Alzare muri, erigere steccati. È una pratica antica, basti pensare alla Grande Muraglia Cinese: circa 9.000 chilometri, secondo i calcoli più recenti, non proprio la recinzione di un cortile.
È una pratica dettata dalla paura. Paura di attacchi nemici, veri o immaginari.
Paura di incontrare il diverso da sé, per non mettersi in discussione.
È proprio dallo straniero che spesso ci si difende; si difende la propria identità, data per immobile e acquisita una volta per tutte.
Straniero ha la stessa origine semantica di strano, in quanto diverso in usi e costumi, in lingua e religione.
Ma l’unica identità cristallizzata e immodificabile è quella delle cose inanimate; ciò che è vivo si modifica e si adatta in continuazione, chi si ferma è perduto (ed è anche un pochino morto).
Sul concetto di muro penso che Sandro Bonvissuto, nel suo bel romanzo “Dentro”, abbia scritto le parole definitive; non mi resta che riportarne uno stralcio, perché meglio di così non credo si possa esprimere:
Il muro è il più spaventoso strumento di violenza esistente. Non si è mai evoluto, perché è nato già perfetto. […] Non c’è niente che ti uccide come un muro. Il muro fa il paio con delle ossessioni interne, cose umane, antiche come la paura. […] È concepito per agire sulla coscienza. Perché il muro non è una cosa che fa male; è un’idea che fa male. Ti distrugge senza nemmeno sfiorarti. […] Il muro di recinzione è certo una cosa ostile all’umanità. E costruire un muro è fare una cosa contro. Perché è chiaro che i muri non possono essere a favore. E purtroppo non esistono muri fatti contro qualcosa, perché i muri sono sempre fatti contro qualcuno, contro gli esseri viventi. […] Bisognerebbe rifiutarsi di costruire muri di cinta. Anche se ci pagassero.
Il nuovo verbo sovranista sollecita la chiusura di ciascuno Stato nei suoi confini, a difesa dalle possibili contaminazioni importate dall’esterno. Salvini chiude i porti, Orban erige barriere sui confini orientali e anche Trump, nel suo piccolo, ha fatto del muro al confine col Messico la sua ossessione personale.
Si tratta di una barriera di oltre 3.000 chilometri, per 12 metri di altezza, il cui costo di realizzazione è stimato dall’amministrazione statunitense in 10 miliardi di dollari; ma uno studio di un organismo indipendente, considerando anche i costi infrastrutturali necessari alla costruzione, rivaluta la stima a oltre il doppio. La prima singolarità è che Trump, fin dalla campagna elettorale, ha dichiarato che il costo sarebbe stato posto a carico del Messico. Un po’ come condannare un uomo all’impiccagione e chiedergli di portarsi la corda da casa.
Nel frattempo, vista l’incredibile riottosità dei confinanti a cacciare anche solo un dollaro, lo scorso anno il Congresso USA ha stanziato in bilancio 1,8 miliardi.
Vista l’ottusa testardaggine dei messicani nell’insistere a rifiutare una qualunque forma di collaborazione, per il 2019 il Presidente col gatto morto in testa ha chiesto al Congresso di finanziargli altri 5,7 miliardi.
Dopo le lezioni di midterm, però, i repubblicani hanno perso la maggioranza alla Camera e hanno un solo voto di vantaggio al Senato. Risultato, bocciatura della richiesta di copertura finanziaria con conseguente entrata dell’amministrazione in shutdown: senza legge di bilancio le attività federali si riducono per un terzo.
In soldoni, circa 800.000 impiegati federali da metà dicembre non ricevono lo stipendio, con chiusura di molti uffici federali, a partire dai parchi nazionali (notoriamente la salvaguardia dell’ambiente non è proprio una delle priorità del tycoon).
Dopo un blocco record di oltre un mese, alla fine Trump ha accettato una tregua, sospendendo lo shutdown per tre settimane (e quindi sbloccando i fondi per pagare gli impiegati), con l’intenzione di raggiungere nel frattempo un compromesso col Congresso per il finanziamento del muro. Ma il Presidente, come spesso ha fatto l’uomo bianco nella storia di quel Paese, parla con lingua biforcuta e sta tentando di trovare un escamotage per stornare fondi già previsti in bilancio (per la difesa) a copertura dei costi per il muro, senza dover passare dal Congresso: potrebbe dichiarare l’emergenza nazionale per i confini in pericolo, con l’armata di centroamericani accampata in Messico che minaccia la sicurezza e potrebbe addirittura invadere gli USA.
Eppure Trump è figlio di immigrati. In realtà, tutti negli Stati Uniti discendono da immigrati, tranne i pochi nativi americani superstiti. Nativi che stavano lì prima della “scoperta” dell’America, che quindi non era per niente “coperta”. Ma le teorie (e pratiche armate) del colonialismo europeo, con la scusa dell’evangelizzazione e della civilizzazione, hanno pensato bene di sollecitare i vari Stati a prendersi quel che non era loro, rinchiudendo (ma è una fissazione!) i legittimi abitanti di quelle terre dentro ghetti chiamati riserve.
Come le riserve faunistiche.
Anche sulla linea di confine ci sarebbe molto da obiettare. L’acquisizione di buona parte dei territori degli Stati del sud (California, Arizona, Nuovo Messico e Texas) è avvenuta mediante una vera e propria invasione del Messico scaturita da una serie di provocazioni degli yankee ai danni dei messicani.
Sul tema ho trovato molto interessante la lettura del bel romanzo di Pino Cacucci, “Quelli del San Patricio”, che narra proprio quella guerra di conquista, concentrandosi su un aspetto particolare: la formazione di un Battaglione di soldati irlandesi che disertarono per unirsi alla resistenza messicana.
Tra gli immigrati negli Stati Uniti del tempo, gli irlandesi erano tra i più discriminati, insieme agli italiani.
L’episodio che Cacucci, dopo approfondimenti storici, riporta nel suo libro è quindi una storia di riscatto contro le ingiustizie, ed è bello leggere che anche alcuni italiani si unirono a questi romantici disertori, destinati coscientemente alla sconfitta ma non per questo meno combattivi.
Sullo stesso tema e in contemporanea, senza che un autore sapesse dell’altro, Andrea Ferraris ha scritto e disegnato la graphic novel “Churubusco”, narrando in particolare la storia di un italiano che ha disertato dall’esercito statunitense per unirsi al Battaglione.
Durante gli approfondimenti storici, Ferraris ha avuto modo di confrontarsi con Paddy Moloney, il leader della folk band irlandese The Chieftains, che nel 2010 ha prodotto un concept album dedicato alle gesta del Battaglione San Patrizio.
Ancora oggi, una volta l’anno, la “Banda de gaitas del Batallon de San Patricio” sfila a Città del Messico, nel quartiere Churubusco (dove si consumò la fine della resistenza), per ricordare il sacrificio di quei giovani immigrati europei che scelsero di non stare dalla parte degli aggressori.
Bene quindi stanno facendo al Congresso quei deputati e senatori che strenuamente si oppongono alla costruzione del muro, e ottima l’azione della speaker Nancy Pelosi, discendente da immigrati italiani.
In un tempo che richiederebbe la costruzione di ponti per ritrovare il senso di umanità perduto, non si può accettare l’idea che la disperazione di tante persone possa essere messa a tacere con i muri.
Se l’abbattimento del muro di Berlino trent’anni fa fu il simbolo del trionfo della libertà e della democrazia, oltre che di un’Europa finalmente pacificata, non si vede come la costruzione di un nuovo e imponente muro possa andare nella stessa direzione.
Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.