Scene dalla città pazza – Quarta parte

“E’ una vecchia conoscenza del Direttore, pare che abbiano lavorato insieme in passato”.
Comodamente seduto ad un tavolino del Bar Babietole, Lallo Tarallo ascoltava concentrato il racconto di Assalonne Marcellitti, quello che al giornale si occupava delle inserzioni.
Il collega in questione lo aveva convocato in gran segreto per parlargli di fatti che, a sua detta, potevano essere di rilevante interesse per lui e per tutti  i giornalisti del Fogliaccio.
“Dicono che questo tizio sia stato un religioso, era conosciuto come Fra Totonno Levalorto, frate che comunque da qualche tempo si è sfratato.

Fra Totonno Levalorto

Quel che so di lui me lo ha raccontato in confidenza un suo ex confratello, tale Fratel Origano, uno che parla tantissimo, si può dire che quasi non respiri, ma del quale si fatica a decifrare la lingua.
‘Sto frate quindi stava in crisi, aveva da sempre un problema nel credere alla Divina Provvidenza.
Si baloccava da un pezzo con questo interrogativo teologico, fino a quando un pomeriggio si è visto al Circolo con l’amico di sempre, Ognissanti Frangiflutti.
Il nostro Direttore lo ha illuminato dicendogli che per alcuni di noi era semmai più conveniente far credere all’Uomo della Provvidenza e guadagnarci su.
“Tanto- gli diceva- a soggetti del genere, almeno vent’anni di casino gli italiani di solito glieli concedono, prima di accorgersi di essere stati massacrati.

Se tu lasci la tonaca senza far troppo chiasso, ti prendo a fare nuovamente il giornalista, e siccome ho bisogno di qualcuno di cui possa fidarmi, ti nominerò caporedattore!
E non è tutto: considera anche che, se le cose di questa città andranno a finire dove il mio lavoro e i mammasantissima le stanno portando, per noi potrebbe concretizzarsi qualche opportunità politica ghiottissima. Mi hai capito Levalò?”.
Il religioso, mangiata e digerita la foglia, si è subito convinto: sarebbe passato dal chiostro all’inchiostro. 
Dunque, una volta presa la decisione irrevocabile di sfratarsi, Fra Totonno, noncurante delle raccomandazioni di Frangiflutti, ha pensato di ricorrere a qualcosa di simbolico e vistoso insieme.
Avrebbe fatto esattamente quel che amava fare Nembo Kid/Superman, uno dei suoi miti: entrare in una cabina telefonica per cambiarsi velocemente ed uscirne senza tonaca, con un altro costume addosso!

Ma valla a trovare oggi una cabina telefonica!
Lui però era granitico: la voleva ad ogni costo.
L’ha cercata in ogni angolo della città, ostinatamente, si è logorato i sandali perché non intendeva assolutamente saltare quel rito spettacolare: se Clark Kent l’aveva fatto migliaia di volte, non vedeva perché a lui non dovesse riuscire di farlo un’unica, misera volta.
Niente da fare: con la diffusione dei cellulari, le cabine telefoniche erano diventate inutili, rarissime, dei veri pezzi da collezione.
Lui però non mollava.
Ad un certo punto si è rassegnato ad introdurre una variante nella coreografia prevista: mancando i telefoni pubblici, avrebbe cambiato casacca all’interno di uno sportello bancomat di quelli chiusi.
Ne ha trovato uno subito fuori da una banca che aveva l’agenzia in una via centrale.
La vecchietta che lo precedeva, una cosina minuta con un cappottino rosso e un bastone, è uscita dalla cabina contando le banconote, ma, incontrando lo sguardo di questo frate, ha abbassato gli occhi come se, occupandosi di denaro, anche per un solo istante, fosse stata pizzicata a commettere un grave peccato.

Pudicamente, ha riposto subito i biglietti di banca in uno scomparto della borsetta e allontanandosi ha intonato un sommesso canto di chiesa.
Fra Totonno nemmeno le ha badato ed è entrato in cabina.
Immediatamente una seducente vocetta femminile proveniente dal display gli ha chiesto:

A) Quale operazione, o somma di operazioni, intendesse richiedere;
B) se di esse volesse una ricevuta che le comprovasse;
C) se avesse precedentemente richiesto altre operazioni;
D) se tra queste ci fosse stata anche quella per i calcoli alla vescica e, in caso affermativo, chi lo avesse operato;
E) se avesse mai invitato a cena una rivenditrice di tappeti persiani.

Il frate ha cominciato un po’ a perdersi tra tutte quelle domande e ha finito per schiacciare a caso i tasti del display pur di rispondere qualcosa, così, tanto per far tacere la signorina e potersi cambiar d’abito.
Innervosito, continuava a tentare di dare qualcosa in pasto alla vocetta mentre i quesiti si moltiplicavano, accavallandosi, uno più surreale dell’altro.
Stufo, ha provato allora ad ignorare la vocetta per togliersi il saio, cominciando a denudarsi.
Fuori, quelli che erano in attesa, tra i quali c’erano parecchie signore in età, sono sbottati in un lungo “Ohhh!!!” di sorpresa e di disapprovazione: che quel tizio fosse un maniaco travestito?
La fila andava peraltro ingrandendosi.
Uno dei problemi più incombenti era dato dal fatto che la persona a cui sarebbe toccato di entrare nel bancomat subito dopo Fra Totonno, fosse un individuo gigantesco, uno letteralmente fuori misura.
Si trattava di Amos Zalamort, due metri e ventidue di altezza, per due di larghezza, vincitore per tre anni di seguito del concorso “Il colosso più impaziente del mondo”.
Dimostrando che quel riconoscimento lo aveva vinto sempre con pieno merito, Zalamort non ha dato al frate il tempo di completare il cambio d’abito: con le zampone da animale ha afferrato i lati della cabina e con un urlo da film l’ha sollevata e buttata in terra, mentre quel che conteneva, ovvero il malcapitato Totonno, si ribaltava, frullato, frastornato e mezzo nudo.

Amos Zalamort

Quando, in seguito all’intervento dei vigili del fuoco, è stato estratto dalla cabina del bancomat, quello che ancora appariva come un frate, rifiutando altri soccorsi, si è avviato barcollante verso la periferia.
Forse perché la scrollatina del colosso impaziente era stata molto decisa, Levalorto si è ritrovato un po’ confuso, a corto di idee sensate, così ne ha adottata una completamente folle: in mancanza di luoghi appartati nei quali, cambiando pelle come una crisalide che si fa farfalla, potesse sfratarsi, avrebbe eseguito quel rito di trasformazione dentro un cassonetto per la raccolta dell’immondizia.
Tenendo in mano una busta con l’occorrente per la sua piccola resurrezione, ha selezionato un certo numero di cassonetti, scartandone parecchi che parevano malconci.
Vedendo in una via secondaria uno di essi che appariva in condizioni discrete, quasi nuovo, senza pensarci troppo, vi ha lanciato la busta e, facendo un certo sforzo, ci si è gettato dentro.

A volte, però, come si sa, il diavolo fa sia le pentole che i coperchi: Fra Totonno proprio non si era accorto che quel contenitore stazionava, ricevendone gli scarti abbondantissimi e disgustosi, a pochi metri dal ristorante “Quan Pan”, un locale che proponeva cucina birmana.

Un celebre detto del Myanmar recita:

အသီးမှသရက်၊ အသားမှဝက်၊ အရွက်မှလက်ဖက်။

“A thee ma, thayet; a thar ma, wet,  a ywet ma, lahpet”

Significa: “Di tutti i frutti, il mango è il migliore; di tutte le carni, quella di maiale; e di tutte le foglie, quella di lahpet è la migliore”.
Di questi ingredienti, nessuno escluso, l’ex frate ha trovato un’esagerata rappresentanza nel chiuso di quel cassonetto, che conteneva, inoltre, litri e litri della famosa zuppa Dunt dalun chin-yay e quintali di spezie piccanti di ogni tipo.

Era troppo tardi per cambiare ambientazione (oggi, con un termine tanto abusato da essere ormai odioso, la si direbbe “lochescion”), così Totonno si è rassegnato ad eseguire in loco le operazioni di sfrataggio.
Nella busta aveva riposto alcuni abiti che il colloquio con Frangiflutti gli aveva suggerito come opportuni da indossare.
Imprecando per gli odori birmani in progressiva marcescenza e per il contatto con schifezze che in quel buio non riusciva nemmeno a distinguere, Levalorto si è sfilato il saio, sfratandosi, e si è messo addosso i vestiti preparati per l’occasione.
I cittadini che si trovavano a transitare per quella via, sbalorditi, improvvisamente hanno visto alzarsi il coperchio del cassonetto ed uscirne una figura stranissima.
Qualche signora ha urlato e due o tre bambini impressionabili hanno cominciato a piangere: il soggetto emerso dal contenitore era vestito interamente di verde, ma macchie d’ogni tipo e colore gli cospargevano l’abito, ornato anche da foglie avvizzite di vegetali sconosciuti.
Sulla testa di quell’impressionante individuo, e sporco come il resto del suo abbigliamento, gravava, bicornuto e un po’ sbilenco, il copricapo del Partito Vichingo.

Levalorto non sapeva che proprio quella mattina si era consumata per quella formazione una consistente delusione elettorale e si è avviato quindi con aria tracotante verso la redazione del Fogliaccio.
E vuoi saperne una davvero buonissima Tarà? Quando l’ex frate è entrato in sede, a tutti è crollata la mandibola per lo stupore, ma lui, senza apparente reazione, e senza salutare nessuno, è sfilato in mezzo a noi, avviandosi subito verso la Direzione.
Nessuno ha fatto un fiato, l’unico è stato Taruffi, che quando quell’apparizione verdastra gli è passata accanto, ha esclamato nientemeno che: “Accidenti, che dannata puzza!!”

Il cronista Marzio Taruffi

Terminato il racconto e, contemporaneamente, il suo tamarindo, Marcellitti aveva poggiato il bicchiere sul tavolino, attendendo una reazione di Tarallo.
Lallo, però, ancora incredulo, non seppe cosa dire per svariati minuti.
D’altronde il tempo non aveva mai contato nulla al Bar Babietole.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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