Smart Commando. Prima parte

Le luci, non proprio abbacinanti, dei lampioni, tremolavano sull’asfalto fradicio, ballando addirittura quando si poggiavano sul pelo d’acqua delle pozzanghere.
La notte, in un tentativo di solennità, esaltava le ombre lunghe degli alberi del viale.
Tutto si vestiva di silenzio.
Una figuretta scura si muoveva agile, scivolava rapida lungo il marciapiede della strada, fiancheggiato dalla consueta, ininterrotta, fila di automobili dormienti.

La città tutta russava forte o piano, a seconda del quartiere, miliardi e miliardi di goccioline sospese nell’aria rendevano ancora più deserte, nella percezione, le strade fasciate dalla caratteristica umidità locale.
L’uomo che si aggirava per la via a quell’insolita ora, completamente rivestito da una tuta elastica  nera, come Diabolik, non aveva dunque troppa necessità di essere chissà quanto furtivo, anche se, con tutta evidenza, stava dedicandosi a qualcosa di illegale.
Contava sul sonno notturno e pesante di una comunità spesso incline a dormire altrettanto di giorno. Qualcosa che teneva in mano riverberò forte per un istante, colpita dalla luce di un lampione.
Si trattava di un coltellaccio seghettato, uno di quelli che una volta venivano definiti “da subacqueo”.
Quel tale, curvandosi appena, stava sfilando accanto ad una serie di veicoli: una vecchia Fiat Punto, una Bmw, un furgone Volkswagen, una Toyota ed una Opel.

Una Smart era parcheggiata immediatamente dopo, male, come sovente accade a questo tipo di automobile, praticamente a contatto di parafango con la vettura che  la precedeva.
Questo parve improvvisamente animare l’individuo, che ne ricavò una specie di scossa.
Si guardò più volte attorno con aria eccitata, poi si accovacciò accanto alla Smart: piantò il coltello dentro una delle ruote posteriori e praticò un tozzo taglio nella gomma.
Uno sfiato d’aria tiepida ne fuoriuscì, rauco come il gemito di un morente, impercettibile per chiunque tranne che per il guastatore, che ebbe un ghigno di viva soddisfazione mentre la ruota si afflosciava esanime.

Le finestre dei palazzi che si affacciavano sulla strada, rimanevano serrate e buie: la stagione autunnale, che pareva finalmente arrivata, favoriva il rinchiudersi dei cittadini nel tepore e nel torpore, e quello all’interno del quale si aggirava la svelta figuretta maschile, era certamente un quartiere a prova di insonnia.
Trascorse infine quella notte, più adatta ai pesci che agli esseri umani, e la fitta oscurità cedette il passo ad un’alba dalla luce grigia e piovigginosa.
Alle nove in punto il Professor Cervellenstein, l’illustre psicologo, fece la sua comparsa in quella stessa strada, diretto da casa al suo studio.
Un sorriso estatico gli aleggiava sul volto, alimentato da ricordi assai piacevoli: aveva trascorso infatti una notte indimenticabile in compagnia di Carmen, una bollente antropologa conosciuta qualche settimana prima alla noiosissima conferenza di Airton Furtwangler, un suo collega junghiano, il cui tema era: “La Sintesi dell’Apoteosi Amorfa nella coscienza collettiva del Ventesimo Secolo”.

Carmen

Lui e quella bella signora si erano trovati seduti in sedie contigue e la noia assassina che li aveva attanagliati, aveva favorito la reciproca conoscenza.
Avevano subito simpatizzato ed ecco che, trascorso un breve tempo di decantazione, la loro cenetta della sera precedente era finita in gloria!
“E’ curioso, oltre che senz’altro apprezzabile – andava rimuginando il Professore – che l’esperienza professionale, quando si è appassionati del proprio lavoro, possa riverberarsi nella sfera privata”.
Carmen infatti, nel corso del loro torrido incontro, gli aveva fatto provare l’intero kamasuthra dei Pukapuka, una tribù polinesiana che lei andava studiando attivamente da tre anni, dividendo con i suoi membri la loro vita quotidiana ed i loro usi.
“E chiamali selvaggi!!”, aveva strillato un Cervellenstein entusiasta e coi capelli dritti come gli aculei di un porcospino, dopo che dalla bella antropologa gli fu spiegata una delle figure erotiche più apprezzate dai Pukapuka.

Pukapuka festanti

Un brivido memore gli scorse per la schiena mentre camminava tra le rossicce foglie defunte.
Registrò mentalmente un fatto insolito.
Lungo il percorso, ad intervalli irregolari, incappò infatti in più crocchi di persone che, chiacchierando animatamente, facevano corona intorno a delle auto con una ruota a terra.

Cervellenstein, distratto momentaneamente dai suoi piacevoli ricordi, pensò che fosse buffo che lungo il marciapiede della stessa strada a più automobili si fosse sgonfiata una ruota.
Venne poi catturato ancora dai ricordi e, restaurato sul viso il sorriso indelebile di un Pukapuka in amore, riprese a camminare verso il suo studio.
Qui il suo umore mutò di colpo: nell’anticamera stazionava una nuvola densa e acre di fumo.
Cleofe, la sua segretaria ottuagenaria, che sembrava concentratissima nella lettura di una rivista di armi da guerra pesanti, aveva impestato l’aria con le sue micidiali sigarette.

La signora Cleofe

Prima ancora che Cervellenstein potesse riversare su di lei tutta la sua indignazione, la vecchia, con la solita nota ironica che gli squillava nella voce, gli disse: “I miei rispetti Professore, ha trascorso una notte felice supppongo, visto che porta il maglione a rovescio.
Guardi un po’ che cose singolari succedono in città!”, e girò il quotidiano che languiva sulla scrivania in modo che lo psicologo potesse leggerlo.
Il Direttore Frangiflutti quel giorno non aveva fatto economie nel titolo che, cubitale, recitava:

IL COMMANDO ANTI SMART TORNA  A COLPIRE!

“Le viene in mente qualcosa a riguardo Professore?”
E con studiata indifferenza tornò a leggiucchiare l’articolo sui “T14 Armata”, i micidiali carri armati russi mentre si accendeva l’ennesima, puzzolente “Celtique”.

Il T14 Armata

La mente del Professor Cervellenstein si liberò a malincuore dei rimasugli erotici pukapukiani, invasa improvvisamente da un inquietante presentimento.
Scappò in fretta nel suo sancta santorum.
Sedette nella comodissima sedia della sua scrivania, poi, nervosamente, aprì il giornale, cercò l’articolo che lo interessava e lesse avidamente quelle righe, firmate da Marzio Taruffi.
A quanto pareva, erano riprese le incursioni di qualcuno, forse un commando di più persone, forse un solitario attentatore prezzolato dalla mafia delle autoconcessionarie, o magari un semplice squilibrato, che vedevano prese di mira le gomme di un solo tipo di automobile: la Smart.
Un altro brivido corse lungo la schiena del Professore.
Ricordava bene l’ultima conversazione avuta con Omar Tressette nel corso della più recente seduta, quella nella quale l’ometto aveva fatto finta di non sapere nulla dell’interruzione di un concerto di Biagio Antonacci da parte di un coro di monaci tibetani piombati sul palco.

Cervellenstein sapeva che il cantautore era oggetto e bersaglio di una delle molteplici idiosincrasie del grande intollerante.
Avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco che Tressette fosse stato il mandante di quell’impresa sciagurata, ma lui, alle sue precise contestazioni, aveva opposto un’aria vaga, falsamente ingenua, e commenti inconcepibili ed assurdi quale ad esempio: “D’accordo, a me non è mai piaciuto, ma lo sanno tutti che in Tibet Antonacci piace ancor meno, anzi, che è detestatissimo: canzoni come “Pazzo di lei” e “Sognami”, a Lhasa non hanno venduto una sola copia.
Forse quei monaci avranno pensato di fargli un dispetto, non crede Professore?”…

Omar Tressette
Omar Tressette

A quel punto Cervellenstein aveva lasciato perdere quel fatto misterioso, contando di farlo confessare in un altro momento, ma intanto, stimolata da sue domande su tutt’altro argomento, cioè sull’anomalo fastidio che Tressette provava nei confronti di chi al bar ruotava la tazzina del caffè prima di bere l’ultimo sorso, era venuta fuori una sua frase strana, qualcosa che ora gli era tornata alla memoria: “Quella volta che diedi il calcio al malleolo di quel cretino ruotatazzine se la ricorda? Io ero già incazzato nero per fatti miei: nel marciapiede fuori del bar, infatti, una Smart stava parcheggiata di taglio, come spesso si può vedere un po’ ovunque.

Questo non si può assolutamente fare, lo dice il codice della strada! E poi, codice o non codice, a me quella macchina sta antipaticissima, odiosa, e se debbo dar retta a reiterate esperienze personali, le dirò Professore che, per quel che riesce a fare, un significativo numero di proprietari o di semplici guidatori di Smart si rivela composto da solennissimi...
Ci ha mai fatto caso?
Come dice Professore? Ma non mi importa affatto se la Smart va benissimo, anzi, questo sembrerebbe dare più possibilità di fare scemenze ad un cumulo di trogloditi o di furbetti!”
Un sudorino freddo gelò la nuca dello psicologo: “Quando Tressette butta lì un giudizio perentorio accompagnato da un epiteto saporito vuol dire che non è troppo distaccato, anzi.

Il professor Cervellenstein
Il professor Cervellenstein

E quando Omar non è distaccato…
Pensandoci ora – riflettè preoccupatissimo – ho sbagliato a non dar peso a quella frase: essendo incidentale, l’ho presa per innocua.
Ma vuoi vedere che il famoso commando squarciagomme non è altri che il mio impaziente paziente?”….

Continua

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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