Che la settimana sarebbe stata lunghissima venne puntualmente confermato dai fatti: ogni giorno sembrava essere di stazza superiore al normale, extralarge di taglia, interminabile, con ciascuna delle ventiquattro ore che si dilatava, ingrassando come un digiunatore quando si infiltra nel buffet del vernissage di un artista poco dotato, buffet di solito tanto più ricco e abbondante quanto più scarso è l’autore delle croste appese.
Tarallo penava, arrancava come un gregario sul Mortirolo.
Su incarico di Frangiflutti, che di rientro dal Seminario di Comunicazione virile, riusciva a nascondere sempre meno le sue mire di autoriciclaggio in politica, fu costretto ad intervistare tre volte il responsabile culturale del Partito Vichingo, formazione in prevedibile crescita anche nelle zone centrosudiste del paese, da esso ritenute selvagge e malsane fino a pochi anni prima.
Fu un’impresa particolarmente difficile per Lallo, che era da sempre un appassionato detestatore delle posizioni ultracretine e raffazzonate di quella formazione, e fu impresa durissima anche perché il suo massimo addetto culturale, Ulrico Bicchieron, non distingueva un libro da un parafango, un Fellini da un cinepanettone o un quadro d’autore da un’etto e mezzo di bresaola.
Frattanto di ora in ora, su spinta del condirettore Rapallo, la redazione inverdiva: nuove piante venivano ad aggiungersi ad un ambiente già lussureggiante, ambiente che in virtù di quella giungla rigogliosissima, andava producendo sempre più ossigeno, cataste di ossigeno, oceani di ossigeno.
Si percepiva distintamente che l’aria, così ben coltivata in quegli stanzoni solitamente cupi, andava arricchendosi di minuto in minuto, e se ne vedevano gli effetti: con cervelli così irrorati di ossigeno di qualità superiore, perfino i giornalisti più carenti di neuroni e grammatica, finivano per sembrare dei Premi Nobel per la Letteratura.
Insomma, si inspirava aria drogata di ossigeno e si espirava genialità a fontane.
Scatarzi, quello della “nera”, che di norma non era in grado di descrivere il contenuto dello stomaco di un morto ammazzato senza piazzarci in poche righe almeno tre grossi strafalcioni e sette sgrammaticature, aveva da poco sottoposto all’attenzione di Rapallo un pezzo intitolato: “Le Überlegungen di Heidegger ed il loro inserimento nel contesto della querelle sul suo antisemitismo”.
Il condirettore, che da quando aveva ripreso a lavorare sembrava visitato da uno spirito ecologista alieno, pur elogiandolo per quel pregevole lavoro, lo aveva invitato piuttosto a scrivere un articolo su un tema più attuale, qualcosa che suonasse più o meno come “La preziosità del Vegetale: l’amorevole intreccio tra la carruba e i diamanti”.
Dio solo sa come, ma alla fine, tra la furia ambientalista di Rapallo ed il cinismo politico giornalistico del neovichingo Frangiflutti, finalmente il tempo si decise ad espellere quella settimana, considerandola un lavoro finito.
Tarallo aveva sentito al telefono Abdhulafiah.
Il suo amico si era dimostrato reticente e non aveva voluto assolutamente fare alcuna anticipazione sui risultati della sua indagine, ma contemporaneamente aveva fatto intendere con chiarezza che l’impresa era stata coronata da successo e che la causa dello sbalorditivo mutamento di Lello Rapallo in seguito alle ferie, non aveva più misteri per lui.
Si erano dati appuntamento al Bar Babjetole, un posto da poco scoperto dalla movida cittadina nel quale, con la stessa disinvoltura, si spacciavano tapas coi mojito e corsi di respirazione Piko Piko inventati dai Kahuna hawaiani.
Lallo già da un quarto d’ora stava seduto ad un tavolino di quel locale in attesa del suo amico, quando di botto vide quell’arredo muoversi come un fulmine e subito mutare forma.
Fu un attimo: Afid, maestro indiscusso nel passare inosservato, si era divertito a travestirsi da tavolo da bar e si era manifestato improvvisamente, rizzandosi e strillando un “Tah Tahn!!” che aveva fatto venire i vermi a Tarallo, spaventatissimo.
Il bicchiere col latte e menta ordinato da Lallo e disarcionato da Afid, cadde in terra versando il suo contenuto.
Lallo, cacciato un urlo, investì Afid con uno tsunami di aggettivi irriferibili.
Un cameriere dall’aria tetrissima e scocciata arrivò sacramentando a raccattare vetri e a pulire il pavimento bagnato dal liquido avanzo della bevanda, e fu allora che nella saletta del bar si materializzò la sagoma inconfondibile di Abdhulafiah.
Il consulente finanziario ambulante scoccò un paio di occhiate guardinghe intorno, come James Bond prima di recarsi alla toilette, poi, sedette con i due amici, poggiando sul tavolino un voluminoso incarto.
“Ti ha già detto qualcosa Afid?”, chiese per prima cosa, piantando addosso a Tarallo uno sguardo preoccupato.
“Magari, – sbottò Lallo, ancora nervoso – il nostro uomo ombra si è solo limitato a tentare di farmi venire un colpo facendo scherzi da scemo!”.
“Bene, allora ascolta, ti riassumerò la situazione.
Intanto c’è da premettere che abbiamo dovuto ingegnarci più del solito per riuscire a capire come Rapallo abbia trascorso le ferie.
Alcune delle nostre fonti hanno preteso di essere “oliate”, mi spiego? Ti ho messo tutto in nota spese: alla cena per tutti noi alla “Grotta di Lucrezia Borgia” dovrai aggiungere due giri di ammazzacaffè, tequila flambè all’ortica selvaggia.
Ora veniamo a noi: le tracce del tuo condirettore, partite da casa sua, luogo dove è costantemente angariato da una coppia di vicini con due frugoletti che meriterebbero soggiorni premio all’Ucciardone, ci hanno condotto nientemeno che alla sede centrale della Compagnia di Gesù...”.
“Io c’ero già stato – intervenne Afid – ma il personaggio che avevo usato per entrarci era ormai bruciato, fortuna ha voluto che alcuni trasportatori, uno dei quali è un balbuziente al quale due anni fa insegnai a cantare “Night and day”, dovessero consegnare un sismografo ai padri gesuiti, per poi installarlo.
Io sono entrato con loro e quando i due sono andati via cantando una robaccia di Antonacci, sono rimasto nella stanza, confondendomi con l’apparecchio…”.
Abdhulafiah intervenendo riprese: “Io intanto avevo appurato che Rapallo, per sfuggire ai figli dei vicini, si era rifugiato nell’ufficio di Monsignor Luis Verafé, altissimo prelato della Congregazione e suo principale sponsor politico.
A quel punto mi sono ricordato di aver consigliato anni fa a Salvino Crocetta, usciere della sede gesuitica in questione, dei fondi di investimento siberiani che, ad onta della dislocazione geografica, si erano dimostrati bollenti, dando tali rendimenti da mandare quel tizio in vacanza con tutta la famiglia, addirittura a Providenciales, nei Caraibi, uno dei posti più costosi del mondo.
Mi doveva un favore, dunque.
Sono andato a trovarlo, interrogandolo sulle visite di Rapallo a Mons. Verafé.
Ci crederesti che quell’individuo ripugnante e poco riconoscente, ha finto un’amnesia?
Non ricordava proprio, diceva, ma senza pudore ha accennato poi a certe azioni delle Ferrovie Senegalesi che lo lasciavano dubbioso.
Ho mangiato la foglia e seppure incazzatissimo e controvoglia, ho dovuto chiarirgli le idee in merito, e a quel punto, guarda tu il miracolo, gli è tornata la memoria.
Le cose che mi ha raccontato sono comunque scottanti e segretissime: quei fatti hanno provocato le ire funeste del monsignore ed hanno suscitato un trambusto tenuto quasi del tutto nascosto.
Pare che Rapallo, che nel corso della sua prima visita sostava in attesa del ritorno di Verafé, abbia notato la famosa poltrona, quella che tu sai, ma lo ha fatto essendo del tutto all’oscuro delle possibilità che offre.
Per lui quella era solo una poltrona, seppure dall’aspetto modernissimo.
Ci si è sdraiato sopra solo per riposare un attimo, ma ha preso subito sonno.
Di colpo, vorticosamente, si è trovato sbalzato nell’ultimo iperrealistico sogno che il gesuita si era programmato.
Neanche a dirlo era un sogno erotico, bollentissimo, e così lo sfigatissimo condirettore si è gustato una inaspettata ma pazzesca iniziazione alle gioie dell’amore, operata per di più da una favolosa attrice hollywoodiana.
Dicono che Rapallo quella volta sia sceso barcollando dalla Onyric, strafatto di sesso, e giusto cinque minuti prima che rientrasse il monsignore.
Un tempo da lui utilizzato per riprendere il controllo delle gambe, richiamare gli occhi all’interno delle orbite e farfugliare qualcosa di appena sensato a cui il gesuita, del resto, non ha dato alcun peso.
Tornato a casa come se fosse ubriaco, il giornalista non è riuscito per tutto il resto del giorno a togliersi di mente quell’avventura.
Di notte, ovviamente, non ha chiuso occhio: aveva compreso ormai il potere della poltrona e ne era rimasto già schiavo.
Così si è ripromesso di trascorrere ogni giorno delle sue ferie alla grandissima, andando a far visita a Verafé alle 9,00 di mattina, giusto l’ora in cui sapeva che il prelato era assente perché prendeva lezioni di merengue dal Maestro Ciro Duarte.
Avrebbe passato finalmente delle ferie sensazionali, ripassandosi mezza Hollywood, un po’ di Cinecittà, e pescando anche tra qualche annunciatrice Rai.
Il giorno seguente, all’ora giusta, era nuovamente nell’anticamera dello studio di Verafé, con lo sguardo di un febbricitante.
Ha atteso che il pretino di turno lo lasciasse solo ed è balzato sulla poltrona.
Ha individuato il programmatore ed ha lavorato sul display, sbafando così un altro sogno: stavolta è andato in crociera con l’attrice che interpretava la Signora in Giallo…”
“Caspita!”, fece Tarallo impressionato.
“Che vuoi che ti dica – riprese Abdhulafiah intuendo i motivi della sorpresa di Lallo – a lui quella tizia evidentemente lo intrigava, che altro pensare?
La storia è andata avanti per quasi dieci giorni, fino a che Monsignor Verafè, me lo ha detto Artemio Catrame, suo servitore personale, piazzandosi una sera sull’amatissimo arredo, non si è ritrovato nella stanza da letto di Greta Thunberg.
“Ehhh!!?? – disse Tarallo quasi strozzandosi – GRETA THUNBERG!!??? Ma che…che…che pervertito!! Potrebbe essere sua nipote!”
“ Si, lo so, lo so, ma và a vedere cosa diceva la testa a Rapallo!
Quello che è certo comunque, è che il condirettore, dopo l’ultimo “viaggio”, aveva dimenticato di deprogrammare la poltrona.
Per Verafé che pensava di darsi al bel tempo con Kim Novak, il sogno di Rapallo è stata un’esperienza inaspettata e molto, molto poco gradevole.
La decisissima sedicenne intanto gli si era rifiutata, levandosi di dosso le zampe del prelato, poi, dopo avergli gettato dalla finestra il pranzo (quel giorno il menù prevedeva il classico porceddu sardo), lo aveva costretto a trangugiare interi cespugli di tofu, cibo secondo lei meno dannoso per il mondo e più salutare per lui.
Uscito quasi delirando dall’incubo, Verafé, certissimo che quel sogno lo avesse programmato qualcun altro, si diede da fare per sapere chi potesse essere stato lo scroccatore onirico.
Quando attraverso la mia poco onorevole fonte ho appreso gli sviluppi del caso, ho piazzato Afid nella stanza.
Sarebbe stato il nostro orecchio.
Il nostro uomo si è letteralmente confuso con la tappezzeria, costellata di santini.
Era quindi presente quando, convocato con un pretesto qualsiasi, Rapallo si è presentato da Mons. Verafé.
Afid, quindi ha visto tutto, ha ascoltato e riferito.
Il gesuita ormai sapeva com’era andata, aveva ricostruito i fatti e scoperto l’identità del sognatore abusivo.
Costrinse così Rapallo alla confessione. E seppe.
La storia tra il giornalista e Greta durava già da undici sogni.
Partito con intenti sordidi, lui se ne era poi innamorato pazzamente.
Lello era come in delirio dinanzi a lei, smaniava per le sue lentiggini, per il suo piglio deciso, era inerme, cera fusa dinanzi alle labbra strette, al suo sguardo corrucciato.
La ragazzina non gli aveva concesso nulla di nulla, la loro era stata dunque una relazione platonica.
Lei trattava Rapallo con degnazione, parlandogli spazientita, come si fa con un deficiente.
Lui però la amava.
Era tiranneggiato da Greta, estasiato, soggiogato al punto di rinunciare quasi subito anche agli hamburger di pollo, che da sempre lo facevano impazzire.
E non era tutto.
Lui meditava di trascorrere l’inverno vestito di sacchi, esposto ad un tremendo ma benefico gelo, ignorando la caldaia a gas e coltivandosi dei geloni grossi come noci.
Lei comunque lo disprezzava.
Ma lo aveva convertito.
Destandosi ogni giorno da quegli incontri, ‘O Rapallo Nnammurato si era trovato addosso una coscienza nuova e nuove inquietudini: doveva assolutamente far qualcosa per contrastare il riscaldamento globale.
Così, aveva reso la sua redazione il polmone verde della città.
E trasformato Scatarzi, quello della “nera”, in uno storico della Filosofia.
Tutto doveva cambiare.
In seguito ad una discussione con la Thunberg, per lui particolarmente penosa, e su “consiglio” di lei, dopo tutta una vita lui ha trovato la forza di uscire dal tunnel dell’ascella palustre.
E’ riuscito a smettere di sudare.
E questo è tutto Tarà! – concluse Abdhulafiah – Rapallo ha dovuto chiudere con la Thunberg, ma l’ama ancora.
Noi speriamo intanto che molti altri la ascoltino.
Verafé ha poi perdonato l’ex sudatore, ma vedrai che prima o poi spedirà anche lui a fare esercizi spirituali in Tagikistan.
Preparati dunque a rimanere solo con Frangiflutti, come una volta.
E prenota per tutti alla “Grotta di Lucrezia Borgia”.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti