in quella serata adatta a pesci di profondità, avrebbe avuto il potere di rievocare la luce, così pensò di chiamarla.
Telefonò invece ad Abdhulafiah per proporre una pizza: