Dropouts e Homeless

 

Oggi negli stati più evoluti e ricchi si vanno incrementando due fenomeni già noti da tempo: la condizione di emarginato (dropout) e di senza fissa dimora (homeless).

Non sono cose che nascono oggi, si pensi ai milioni di homeless negli Usa nel novecento con la grande Depressione dopo il 1929, ma forse vale la pena di riflettere sulle cause che hanno spesso portato individui e comunità a scegliere queste condizioni di vita.
Ancora oggi nel mondo quelli che chiamano barboni, con malcelato disprezzo, sono decine di milioni.

Distribuzione del pane in America nel 1929

Subito vengono in mente lo sradicamento in seguito ai fenomeni migratori e lo sfruttamento economico di coloro che versano in situazioni di bisogno e non hanno la possibilità e la forza per potersi tutelare, si rammenti perciò che un pasto e un tetto garantito non sono cose frequenti nella storia. 

Il fenomeno migratorio è esistito da sempre; si pensi ai veteres romani cui l’impero come liquidazione, per una vita passata a combattere, dava terre da coltivare nelle nuove province conquistate, con la conseguenza di doversi spostare nei luoghi più disparati dello sterminato dominio romano: dall’Africa alla Dacia, dalla Gallia al lontano Oriente.
E chi poteva si creava una famiglia sul posto, mescolando la propria cultura a quella degli autoctoni.

Si ricordino i ‘Pilgrim Fathers’ che con la Mayflower arrivarono in America spinti dalla persecuzione religiosa così come anche alcuni ugonotti francesi sopravvissuti alla sanguinosa Notte di san Bartolomeo anche se in questi casi l’integrazione era quasi nulla perché coloro che arrivavano non si mischiavano con i nativi che consideravano a malapena dei selvaggi se non peggio.

Il primo giorno del ringraziamento dei padri pellegrini della Mayflower

Diciamo però che fino al primo decennio dell’Ottocento la maggior parte di coloro che affrontavano i viaggi verso nuove frontiere, le due Americhe, l’Australia e le colonie africane, erano per lo più soggetti che avevano problemi con le leggi degli stati d’origine: ladri, assassini, prostitute, usurai e altri soggetti di dubbia reputazione che volevano solo far soldi in fretta e facilmente.
Si rammenti la storia di Manon Lescaut scritta magistralmente nel settecento da Prevòst.

Un politico inglese dei primi dell’ottocento, non a caso, definì l’Australia “il più grande carcere a cielo aperto”.

Dalla prima metà dell’Ottocento fece la sua comparsa anche un altro tipo di emigrante: questi non scappava più perché perseguitato religiosamente, non aveva pendenze giudiziarie o morali cui sfuggire, ciò che lo spingeva ad imbarcarsi, soprattutto verso le Americhe, era soltanto il bisogno e la fame.

Classico l’esempio degli irlandesi che per la carestia delle patate e la conseguente fame, cui li costringevano gli inglesi, invece di continuare a morire a centinaia di migliaia inondarono letteralmente l’America del nord.

Installazione a Dublino per ricordare la grande carestia

In Europa intanto la selvaggia industrializzazione aveva inoltre creato, con la necessità di manodopera a basso costo, una classe operaia che, ammassata nelle periferie delle metropoli industriali, viveva una vita fatta di stenti e di espedienti, essendo pagata pochissimo e per nulla tutelata.

Se ne era ben accorto Friedrich Engels nel suo libro reportage sulle terribili condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici britanniche e del degrado fisico e morale in cui erano state fatte precipitare.  

Per questa fetta di popolazione il ‘viaggio’ sembrava ai suoi occhi una spedizione verso una sognata Terra Promessa dove affrancarsi dalla miseria e dai bisogni e anche in questo caso questa terra si chiamava quasi sempre America, sia del nord che del sud e per i più impavidi Australia.

Una volta arrivati nella nuova realtà essi, oltre a scoprire un nuovo sfruttamento come lavoratori, si trovavano davanti l’ostilità e il disprezzo degli stanziali, di coloro che erano arrivati prima e si erano già adattati al nuovo mondo: di coloro che, come si dice oggi, si erano integrati e che spesso erano divenuti il potere, e facevano spesso leggi su misura per i loro interessi. Si pensi al film di Scorsese “Gangs of New York” che testimonia com’era la grande mela nell’ottocento. 

Una scena del film di Scorsese “Gangs of New York”

Erano costoro che fissavano le regole della vita sociale; perché erano loro che comandavano potendo di fatto controllare i posti di governo e la polizia: era il periodo delle incredibili “fortune fatte senza troppi scrupoli” da famiglie come i Vanderbilt, i Rockfeller o i Dupont per esempio negli USA.

Diventava inoltre normale la connivenza tra criminalità e chi deteneva il potere: spesso i voti si prendevano con la paura più che con i favori.

Inoltre non vanno taciuti i quasi giornalieri scontri con gli autoctoni per motivi di odio xenofobo: a titolo d’esempio si ricordi dei cinque siciliani linciati a Tallulah nel sud degli Stati Uniti (qui potete leggere il nostro articolo), per la precisone in Louisiana; ritenuti inferiori perfino ai neri appena liberati dalle catene schiavistiche.

Rispetto al numero di quelli che emigravano pochi erano quelli che riuscivano ad adattarsi, o per meglio dire che si sistemavano: la maggior parte non fece fortuna o se la fece la conquistò, per lo più, solo provvisoriamente per vedersela alla fine sottratta dal furbo o dal potente di turno.

Coloro che non riuscirono ad arricchirsi vissero una vita fatta di misere soluzioni per poter tirare avanti e per non tornare indietro, non ultime quelle di collusione con le attività criminali, basti pensare alla infiltrazione delle varie mafie nel tessuto della società americana, presenti ancora adesso.

Al Capone

 I più fortunati tornarono da dove son partiti con quattro soldi e la salute per sempre rovinata, gli altri restarono nei nuovi paesi per lo più come emarginati, come “dropouts”, non avendo più un posto dove andare.

 La società nuova dopo averli divorati e sfruttati li sputò via perché inutili alle regole e agli interessi sociali che erano sempre quelli di chi aveva il potere.

Gli ultimi arrivati inoltre si trovavano così a sopportare due traumi: il primo era lo sradicamento dal loro paese di origine con le sue tradizioni, la lingua, il modo di vivere e concepire la vita e non ultimo persino il cibo; il secondo era il mancato adattamento alle pretese della nuova società che spesso era soltanto l’anticamera della emarginazione, gli homeless non sono nati oggi, sia in Europa che nel ricchissimo Eldorado che pareva essere l’America. 

In questa schiera di emarginati ci sarebbe stato chi affrontò la vita con rassegnazione, sopportando anche l’impossibile, pur di non scontrarsi con la società in cui doveva pur vivere; gli altri invece per lo più, si rovinarono fino a distruggersi in “ways of life”, modi di vita e comportamenti che i psicologi chiamano oggi “borderline”: cioè di confine.

Si pensi a quelli che si persero dietro l’abuso dell’alcool e degli oppiacei e che fecero di tutto, già allora, per procurarseli; si pensi a quelli che spinti dalla fame e dal mito del West si prestarono a commettere violenze, sevizie e truffe ai danni dei popoli nativi e persino ai loro stessi compagni di sventura. 

1890 – Il massacro di Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini Lakota Sioux furono portati sulla riva del torrente, accampati, circondati da due squadroni di cavalleria e massacrati dal tiro di due mitragliatrici.

La famosa epopea dei film western è stata in realtà una guerra senza esclusione di colpi per la sopravvivenza e dove non vinse il più forte, ma il più furbo, colui che aveva meno scrupoli. 

Le mitiche ‘corse dell’oro’ furono soltanto massicce migrazioni di disperati, e chi divenne ricco per davvero non aveva probabilmente scavato fuori una sola pepita, avendo ben capito come raggirare quei poveri morti di fame soprattutto vendendo loro tanto alcool e sesso a buon mercato.

Parallelamente allo sradicamento e alla emarginazione che si verificavano nei nuovi mondi iniziò particolarmente in Europa un nuovo tipo di  disadattamento e quindi di emarginazione; qui però non si trattava più di emigranti ma di individui che pur restando a casa non volevano o non riuscivano ad adattarsi alla nuova società ‘ fin de sìecle’ di cui molti intellettuali e artisti ben comprendevano la crisi dei valori tradizionali: patria, fede e famiglia, ma non erano in grado sempre di trovarne di nuovi per i quali valesse la pena vivere e lottare.

Era il periodo del nichilismo, delle bombe ai tiranni, dei paradisi artificiali; per cui la vita appariva ai loro occhi come un succedersi di fatti e eventi non controllabili e di cui non si riusciva ad afferrarne il senso; come disse il giovane Nietzsche: “spesso ora la vita non è altro che un ponte tra due nulla”.

Coloro che veramente presero coscienza di tale situazione dicendo di no a questa esistenza o si suicidarono fisicamente o soltanto spiritualmente perché spesso addormentarono i loro sensi nell’oppio e negli alcolici; solo una minoranza cercò, lottando a costo della vita, di non integrarsi in questa società senza valori ma il prezzo fu alto e anche qui spesso riaffiorarono ferocemente i comportamenti borderline: violenza, disadattamento, autodistruzione.

Fumatori di oppio

C’era infatti anche un’altra migrazione: quella interna ai vari stati europei che è stata spesso poco considerata.

C’era chi fuggiva dalla Russia e dall’est europeo perché non ne poteva più dei pogrom, come gli ebrei, che però finivano sempre più spesso nei ghetti delle grandi città europee; c’erano gli italiani, in un Italia che ancora non esisteva, che per salvare la pelle e le idee scappavano da uno staterello all’altro oppure in Svizzera o in Francia; c’erano gli irlandesi da sempre sotto il giogo opprimente degli inglesi, c’erano i polacchi che vedevano la loro nazione divisa tra lo zar, gli Asburgo e i prussiani e così via, si pensi a tutti gli spostamenti forzati di cui è pregna la storia del nostro vecchio continente.
E questi sono solo alcuni esempi.

Ispezione sanitaria di migranti in arrivo

Viene voglia di fare una domanda agli xenofobi di professione di ogni dove, di ogni tempo e di ogni credo: che succederebbe se ogni nazione al mondo rimandasse a destinazione tutti i propri immigrati?
Si pensi, come esempio, ai milioni di italiani che vivono e sono nati in altre nazioni: sarebbe una catastrofe in tutti i sensi e non solo per l’Italia ma per tutti gli stati del mondo.

Il mondo moderno è diventato globalizzato perché si è dovuto prima contaminare per diventare il melting pot di oggi dove nessun popolo può affermare di essere erede di un popolo precedente: per esempio i nostri italiani non hanno proprio niente a che fare coi Romani antichi che ebbero addirittura nei Severi imperatori africani e un impero multietnico e multilinguistico, nè i tedeschi con gli vecchi Germani di Arminio che si era sollevato, dopo esser stato a lungo alleato di Roma, contro le vessazioni di Varo nemmeno i rumeni con i Daci che per provenienza sono anch’essi a loro volta un miscuglio di culture, di lingue e religioni tra valacchi, moldavi, ebrei ungheresi e slavi; per non parlare dei russi che sono una miscela di  vichinghi, slavi, tatari, tedeschi, ebrei e chissà che altro: lo stesso discorso vale per tutte le nazioni di tutta la Terra e chi lo nega ancora è solo in malafede.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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