Per quanto l’ingegno umano nel corso dei secoli abbia profuso sforzi, creatività, tempo e mezzi, non era stato ancora inventato un condizionatore d’aria sufficientemente potente da arginare le conseguenze della sudorazione fluviale del condirettore del Fogliaccio Quotidiano, Lello Rapallo.
La città arrostiva a fuoco lento: un sole implacabile squagliava asfalto e pensieri.
Erano pochi gli individui irriducibili che non si erano dati alla fuga per la salvezza, correndo verso la costa e andando in braccio ad un problematico divertimento, fatto di isteria di massa, brutta musica, e di provvide abluzioni collettive nel litorale brulicante di anime tropicate.
Nelle strade del grande bollitore urbano le strisce d’ombra si affollavano di gente esausta, minata dall’oppressione della calura e in cerca di un’istante di tregua.
All’interno della redazione del giornale, tuttavia, si circolava conciati come il personale di una base in Antartide, con i cappucci dei giacconi imbottiti ben tirati sul capo, i pantaloni turboriscaldati e i guanti sempre infilati, a prevenire la comparsa di dolorosi geloni.
I condizionatori costosissimi, che erano stati imposti dai redattori, falcidiati dalla irriducibile aggressività ghiandolare di Rapallo, erano tutti perennemente regolati sulla modalità “sterminio bianco”, ma le ascelle del condirettore, come se niente fosse, seguitavano ad essere fradice: porzioni di palude sotto le sue braccia, che diffondevano un acre odore di morte.
Un orso bianco, subito battezzato Pak, comparso dal nulla in redazione tre giorni dopo l’installazione dei condizionatori, con quel clima si era ambientato benino e in cambio di qualche filetto di platessa crudo svolgeva piccoli servizi ai giornalisti.
Il bestione si era guadagnato l’affetto di tutti, tranne quello del direttore di una volta, ora solo condirettore, Ognissanti Frangiflutti, che dal suo ritorno da Tashkent in poi, aveva sviluppato alcune bizzarre forme di terrore, fobie che spuntavano all’improvviso, causate da situazioni apparentemente innocue ma che provocavano in lui reazioni smodate.
Pak lo metteva a disagio perché, seppure avesse modi molto più umani, gli ricordava un secondino del cosiddetto Centro di Benessere Personale nel quale era stato sbattuto a fare esercizi spirituali, un tale Islom Poropov, che durante le varie prove a cui era sottoposto, soleva incoraggiarlo con una striglia per tigri siberiane.
Fu con sollievo dunque che Frangiflutti accolse le dimissioni dell’orso, da esso presentate dopo essere svenuto per eccesso di prossimità alle ascelle palustri di Lello Rapallo.
“Niente di personale ragazzi, vi ho sempre voluto bene – fece capire ai redattori Pak, a forza di grugniti e gesti delle zampacce – qui è solo una questione di salute: non so come fate voialtri a sopravvivere nei pressi di quelle ghiandole criminali.
Torno nel Mare Artico a trangugiare pinguini e a fare cruciverba. Vi scriverò presto. Addio”.
Confinato nel suo ufficio, l’ex direttore unico, Frangiflutti, pur impigliato nella rete delle fobie alle quali si è accennato, lasciava l’iniziativa del comando all’esuberante Lello Rapallo che lo esercitava stando bene attento a rispettare i confini di una nauseante banalità giornalistica.
A riprova di tale linea editoriale, Lallo Tarallo, che molto maldestramente si era offerto di fare un’inchiesta sulle ecomafie e sulle loro emanazioni politiche, era stato appena spedito a fare un pezzo di colore su una Spa, la “Sbianco Natal”, nella quale avevano scoperto un metodo per eliminare le lentiggini con disgustose pappine a base di sedano e tonno marcio.
Si era tirato dietro Consuelo, col risultato che la direzione della Spa si era accorta che guardando la ragazza, alcuni pazienti le cui gote parevano dipinte da Seurat, e che da settimane si sottoponevano senza troppi risultati al tremendo trattamento, sbiancavano di botto, recuperando dei volti così rosei da sembrare chiappette di neonato.
I funzionari della Sbianco Natal, a quel punto avevano proposto alla fidanzata di Tarallo un contratto di lavoro principesco, con uno stipendio da centravanti di serie A.
Al pensiero di perderla Lallo era sbiancato lui, più di tutti i lentigginosi da lei curati in quella circostanza, ma Consuelo, con un sorriso che aveva indotto ad una frenetica macarena tutte le statuette di Buddha che erano poggiate un po’ ovunque nella sede della Spa, aveva rifiutato: lei era una fotografa ed amava il suo lavoro.
Frangiflutti intanto, che non aveva nulla da ridire sull’indirizzo direttivo di Lello Rapallo, così vicino del resto a quello che era stato il suo, segretamente andava tessendo una paziente trama che aveva per fine la sua riabilitazione.
Cercava una sponda nella Proprietà e l’aveva individuata nell’Ingegner Giudo De Trito, un uomo dedito allo sgusciamento di minorenni e ad ogni altro immaginabile genere di perversione, ma che faceva parte del Collegio dei Probiviri della società proprietaria del Fogliaccio.
De Trito consigliò a Frangiflutti di cercare il perdono paterno di Monsignor Luis Verafé, personaggio influentissimo sulla Proprietà e che era stato il vero artefice della sua disfatta.
Frangiflutti avrebbe dovuto convincerlo del suo sincero pentimento: a lui doveva dimostrare che i giorni di combutta con Mons. Bertoni erano ormai solo un pallido ricordo, e così pure quelli delle bisbocce con la magica poltrona Onyric.
Si procurò il segretissimo numero di telefono del potente gesuita ed un giorno, di mattina presto, prima che arrivassero tutti in redazione, compose quel numero sulla tastiera del suo cellulare personale.
Monsignor Verafé, che si era nel frattempo tenuta stretta la magica poltrona capace di programmare i propri sogni, in quel momento era ancora addormentato e stava godendosi un vertiginoso accavallamento di gambe di Sharon Stone, tutto dedicato a lui.
Con occhi che strabuzzando avevano assunto le dimensioni di una palla da tennis, Monsignor Verafé, guardando quella donna letale continuava a deglutire.
“Giiuukk”.
Quello era l’unico verso che riusciva ad emettere. Tremava di eccitazione.
Perso nel suo sogno bollente, non sentì lo squillo del telefonino.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti