24 Luglio 2017
Beep-Beep.
Il Vecchio trasalì e ritornò con i piedi e gli stivali sulla terra.
Beep-Beep.
In tutto quel silenzio il richiamo del metal detector, attraverso le cuffie, lo fece sobbalzare.
Aveva svoltato a destra, all’altezza della radice e, dopo aver seguito un breve sentiero, era arrivato ad una radura a ridosso delle pendici di una piccola collinetta.
Aveva battuto in maniera precisa e metodica tutto lo spiazzo, ondeggiando e beccheggiando con il metal detector come un ubriaco. Erano oramai passate un paio d’ore e il mal di mare stava prendendo il sopravvento.
Beep-Beep.
Aveva letto le istruzioni ma non ricordava questo tipo di segnale acustico a quale tipo di metallo si riferiva, se oro, ferro, rame o alluminio.
Macchissenefrega, ho comunque trovato qualcosa, in una zona impervia e vicino ad una necropoli. Di sicuro non sarà un tappo di birra.
Beep-Beep.
Ripassò con il metal detector, sfiorando il terreno con la piastra di ricerca, per localizzare bene il punto dove il richiamo sonoro risuonava più alto.
Si levò lo zaino e prese la mini pala (robustissima, leggera e maneggevole, diceva la pubblicità), e cominciò a scavare.
Le prime gocce d’acqua iniziavano a scendere quando il Vecchio, ansimante, si trovò seduto ai bordi della fossa che aveva scavato. Si era stancato e voleva riposare un poco.
La buca era grande come una vasca da bagno e, nonostante la pala andasse a sbattere ogni tanto contro qualcosa di duro, nessun tesoro era stato al momento individuato.
“Sassi, solo sassi”, imprecò il Vecchio.
Si asciugò la fronte con un fazzoletto. Il sudore scendeva copioso. Alzò gli occhi al cielo. Le gocce di pioggia, sempre più fitte, gli davano sollievo in quella notte di luglio senza stelle.
Era stato fino a quel momento meticoloso, attento, preciso. Usava la pala con delicatezza.
All’inizio, mentre scavava, già fantasticava su cosa avrebbe trovato. Ma con il passare del tempo le sue attese diventavano sempre meno pretenziose.
Se avessimo avuto la possibilità di vedere il susseguirsi dei suoi pensieri, delle sue aspettative, materializzarsi sulla sua testa, dentro il balloon di un fumetto (quelli a forma di nuvola, per intenderci), avremmo visto passare, in successione: diademi orientali in lapislazzuli, collane etrusche in oro, pendenti in argento, monete di rame, spilloni in bronzo, semplici coltelli in ferro, umili tappi di birra Moretti, in un decrescendo pari solo agli ultimi campionati del Latina Calcio.
Riprese a scavare, non immaginando minimamente che qualcuno lo osservasse.
Il Gatto e la Volpe
Il termine più giusto, più corretto, per descrivere il Gatto e la Volpe è quello di balordi.
Tanto arroganti e spacconi da rendersi antipatici, quanto maldestri e goffi da poter risultare persino simpatici.
Cattivi e stupidi quanto basta, erano due cugini, che di mestiere facevano i ladri di polli, non in senso metaforico.
In un’epoca in cui certi mestieri sembrano scomparsi e la tecnologia la fa da padrone, è anche bello vedere che certi giovani rimangono attaccati alle antiche tradizioni locali.
Da un giornale del posto:
“Nel cuore della notte i Carabinieri di Latina Scalo hanno ricevuto una richiesta di intervento davvero particolare. Un uomo di 70 anni, residente in Sermoneta Scalo, intorno alle 2,30 ha allertato le forze dell’ordine denunciando di essere stato vittima di un furto. I soliti ignoti non sono entrati (fortunatamente) nella sua abitazione, rubando contanti e gioielli, ma gli hanno portato via qualcosa che per lui era decisamente altrettanto prezioso. Dal pollaio del malcapitato infatti erano sparite ben 10 galline e 5 capponi. Un furto quantomeno singolare e senza dubbio pianificato in tutti i dettagli, visto che per trasportare tutti quei pennuti i ladri dovevano essere ben organizzati. Probabilmente proprio durante il tentativo, riuscito, di portare via gli animali, capponi e galline hanno iniziato a starnazzare risvegliando il proprietario. Purtroppo quando il 70enne è arrivato sul posto era già troppo tardi, i ladri e i polli avevano già preso il volo”.
Tutti al Bar sapevano che erano stati loro, i cugini; a confermare i sospetti fu l’alterigia e la spocchia che li accompagnò per un certo periodo di tempo, perché per loro quel commento “pianificato in tutti i dettagli” era un’investitura niente male, neanche avessero rubato nel caveau della Banca d’Italia.
Non si ricorda chi per primo li battezzò come i due personaggi del libro di Collodi, ma certamente la caratterizzazione c’era tutta. La Volpe, alto e secco, e il Gatto, basso e chiatto, erano il prototipo di una comicità da avanspettacolo.
Per quanto a volte divertenti, era sempre meglio evitarli, specie se li incontravi da solo, in campagna o in montagna.
E a maggior ragione negli ultimi tempi, da quando il Gatto si era comprato una balestra, e con la Volpe se ne andava a caccia di frodo.
Le galline non gli bastavano più. Stavano scalando tutti i gradini di una malavita contadina, certamente ruspante, pur di violare leggi e regole vigenti.
Al bar si diceva che il passo successivo, per essere ancor più trasgressivi, non poteva essere che la caccia alle balene.
Ed erano proprio il Gatto e la Volpe che stavano osservando il Vecchio, armati di balestra full optional (struttura in metallo, mimetica, 50 metri al secondo, sistema anti dry fire, calcio in polimero, ottica 4×32, con faretra porta frecce), acquattati dietro un albero, domandandosi cosa stesse facendo.
Dovete sapere che la Volpe si era preso la fissa di voler degustare lo spezzatino d’istrice, “la cosa più buona che abbia mai mangiato” a detta di uno zio, anch’egli bracconiere.
Il Gatto francamente non sapeva neanche cosa fosse un istrice, ma lo status di specie protetta della povera bestiola aveva attirato la sua attenzione.
Ecco perché i due balordi, informatisi sulle abitudini notturne del roditore, si erano appostati nelle vicinanze di un sentiero dove avevano trovato alcuni di quegli aculei che ricoprono il dorso, i lati e la coda dell’animale.
Durante la caccia furono attirati dai rumori provocati dal Vecchio mentre stava scavando la fossa. Lo conoscevano di vista, avendolo incrociato qualche volta al bar della Filomena. Bastò un semplice sguardo tra di loro perché già incominciassero ad immaginare che la serata non si sarebbe conclusa con un noioso appostamento ma con qualcosa da ricordare e raccontare.
continua…
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A Renzo Rossi piace creare.
Disegna chiassose e sgargianti foreste abitate da animali antropomorfi, a volte miti ed amichevoli, a volte irosi e dispettosi.
Raccoglie tronchi e legni in riva al mare per inventarsi strane sculture.
Rovescia vasi per dipingerli e colorarli.
Quando, con grande fatica, si mette a scrivere, vuole stupire, meravigliare, per raccontare storie che pensa siano poco note, di posti a noi vicini.