Quando Schumann arrivò a Vienna, Schubert era morto già da dieci anni e anche se era molto conosciuto nel mondo musicale, molte delle sue composizioni erano ancora da scoprire. Vivente, infatti, aveva pubblicato meno di un quarto delle opere composte che erano più di mille.
Gli editori avevano pubblicato per lo più i lieder e le danze per piano, più qualche opera, sempre per piano o cameristica. Il resto della sua produzione era disperso tra le carte in mano a fratelli e a amici.
Schumann giunse nella capitale asburgica alla fine nel 1838, su consiglio della moglie Clara che, celebre concertista, vi aveva suonato varie volte nel corso delle sue tournee.
Schumann voleva trasferire a Vienna la sua residenza e con essa anche la rivista musicale di cui era principale animatore: la Neue Zeitschift fur Musik.
Avrebbe voluto inoltre trovare un incarico musicale che gli consentisse di vivere in città, anche se questa non era la prima necessità visti i soddisfacenti introiti per l’attività concertistica sua e di sua moglie.
Fino a quel momento Robert era stato un autore abbastanza conosciuto ma che aveva composto quasi esclusivamente per piano, con l’aggiunta di un pugno di lieder.
Era considerato molto in avanti rispetto al gusto dei tempi: le sue musiche spesso sconcertavano gli orecchi più conservatori. Non che fossero brutte, anzi, semplicemente erano più difficili da capire. Il pubblico non era ancora pronto alle sonorità della Kreisleriana o delle Davidbundlertanze.
Mentre visitava Vienna per la prima volta, poteva osservare una città dove rumori quotidiani e musiche di ogni tipo si intrecciavano nelle strade.
Spesso si fermava a contemplare la bellezza di Santo Stefano e delle strade centrali. Ricordò ad un tratto che distante dal centro della città si trovava un cimitero, dove riposavano due dei più grandi geni della musica, a pochi passi l’uno dall’altro: Beethoven e Schubert.
All’inizio del 1839 decise così di far visita al cimitero di Wahring e quando vide le due tombe, Schumann non seppe trattenere le lacrime e scrisse:
“Come me, più d’un giovane musicista dopo i primi giorni di stordimento, sarà andato al cimitero di Währing, per porre su quelle tombe un’offerta di fiori, fosse pur soltanto un mazzo di rose selvatiche, come ne ho trovate piantate vicino alla fossa di Beethoven. La tomba di Franz Schubert era disadorna. Alfine s’era compito un fervido desiderio della mia vita ed io contemplai a lungo le due tombe sacre, quasi invidiando quel tale… che giace proprio in mezzo a loro.
Tornando a casa, mi venne in mente che infatti viveva ancora un fratello di Schubert, Ferdinand, che, come sapevo, Schubert stesso aveva amato assai. Andai tosto da lui e lo trovai somigliante al fratello (secondo l’aspetto del busto che vidi accanto alla tomba del maestro), più piccolo, ma saldamente complesso, e nell’espressione del suo viso si leggeva lealtà e musica in egual misura. Egli mi conosceva di nome, poiché spesso ebbi l’occasione di esprimere pubblicamente la mia venerazione pel fratello. Egli mi raccontò e mi fece vedere molte cose, alcune delle quali, colla sua autorizzazione, erano state anche prima comunicate alla nostra Rivista sotto il titolo di “Reliquie”.”
Ferdinand Schubert lo sorprese ancora di più quando aprì dei cassetti di un armadio ed un baule polveroso, porgendogli alcune composizioni inedite del fratello Franz, che ancora si trovavano nelle sue mani.
“La ricchezza che ivi giaceva ammucchiata mi fece fremere di gioia; dove mettere prima le mani, dove fermarsi? Pensavo fra me, come a un loro fratello. Fra l’altro, mi vennero mostrate le partiture di parecchie sinfonie, molte delle quali non sono ancora state eseguite, anzi spesso furono messe da parte, dopo ritoccate, perché troppo difficili’’.
La visita a Ferdinand Schubert era stata per lui la conseguenza logica di quella visita da devoto al cimitero di Wahring.
Come si è detto, dai bauli e dai cassetti il fratello di Schubert tirò fuori un mucchio di manoscritti: tutti lavori del fratello mai pubblicati o addirittura mai eseguiti in vita.
Schumann vi si immerse fino al calar della sera, affascinato dalla vista di tanti capolavori di cui ignorava l’esistenza. Tra quelle carte figuravano quattro grandi Messe, parecchie opere, musica da camera e pianistica e in più quattro o cinque Sinfonie,tra cui quel puro capolavoro che era la Sinfonia in do maggiore, iniziata nel 1825 e terminata solo qualche mese prima della scomparsa.
Subito, ebbro di felicità per un tale inatteso ritrovamento, scrisse agli editori Breitkopf e Härtel di Lipsia, per invitarli ad acquistare quella musica celestiale.
“Vienna, molte cose ti verranno perdonate in virtù di tale scoperta. Nella Sinfonia in do maggiore sono racchiusi tutto il tuo splendore, la tua luce, i tuoi giardini, il tuo Prater, ornato di quelle belle ragazze che mi piace tanto guardare”, così scrisse Schumann agli amici sperando di porre fineall’oblio che la città ingrata aveva troppo presto riservato a Schubert.
Cose da farsi perdonare agli occhi di Robert Schumann Vienna ne aveva molte.
L’insuccesso del suo progetto relativo alla rivista ormai era sicuro. Se pure il governo aveva concesso l’autorizzazione a stampare, la censura, da parte sua, metteva ostacoli, sicché sarebbe stato vano il lottare contro di essa.
Schumann, già sicuro della benevolenza di un tal Sedlinsky, adesso comprendeva come costui, fin dal primo giorno, avesse deciso di far solo finta di assecondarlo, tirando fuori ogni volta mille cavilli per intralciare i suoi desideri.
Da Lipsia intanto, gli altri collaboratori gli facevano sapere che la rivista, privata dell’opera del suo animatore, andava piuttosto male.
A consolarlo arrivò la musica di Schubert.Ai primi di dicembre cominciarono a Lipsia le prove della Sinfonia in do maggiore che Schumann aveva scoperto a Vienna e spedito all’amico Mendelssohn perché la sottoponesse all’orchestra del Gewandhaus:
“Chi non conosce questa Sinfonia conosce ancor poco lo Schubert; e questa lode può sembrare appena credibile se si pensa a tutto quello che Schubert ha già donato all’Arte.’’.
Certo Schubert non aveva mai pensato di voler continuare la via indicata in campo orchestrale da Beethoven, ma da artista acutissimo quale era, creò ininterrottamente nuove sinfonie che battevano altre vie, diverse da quella del genio di Bonn, aprendo strade che porteranno a Brahms, a Bruckner fino ad arrivare a Mahler.
“Nella sinfonia di Schubert, piena e chiara, fiorita di vita romantica, la città mi sorge oggi innanzi più nitida che mai, e ancor m’è chiaro, come in questi luoghi appunto possano nascere opere simili. Io non dico questo per dar rilievo alla composizione della sinfonia; Oltre ad una magistrale tecnica musicale della composizione, qui c’è la vita in tutte le sue fibre, il colorito sino alla sfumatura più fine, v’è significato dappertutto, v’è la più acuta espressione del particolare e soprattutto infine v’è diffuso il romanticismo che già conosciamo in altre opere di Franz Schubert. E questa divina lunghezza della sinfonia è, come uno spesso romanzo in quattro volumi di Jean Paul che non finisce mai, per l’ottima ragione di lasciar creare il seguito all’immaginazione del lettore’’.
Certo Schumann, prima del fortunato ritrovamento, conosceva già alcune opere di Schubert e le aveva anche recensite nello Zeitschift.Oltre ai cicli di lieder come “Winterreise” e “Schoene Mullerin”, che influenzarono la sua produzione liederistica, conosceva anche alcuni lavori per piano e aveva parlato a musicisti ed editori dei due trii per piano e archi che erano stati eseguiti e pubblicati, e riferendosi a essi disse:
“Non esiste alcun dolore più forte di questa musica. Nessuna sofferenza può spegnere questa bellezza. È una medicina purissima fatta di arte senza tempo e riesce a curare anche le ferite più profonde. Può calmarvi, soccorrervi persino accarezzarvi.
Sono passati ormai dieci anni da che un altro Trio schubertiano, quello in mi bemolle, aveva fatto la sua comparsa elevandosi come un tempestoso fenomeno celeste al di sopra della produzione musicale dell’epoca (…). Il Trio, in si bemolle, appena pubblicato sembrerebbe appartenere a un periodo precedente: sul piano stilistico però non vi è assolutamente nessuna differenza, e in questo senso potrebbe essere stato scritto appena prima dell’altro, ma interiormente le due opere sono essenzialmente diverse. (…) il Trio in mi bemolle maggiore è più attivo, maschile, drammatico; il nostro invece è passivo, femminile, lirico. Sia per noi quest’opera postuma un carissimo lascito! Il tempo, per quante innumerevoli bellezze sappia generare, non troppo presto saprà donarci un altro Schubert”.
In effetti i due capolavori che Schubert ha lasciato nel genere del trio per pianoforte, violino e violoncello, sono frutto della sua estrema maturità, un raro caso in cui l’autore ascoltò eseguire le proprie composizioni: un anno dopo era già scomparso.
Se la fecondità può essere considerata una delle caratteristiche principali del genio, Franz Schubert di fatto fu uno dei più grandi.
“Non oltrepassò di molto i trent’anni, ma scrisse tanto da far stupire e forse soltanto la metà delle sue composizioni è stata sinora stampata, una parte attende ancora la pubblicazione, un’altra molto più grande sarà concessa al pubblico dopo lungo tempo oppure molto probabilmente mai. Nella prima rubrica abbiamo i suoi canti, che si sono diffusi più presto e più largamente; egli forse avrebbe messo in musica a poco a poco tutta la letteratura tedesca; e quando Telemann richiedeva che un vero compositore dovrebbe saper mettere in musica il suo passaporto, avrebbe trovato il suo uomo in Schubert.”
Così chiudeva l’argomento Schumann,