Durante la Repubblica di Weimar, fra il 1919 e il 1933, la Germania conobbe una intensa fase di espansione artistica e culturale nonostante il periodo di forte recessione economica e di fragilità politica.
Nel corso degli anni che circoscrissero la breve vita della Republik, a Berlino, per quanto riguardava l’espressione artistica era rappresentato di tutto: Realismo, Espressionismo, Dadaismo, Futurismo, Cubismo, Verismo, Progressivismo, Neoclassicismo.
Questa ricchezza di linguaggi si affastellò nel giro di meno di un ventennio, creando scuole e discepoli che si combattevano accanitamente tra loro, ogni volta presentandosi come assolutamente nuovi, unici e diversi.
Il kabarett del periodo di Weimar fu una forma artistica musicale caratteristica di Berlino degli anni ’20, diventata famosa per il suo alto livello di inventiva, per la vibrante vita notturna che vi ruotava attorno e per la divulgazione, da esso operata, di nuovi stili di musica.
Avendo vissuto in precedenza sotto un governo autoritario come quello prussiano, dove le attività di intrattenimento erano strettamente regolamentate, molti tedeschi prosperarono nei rilassati atteggiamenti sociali di Weimar.
Nella città le tre cose più importanti, oltre all’arte, erano l’alcol, la cocaina e il sesso, praticato sotto ogni aspetto, cosa che sorprende se si considera che Berlino era un luogo fino a poco prima mentalmente piuttosto ristretto.
L’afflusso di denaro degli americani e dei viveur di tutta Europa fece illudere che si fosse sulla soglia di un tenue risveglio economico nella seconda metà degli anni ’20.
In realtà la svalutazione galoppante e le disparità sociali stavano già corrodendo le fondamenta della Repubblica e gli scontri tra manifestanti di sinistra e di destra erano quotidiani.
La maggior parte di chi viveva a Berlino, tedeschi e non, era consapevole che sia l’economia che il governo erano destinati a fallire; nonostante questo, o forse proprio per questo, si andava imponendo una strana aria di seduzione, il fascino della cupio dissolvi che pervadeva quel mondo.
I kabarett hanno anche fornito ai tedeschi uno sbocco per manifestare opinioni politiche e critiche sociali.
Una buona parte della storia del kabarett è stata fatta da umoristi che hanno ridicolizzato ogni possibile aspetto dello spettro politico del tempo: nessun capo, partito o idea politica venne risparmiato dalle loro gag o dalle canzoni.
Kurfürstendammstrasse è un viale di fondamentale importanza, sia per la città di Berlino che per la storia del Kabarett. Il primo luogo importante al riguardo, sul Kurfürstendamm, fu il “Café des Westens’’, conosciuto anche come Café Größenwahn, che fu inaugurato nel 1898, divenendo al tempo della repubblica di Weimar il ritrovo preferito dagli artisti di avanguardia, tanto da essere considerato come la casa stessa dell’Espressionismo.
Rimanendo nell’ambito dello spettacolo, la realtà storica e il mito si confondono: sembra infatti che Ernst von Wolzogen ebbe l’idea di aprire il suo “Buntes Theater” proprio mentre stava nel Café des Westens, come pure accadde anche a Max Reinhardt e soci per lo “Schall und Rauch”, che a Bertolt Brecht ispirò il soggetto de “L’Opera da tre soldi” e a Friedrich Hollaender la canzone “Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt”, resa celebre da Marlene Dietrich.
Quel che è certo è che, il 23 dicembre 1920, al primo piano del Café, Rosa Valetti inaugurò il “Kabarett Größenwahn”: uno dei primi esperimenti berlinesi ispirati direttamente ai cabaret parigini dei decenni precedenti.
La Ku-Damm, come chiameranno affettuosamente sempre i berlinesi questa strada, fu anche il luogo di nascita della Kabarettrevue, una commistione di kabarett letterario, musicale e di piccola rivista, che vide la luce al civico 217, precedentemente sede del Nelson-Theater, fondato nel 1914 da Rudolf Nelson.
Tra le stelle che calcarono quel palco vi fu anche la famosa Josephine Baker.
Nel 1922, dopo l’avventura del Kabarett Größenwahn, Rosa Valetti si spostò al civico 32 per aprire ‘’Die Rampe’’.
Nel 1929, nella traversa della Joachimsthalerstraße, Robert Eugene aprì il kabarett politico letterario “Die Rakete”, che quattro anni dopo ospitò le serate del Kabarett der Komiker, il cui l’artista di spicco fu il poliedrico Willy Rosen.
Questi sono solo alcuni dei teatri e locali di kabarett che contribuirono a rendere viva l’attrazione del viale più celebre di Berlino per tutti gli anni ’20.
Le vicende storiche che fecero seguito a quel breve periodo di serenità coinvolsero anche lo stesso Ku-damm, come avvenne nel caso del pogrom antisemita operato da uno Sturmabteilung nazista il 12 settembre 1931.
Una delle star di allora era l’attrice e cantante Claire Waldoff, che fu una delle più amate artiste tedesche di Kabarett nella prima metà del Novecento.
Fin dal suo esordio nella capitale, incarnò un personaggio ben definito: una donna della classe operaia, poco femminile, un po’ triviale, che cantava canzoni umoristiche, ma non solo. Facendo spesso uso del dialetto berlinese, la Waldoff seppe incarnare sul palco il più puro spirito popolare degli abitanti della capitale.
Il momento di maggiore celebrità dell’artista fu negli anni ’20: richiestissima su ogni palco, dai piccoli Kabarett alle riviste del Wintergarten, divenne anche un modello di emancipazione.
Claire Waldoff, infatti, era apertamente lesbica e con la sua compagna, Olga von Roeder, formava la coppia di riferimento della comunità omosessuale di Berlino.
La città che l’accolse e le diede il successo fu, come abbiamo detto, la sua principale fonte d’ispirazione. I luoghi, le persone, le storie, le abitudini, i vezzi, il gergo della capitale furono spesso i protagonisti del suo vastissimo repertorio.
Altra famosa interprete di Kabarett fu Marlene Dietrich, che a partire da questo genere iniziò la sua carriera, fino alla sua consacrazione come femme fatale nel film “L’angelo azzurro”.
In precedenza, come si è accennato, nei locali berlinesi l’artista aveva invece affrontato spesso ruoli sessualmente molto ambigui, in scene e canzoni che esprimevano parecchi doppi sensi.
La maggior parte degli artisti che si esibivano nel Kabarett erano ebrei o di idee di sinistra e il cambiare del vento politico li costrinse presto a fuggire dalla Germania.
Alla presa del potere di Hitler gran parte di loro infatti fuggì nei Paesi europei ancora liberi dal nazismo. Qualcuno di essi riuscì poi a raggiungere gli Stati Uniti mentre la maggioranza degli altri, rimasti in Europa, non fu così fortunata.
La scelta, che fu in origine prevalente, di rifugiarsi nei Paesi Bassi fu dovuta sia a una certa somiglianza linguistica e culturale con la Germania, sia perché quello Stato appariva allora come una garanzia di ottenere asilo. Non erano però sempre rose e fiori per chi vi si trasferiva: gli artisti locali temevano la concorrenza straniera, soprattutto in un momento in cui il lavoro stava diminuendo in modo preoccupante.
Alle questioni lavorative si univano anche quelle politiche, perché i partiti conservatori al governo non vedevano di buon occhio le posizioni, spesso rivoluzionarie, di molti degli artisti del Kabarett.
Senza contare che buona parte della popolazione olandese vedeva positivamente la salita al potere di Hitler.
Ciò contenne numericamente lo svilupparsi del fenomeno dei kabarett degli esuli: il “Ping Pong”, che fu il primo, aprì nel maggio del ’33 ad Amsterdam, ma i suoi contenuti politicizzati furono condannati dalla stampa locale, così il locale finì per essere chiuso dalle autorità alla fine di quello stesso anno. Non diversamente andavano le cose in Svizzera per chi vi si rifugiava.
Il 10 maggio del 1940 la situazione si fece decisamente più difficile anche per gli esuli: le truppe tedesche invasero i Paesi Bassi.
Nel ’42, cominciarono i rastrellamenti antisemiti e mentre Rudolf Nelson e la sua famiglia sopravvissero in clandestinità, Willy Rosen che stava per ottenere il visto per gli Stati Uniti, vide bloccare gli ingressi in quel paese che era entrato in guerra nel 1941.
L’artista si ritrovò così nel campo per rifugiati di Westerbork, che poi fu preso in consegna dalle SS e trasformato in campo di concentramento.
Nel giro di poco tempo si capì che le tappe successive, per quelli che erano nel mirino dei nazisti, potevano essere soltanto Auschwitz, Sobibor, Bergen-Belsen o Terezín, ovvero i campi di sterminio.
Nel ’42, il comando di Westerbork venne assegnato ad Albert Konrad Gemmeker, Primo Tenente delle SS.
Era un personaggio controverso, pronto a prendere le decisioni più spietate ma che, al contempo, incoraggiava l’allestimento di spettacoli di Kabarett all’interno del campo, ai quali lui assisteva come spettatore in prima fila.
Se da una parte gli spettacoli erano organizzati soprattutto per il piacere di Gemmeker, e per quanto facessero il tutto esaurito anche tra gli stessi prigionieri, dall’altra rientravano in una precisa strategia manipolatoria.
La stessa finalità avevano anche le apparenti preferenze del direttore a favore degli ebrei tedeschi a discapito di quelli olandesi, mirate in realtà ad accendere conflitti tra le due parti.
A creare ulteriori disparità c’era anche il trattamento di riguardo, sempre proporzionato alla situazione, riservato agli artisti tedeschi che talvolta si lasciavano prendere la mano, ridendo degli olandesi negli spettacoli e mettendo in scena situazioni di cattivo gusto, se non addirittura sacrileghe.
In ogni caso, la strategia di Gemmeker era il romano “dividi et impera”, praticato con un solo fine: selezionare facilmente chi doveva essere deportato nei campi di sterminio in Polonia e nel Reich. Nient’altro.
Anche perché, in realtà, raramente c’era salvezza.
Alla chiusura del campo di Westerbork, Willy Rosen, Max Ehrlich e Erich Ziegler furono trasferiti a Terezìn: l’ultimo soltanto sopravvisse, gli altri due vennero uccisi nelle camere a gas ad Auschwitz.
Così quella esplosione di gioia di vivere che era stata tipica della Repubblica di Weimar, cioè il tentativo di tornare alla vita dopo la mattanza della Grande Guerra, finiva crudelmente nel sinistro fumo dei campi di sterminio nazisti.
Vi è qualcosa di commovente e straziante in una delle ultime canzoni di Hollaender, scritta prima della sua fuga in America:
“Ho visto una Germania senza film militari, senza giudici antisemiti, senza limiti ai diritti delle donne, dove c’è lavoro per tutti, dove la gente onesta si dà una mano, dove non c’è più violenza alcuna e senza bandiere con le svastiche!”
Peccato che l’autore in quella canzone faccia parlare così il contaballe per eccellenza della letteratura mondiale: il barone di Munchausen!
Non avete scritto quello che fu Weimar, cioè una Repubblica già condannata in partenza, governata con decreti, iperinflazione, violenza e stati di emergenza, altro che arte e feste… Per molti l’orrore era Weimar, la Storia andrebbe raccontata senza posizioni politiche preconfezionate.
Penso che l’articolo si riferisca solo all’attività artistica e culturale creatasi durante la breve repubblica di Weimar e si limiti a quello.
Certo era un periodo di forti tensioni politico sociali e ogni guppo di destra o sinistra aveva il suo apparato paramilitare, se non sbaglio sono en passant, citate le SA. Non era facile governare quando sei nel mezzo del fuoco e ogni gruppo cerca di di scardinare lo stato.
Ricordiamo che Weimar era strozzata pure dalle condizioni della pace di Versailles e dalla situazione che porterà alla crisi economica del 1929, cosa che aiuterà un certo Adolf ad andare al potere…
Penso che l’articolo sia ben scritto e riferisca con esattenza l’atmosfera, soprattutto berlinese, del periodo e non condannerei tanto Weimar pensando al baratro che si stava aprendo grazie ai futuri padroni del Reich e alla strategia dello sterminio.