I compari e le comari


Sembrerebbero figure desuete, retaggio del secolo breve. Figlie di una cultura rurale, anche quando inurbata, queste parole mantengono oggi solo un riferimento evocativo.
Spesso nulla hanno a che vedere con il reale significato: compadre o padrino, in qualche modo riferito ad un vincolo originato dai sacramenti (battesimo, cresima o matrimonio). Invece l’uso odierno è più qualitativo, in genere con accezione negativa: i compari sembrano dediti al malaffare, sinonimo di quelli che, per un certo periodo, sono stati detti “compagni di merende”; le comari, invece, fanno subito pensare al pettegolezzo, volgarmente “taglia e cuci”.

Questi stereotipi si sono evoluti e anzi hanno assunto rilevanza nella vita di comunità, fino alle più alte cariche politiche.
Svincolati da qualsiasi attinenza all’origine semantica, si palesano di tempo in tempo essendo per loro natura momentanei, guidati da fattori anche molto diversi fra loro.

Pensiamo ad esempio alle insinuazioni, al chiacchiericcio malevolo volto a screditare qualcuno percepito, a torto o a ragione, come avversario da danneggiare.
La pratica, che riprende l’impulso del pettegolezzo elevandolo a metodo scientifico, pare più affine al mondo femminile, con tutti i limiti di una tale generalizzazione.

Le vere comari sono in genere due, con eventuale codazzo di supporter che se le tengono buone per non rimanere vittime delle loro macchinazioni.
Delle due una ha il ruolo di leader e l’altra quello di “specchio di Grimilde”, con una piccola differenza: non è sincera, come evidente nella fiaba dei fratelli Grimm, ma sceglie sempre di riflettere quel che la “regina” preferisce vedere.

Persone spesso opache o di scarso spessore, le comari prendono di mira chi può far loro ombra. Senza alcun rispetto della realtà e delle storie personali, mettono in giro voci, lanciano illazioni, fomentano sospetti.
Ovviamente tutto alle spalle del soggetto preso di mira il quale, quando viene raggiunto dall’eco delle maldicenze, si trova ormai già giudicato dal suo ambiente con sentenza inappellabile.
E quand’anche affrontasse Grimilde, questa negherà o si trincererà dietro presunti equivoci o incomprensioni con sorriso di compatimento, soddisfatta in cuor suo del danno arrecato.
Modalità quanto mai vigliacca da cui è pressoché impossibile difendersi, senza alcuna possibilità di avere un contradittorio né un confronto su fatti e situazioni oggettive.
Le comari hanno un potere enorme e non si fanno alcuno scrupolo ad usarlo.

Quando si tratta di interesse materiale e potere, invece, l’immaginazione rimanda d’istinto ai compari.
Coi due maschietti la struttura potrebbe essere più varia: nel caso di posizioni consolidate di leader e gregario, la situazione potrebbe essere stabile e il connubio potenzialmente duraturo.
Ma quando invece ciascuno dei due si sente caposquadra o maschio alfa, i rapporti si fanno più complicati, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza.
Ciascuno ritiene di poter trarre vantaggio dall’alleanza, eventualmente anche a scapito dell’altro. Qualora si alterasse troppo la condizione di equilibrio originaria il danneggiato, dal momento in cui se ne rende conto, potrebbe mettere in campo tutte le azioni a sua disposizione per recuperare terreno, senza curarsi troppo delle conseguenze per il suo sodale. 

Da calda collaborazione a guerra fredda, e da questa a guerra guerreggiata è solo questione di tempo, quando le ragioni che uniscono sono deboli rispetto a quelle che potenzialmente dividono.
“Due galli a cantare non fa mai giorno”, secondo la saggezza popolare.
La guerra potrà essere di trincea, puntando al lento logoramento del compare ormai percepito come nemico; oppure potrà deflagrare in un divorzio conclamato, con tanto di stracci volanti. 

Tra le persone più o meno normali, un simile drammatico epilogo porterebbe alla reciproca cancellazione dell’altro anche dal novero delle conoscenze.
Ma non in politica, dove la memoria è particolarmente corta e la coerenza viene percepita come un disvalore. Da noi si può passare dall’insulto all’alleanza senza vergogna, esattamente come si può essere giustizialisti coi nemici e garantisti con gli amici, senza batter ciglio.
I compari non si curano del fatto che l’insana competizione, a suon di colpi bassi, possa provocare danni anche a chi non c’entra proprio niente: sono i danni collaterali che ogni guerrafondaio che si rispetti annovera tra le tragedie necessarie con un’alzata di spalle.

La cosa più bizzarra è che i danneggiati stessi, invece di tentare di fermare un tale scempio, si spellano le mani in applausi faziosi, dividendosi tra tifosi dell’uno o dell’altro, pronti a fare la fine dei polli di Renzo. 

Alla fine di questa dimenticabile analisi mi corre l’obbligo di una precisazione: i personaggi citati rappresentano generiche tipologie, frutto di elaborati studi sociologici supportati da illuminati studiosi del ramo.
Pertanto ogni riferimento a persone o situazioni reali è puramente casuale e frutto della fantasia o dell’esperienza del gentile lettore.

Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.

Una scena dal film “I soliti Ignoti”

Erasmo dal Kurdistan è persona mutevole, con una spiccata tendenza alla tuttologia.
Vorrebbe affrontare la vita con leggerezza e ironia, ma raramente riesce a mantener fede a un impegno così arduo.
Scioccamente convinto di avere qualche dote letteraria (molto) nascosta, si prodiga nel vano tentativo di esternarla, con evidente scarsa fortuna.
Maniaco dell’editing e dell’interpunzione, segue un insano culto del punto e virgola (per tacere delle parentesi e delle amate virgole).
Tenta di tenere a bada una innata tendenza didascalica e quasi pedagogica pigiando sul pedale della satira di costume, ottenendo di comico solo il suo pio tentativo.
Il più delle volte si limita ad imbastire dimenticabili pipponi infarciti di luoghi comuni.

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